Crisi nelle campagne trevigiane

PRODUZIONE

Nonostante il materiale relativo alle tecniche agricole utilizzate nel Veneto dell’ottocento non sia focalizzato su un comune in particolare, farsi un’idea di quella che doveva essere la situazione a Ponzano non è difficile partendo dai documenti di quegli anni. Fortunatamente le condizioni per quanto riguarda la produzione agricola erano abbastanza omogenee nei vari comuni dell’alta pianura all’interno del distretto di Treviso. La situazione mutava invece mano a mano che si scendeva nella bassa pianura o si saliva sulle colline e sui monti.

Dalla letteratura sappiamo che, dopo l’annessione, nelle campagne non avvennero mutamenti tali da permettere un miglioramento visibile delle condizioni di vita. Non furono introdotte innovazioni né miglioramenti.
Da parte sua il Governo cercò di porre rimedio alla situazione tramite la creazione dei comizi agrari.

Gli scopi dei comizi agrari in origine erano centrati sulle reali esigenze di sviluppo della produttività: la razionalizzazione dei metodi produttivi e l’istruzione degli agricoltori.

Secondo alcuni tali comizi finirono purtroppo per divenire uno strumento dei grandi proprietari terrieri, che li utilizzarono per aumentare le rese dei loro terreni, senza porre la sufficiente attenzione agli interessi dei coloniG.Polo, Ponzano Paderno Merlengo… , cit.. Il tipico contratto di affitto prevedeva il pagamento di un canone composto da tutto il vino e tutto il frumento. Quindi, come già accennato, il contadino non aveva alcun interesse a stare lontano dai tralci delle viti con l’aratro, per preservare la qualità dell’uva, dato che lui non ne avrebbe avuta. Da qui l’interesse dei contadini a produrre più granoturco possibile, dato che almeno quello sarebbe rimasto in una certa percentuale nei loro granai. I contadini avevano anche diritto al mais di scarsa qualità, al cinquantino, al sorgo rosso e al sorgo nero per la polenta.

Nonostante l’estensione della produzione del granoturco i contadini erano comunque costretti ad indebitarsi. Capitava spesso che in pieno inverno o in primavera fossero costretti ad acquistare il mais per averne venduto troppo a fine stagione. Tuttavia i prezzi al momento del raccolto erano bassi, mentre nel momento del bisogno si erano notevolmente alzati. Se avessero saputo fare previsioni più accorte (cosa che invece gli usurai sapevano fare benissimo) e meno legate all’irrazionalità si sarebbero senz’altro evitati notevoli problemi.

Secondi i dati forniti dall’inchiesta sulle “Condizioni della industria agraria nella provincia di Treviso” del 1884, nel distretto di Treviso la popolazione dedita all’agricoltura era l’83%Fonti e studi di storia veneta, Trasformazioni Economiche e Sociali nel Veneto fra XIX e XX secolo, (convegno di studi: Vicenza, 15-17 gennaio 1982) A cura di A. Lazzarini Pagina 615-627: Luigi Urettini, Economia e società nel Trevigiano tra fine Ottocento e inizio Novecento. Spunti per una ricerca.. La stessa inchiesta riporta che la terra era molto frazionata, aggiungendo che tuttavia la piccola e media impresa andava scomparendo a causa del soverchiante peso delle imposte. In nove anni un quarto della proprietà rurale è passato di mano. Ciononostante, a quella data l’85% dei proprietari aveva una rendita agraria inferiore alle 100 lire (purtroppo non viene specificato se lorda o netta, anche se dal contesto sembra si faccia riferimento ad una rendita lorda). Un dato impressionante tenendo conto che la rendita lorda variava in media tra 120 e le 300 lire per ettaro, mentre quella netta andava dalle 15 alle 50 lire.

Le statistiche sui contratti agrari ci dicono anche che le rendite per ettaro variavano in proporzione all’estensione del fondo. Erano più basse nei grandi poderi che in quelli di media estensione, più alte sui terreni a mezzadria piuttosto che in quelli dati in affitto. I migliori rendimenti venivano ottenuti dai proprietari che lavorano la terra in proprioTreviso all’esposizione nazionale di Torino. Le condizioni dell’industria agraria nella provincia di Treviso, Treviso 1884. Opera composta da 80 tavole di dati statistici e osservazioni sull’agricoltura (autore non specificato). Tratto da: Fonti e studi di storia veneta, Trasformazioni Economiche… cit. a cura di A. Lazzarini, pagine 615-627: Luigi Urettini, Economia e società nel trevigiano… cit.

Il regime dei contratti agrari veniva visto da varie fonti come una delle principali cause dei problemi dell’agricoltura trevigiana. I grandi proprietari terrieri appartenenti all’antica nobiltà veneziana lasciavano la proprietà in mano ad agenti e vivevano di norma lontano dai loro possedimenti. Gli agenti a loro volta controllavano le terre grazie ai castaldi (o gastaldi).

La nobiltà di terraferma e la ricca borghesia, composta per lo più dagli antichi amministratori dei nobili, non si discostavano molto da questo modello, avendo acquistato terra non a scopo di investimento ma solo per evitare i rischi del commercio e dell’inflazione. Erano inoltre sprovvisti delle capacità imprenditoriali necessarie ad avviare un valido processo di innovazione. Si limitavano quindi a perpetuare le consuetudini, aggiungendovi una avidità nei riguardi dei contadini che i nobili non avevano conosciuto.

Sia affittanza che mezzadria erano diffusi un po’ ovunque. La seconda forma di contratto agrario era la più diffusa nel distretto di Treviso. Entrambi i contratti si erano dimostrati arretrati, ereditati dalla decadenza dell’ultimo periodo veneziano. L’affitto avrebbe dovuto essere sinonimo di modernità, ponendo sullo stesso piano i diritti dei due contraenti, e presupponendo un coltivatore preparato e munito del sufficiente capitale circolante. Tuttavia già all’epoca si era notato che in realtà entrambe le condizioni non si riscontrano affatto, e il contratto risultava essere onorato in natura, sintomo di una produzione tutt’altro che remunerativa.

Inoltre gli affitti aumentavano in ragione inversa rispetto all’estensione del fondo. Sempre la stessa ricercaFonti e studi di storia veneta, Trasformazioni Economiche e Sociali…, cit. trovava assolutamente ingiustificati gli aumenti dei canoni, dettati più dal peso delle imposte e dall’avidità che da un reale aumento di produttività.

Le condizioni della mezzadria non erano migliori. Il mezzadro e la sua famiglia avevano l’obbligo di lavorare, coltivare e migliorare il fondo, di sottostare ad ogni richiesta del proprietario e dei suoi agenti, di adattarsi ai nuovi metodi di coltivazione che gli venivano proposti. La durata del contratto limitata ad un anno impediva che vi fossero seri lavori di miglioramento del fondo. In pratica il contratto non permetteva di soddisfare pienamente né gli interessi dei proprietari né dei coltivatori e veniva perpetrato solo in base a consuetudiniSi veda la nota precedente, tavola 14.

L’arretratezza dei contratti condizionava anche le scelte produttive: l’affittuario non aveva nessun interesse a migliorare il fondo, dato che poteva essere mandato via in qualsiasi momento. Non solo: in alcuni casi avrebbe addirittura potuto pagare un canone superiore proprio a causa delle migliorie da lui stesso apportate!

I metodi di coltivazione impiegati erano quelli tradizionali, non c’erano stati cambiamenti dal Settecento. La coltivazione prevalente dei campi veneti di alta e bassa pianura era la coltura mista a cicli triennali. Per due anni veniva piantato frumento e l’anno successivo si passava al mais. Si usavano i filari di viti ad albero vivo piantati ad intervalli regolari nel campo e lungo il fosso di confine. La coltivazione era mista.

Si puntava tutto sui cereali, primo fra tutti il granoturco, che occupava da solo più di un terzo dei terreni nel distretto di Treviso. D’altra parte era la base dell’alimentazione dei contadini, sotto forma di polenta.

In ordine di importanza al secondo posto per i contadini, ma al primo per i proprietari, c’era la coltivazione di frumento. Le tecniche di coltivazione utilizzate erano antiquate, in alcuni casi primitive. Le seminatrici erano sconosciute. Dopo la semina si abbandonava il campo a se stesso. Pochi pensavano agli scoli per l’acqua, alla mondatura, alla concimazione in copertura e all’erpicatura primaverile.

La vinificazione e la viticoltura erano altrettanto arretrate. Pochissimi erano i vigneti specializzati. Nel caso dei piccoli proprietari la vinificazione avveniva sempre in proprio. Nei poderi più estesi vi era solitamente una figura specializzata che presiedeva al processo.

Altri problemi già segnalati erano la scarsa produzione di foraggio e l’assenza delle rotazioni con altre colture, che avrebbe certamente giovato alla composizione chimica del terreno.

Attività fondamentali erano anche la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco. Il sistema era quello tradizionale, affidato alle singole famiglie contadine, realizzato nelle abitazioni. I risultati erano tutto sommato soddisfacenti, essendo questa una delle poche attività che portava denaro contante nelle casse dei contadini. I prodotti ottenuti venivano solitamente divisi a metà tra conduttore e proprietario. Nonostante in termini assoluti i risultati per i contadini di questa attività fossero da ritenere soddisfacenti, in termini relativi il discorso cambia. Considerando la mole di lavoro necessaria per l’allevamento dei cavalieri (i bachi) in relazione alla remunerazione ottenuta, anche senza considerare i momenti di crisi e perdite dovute alle malattie, ne risultava una assai misera rendita.

Secondo quanto viene sostenuto da Antonio LazzariniA. Lazzarini, Fra tradizione ed innovazione. Studi su agricoltura e società rurale nel Veneto dell’Ottocento, Franco Angeli Storia.  nel primo periodo unitario la forma di conduzione prevalente nella zona del distretto di Treviso è una forma di conduzione a metà strada fra l’affitto e la mezzadria.

Purtroppo i problemi del contratto di mezzadria in questo periodo emergevano in modo preoccupante. Oltre ai consueti rischi di ogni attività agricola come possono essere le condizioni atmosferiche, la concorrenza e le malattie delle piante e degli animali, si presentò anche una crisi dei mercati a livello internazionale.  Mercati che erano già in via di integrazione.

Oltre a questi problemi che colpirono indistintamente ogni produttore, i mezzadri per il tipo di contratto richiedevano la collaborazione dei proprietari che invece si rivelavano assenti, assolutamente contrari ad investire capitali, e restii a concludere contratti di durata tale da consentire iniziative atte al miglioramento dei fondi. Quasi sempre i contratti avevano infatti una durata annuale.

Intorno al 1880 le condizioni dei mezzadri erano divenute critiche praticamente ovunque. Nelle annate peggiori molti andavano in rovina ed erano costretti a divenire lavoratori avventizi.

Un’altra piaga per i contadini era la concessione di prestiti da parte dei loro stessi proprietari (ai mezzadri / fittanzieri), che andò sempre più diffondendosi. Era un meccanismo nato probabilmente per porre una alternativa al problema del prestito usuraio. I prestiti, che generalmente riguardavano cereali, venivano concessi nei periodi in cui questi scarseggiavano maggiormente, e venivano rimborsati attingendo alle risorