Ponzano : Note Storiche

L'EVOLUZIONE DEL PAESE DURANTE IL XVIII SECOLO

Il ruolo dell’agricoltura nell’economia del paese

Durante il XVIII secolo la popolazione rurale veneta si accrebbe, e divenne necessaria una maggiore produzione agricola: per questo motivo, vi fu un ulteriore sviluppo della cerealicoltura, a danno dei foraggi, necessari per l’allevamento del bestiame. La pressione demografica costringeva le popolazioni a sfamarsi attraverso le colture cerealicole a maggiore resa unitaria: l’alimentazione era costituita, perciò, da una base calorica, mentre veniva a mancare l’apporto proteico derivante da carni e latticiniQuesta situazione fu lamentata, in termini generali, da diversi scrittori dell’epoca, tra cui: ZAMBENEDETTI D. - “Dissertazione sopra i mezzi di moltiplicare i bovini” - VENEZIA, 1779. AMALTEO A. - “Raccolta di memorie delle pubbliche accademie di agricoltura, metodi di promuovere l’aumento e il miglioramento delle specie bovine” - VENEZIA, 1796. TARELLO C. - “Raccordo d’agricoltura” - I edizione, VENEZIA, 1567. “Ristampe settecentesche” - BERGAMO, 1756 - VENEZIA, 1772 - VENEZIA, 1773. TACHIFELLI I. R. - “Lettere sopra i l metodo di nodrire i l bestiame nella stalla”... - VENEZIA, 1791. . Il granoturco, assicurando un’elevata produzione in rapporto alla superficie coltivata, consentiva di far fronte ai bisogni alimentari dei contadini e, associato al frumento, non richiedeva necessariamente l’uso di bestiame da tiro. Si attuarono nuovi dissodamenti, per guadagnare terra arabile, eliminando prati e boschi e riducendo fortemente l’allevamento bovinoCosì si esprime RENATO ZANGHERI nella sua opera “Agricoltura e contadini nella storia d’Italia”, pubblicata a TORINO nel 1977, nel capitolo intitolato “Studi di storia dell’agricoltura”.. Ciò era negativo, oltre che per la scarsa disponibilità alimentare delle popolazioni, anche per la mancanza di concimi animali e, conseguentemente, per lo scarso sviluppo della produttività agricola.

image Contadino con bue. Incisione tratta dall’opera “Nuovo dizionario di agricoltura”. Rappresenta un contadino, con gli abiti tipici indossati nell’Ottocento e, nelle sue mani, il bastone utilizzato dai mandriani e guardiani di bestiame.

Ho rinvenuto alcuni dati statistici che indicano, per l’anno 1861, la presenza a Ponzano di 249 bovini, 49 equini e 3206 animali minuti, da mettere in rapporto col numero complessivo di 1908 abitanti (inclusi Paderno e Merlengo), suddivisi in 252 famiglieDati tratti dalla tavola intitolata: “Statistica della città e distretto di Treviso, posta a pag. 672 del testo di G.B. SEMENZI: “Treviso e la sua provincia” in “Grande illustrazione del Lombardo-Veneto” volume I, parte II edita a MILANO nel 1862. . Considerando i progressi verificatisi nel corso del XIX secolo, è probabile che la quota di un bovino, circa, per ogni famiglia di Ponzano, non fosse stata ancora raggiunta durante il Settecento. Inoltre, data la scarsità di equini, occorre rilevare che questi bovini servivano sia per il traino dell’aratro che per la produzione di latte.

Come si è dimostrato, l’affittanza era il tipo di conduzione più diffuso a Ponzano, ed interessava la maggior parte delle terre del paese. Probabilmente, un’estensione di 5 ettari (= 50.000 metri quadrati), equivalenti a circa 10 campi trevigiani, tenuto conto della scarsa resa delle colture e del modesto livello di vita dei contadini dell’epoca, doveva risultare appena sufficiente a garantire il sostentamento ad una famiglia media rurale, composta di 5/6 persone.

Secondo l’indagine condotta dal Beltrami, nell’anno 1740, nel Trevigiano vi erano 2716 appezzamenti di terreno dato in affitto: di essi, i 3/4 non superavano la dimensione degli 11 campi trevigianiBELTRAMI D. - “Saggio di storia dell’agricoltura nella Repubblica di Venezia durante l’età moderna” opera citata, pag. 75 e seguenti. . Si dimostra, cioè, che la maggioranza delle terre affittate non potevano permettere l’autosufficienza economica ad un nucleo familiare; la distribuzione assai disuguale della proprietà fondiaria aggravava questa situazione. Nella seconda metà del secolo XVIII le condizioni di vita della maggioranza dei lavoratori delle campagne venete erano difficili, e scarsi i progressi dell’economia ruraleCORONELLI P. - “Delle rustiche locazioni e dei principali ostacoli ai progressi dell’agricoltura” VENEZIA, 1884..

Le grandi proprietà nobiliari venivano frazionate ed affittate a diverse famiglie, o talvolta condotte sotto la direzione del gastaldo e del fattore, con l’ausilio dei salariati permanenti o avventizi, cioè dei contadini che lavoravano alle dipendenze di un padrone, spesso integrando gli scarsi guadagni con i prodotti dei campi affittati e dell’orto circostanti la casa.

Verso la fine del Settecento vi fu una crisi della piccola e media affittanza: le locazioni del terreno erano concesse per un periodo di tempo talmente li mitato, da impedire ogni miglioria sull’appezzamento. Al a scadenza del contratto, che si verificava in genere nel giorno di S. Martino (11 novembre), era possibile l’allontanamento immediato del contadino e della sua famiglia dal podere e dalla casa di abitazione ad esso collegata.

Ad una società in cui dominavano i piccoli coltivatori diretti, se ne sostituì progressivamente una in cui era diffusa la figura del salariato agricolo, caratterizzato da una forzata mobilità per il reperimento del lavoro: questo processo avvenne, nel Trevigiano, durante il XIX secoloCOLLOTTA G. - “Sull’agricoltura nelle province venete. Ragionamenti economici” - VENEZIA, 1856. BURGER J. - “Agricoltura del Regno Lombardo-Veneto” - MILANO, 1843. BENETTI S. - “L’accorto fattor in villa” - VENEZIA, 1760. .

imageAratri e zappe ottocentesche. Incisione tratta dall’opera del coneglianese Francesco Gera, “Nuovo dizionario di agricoltura” edita a Venezia nel 1834. In realtà, gli attrezzi agricoli erano assai primitivi, fabbricati artigianalmente nel paese stesso.

Si diffuse la disoccupazione, e si moltiplicarono i “giornalieri” o “avventizi”, assunti per brevi periodi e retribuiti soprattutto in denaro. Il pagamento monetario non si adeguava alle necessità dei lavoratori, in un periodo di aumento dei prezzi: da ciò derivava la condizione di miseria dei salariati, rispetto alle famiglie di mezzadri, affittuari o livellari.

Parallelamente, avveniva un graduale passaggio, attraverso la forma contrattuale mista del fitto in grano e della suddivisione mezzadrile dei prodotti, verso una minore autonomia del colono e piccolo affittuario, obbligato a corrispondere al proprietario una quota di grano fissa. Si rendeva necessario aumentare la porzione di terreno dedicata alla coltura del frumento, e questo rendeva sempre più dure anche le condizioni di esistenza dei contadini affittuari di un terreno, poiché la loro alimentazione si doveva limitare al maisDAL PANE L. - “Storia del lavoro in Italia dagli inizi del secolo XVIII al 1815” - MILANO 1944el958. SETTE A. - “L’agricoltura veneta” - opera citata. FERRARI G. - “Proprietà contadina e proprietà dei ceti borghesi nel Veneto” - in “STATISTICA” n. 4 - 1954. BISINOTTO G. - “Studio di economia rurale per la provincia di Treviso” - in “Atti del Regio Ateneo di Treviso”, s.d. .

Come ho già accennato, le proprietà degli stessi abitanti di Ponzano erano minime: nel corso del Settecento, in tutta la pianura veneta, i possessi dei lavoratori rurali si ridussero ulteriormente, a favore delle concentrazioni fondiarie dei grandi proprietari terrieri. Essi, tuttavia, raramente si occupavano direttamente delle proprie terre, preferendo concederle in affitto a ricchi fittavoli. Questi ultimi, insieme ai gastaldi e fattori già nominati, costituirono in quell’epoca una classe intermedia tra i nobili di città e le masse contadine: fu questo l’inizio della borghesia ruraleFondamentali sono, in proposito, le due opere di MARINO BERENGO già citate: “La società veneta alla fine del Settecento” - “L’agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all’Unità”. .

Nell’agricoltura veneta della fine del Settecento un importante progresso fu rappresentato dalla diffusione del gelso, pianta coltivata per alimentare i bachi da seta, che venivano allevati nelle soffitte dai contadini stessi. L’allevamento dei bachi si sviluppò durante l’Ottocento, coinvolgendo gran parte delle famiglie rurali. In genere, si vendevano in primavera i bozzoli da seta, oppure, durante l’estate, le donne ed i bambini filavano le “gallette”, vendendo poi i l prodotto semi-lavorato. I bachi da seta costituivano, per i contadini veneti, un’importante integrazione ai guadagni derivanti dai lavori dei campi.

Un’altra coltivazione praticata in quell’epoca era quella della canapa, pianta che veniva poi filata e tessuta a domicilio, e permetteva la confezione di abiti molto ruvidi e resistenti: fu solo nella seconda metà dell’Ottocento, con la diffusione della tela di cotone prodotta industrialmente, che questa consuetudine fu abbandonata.


Note: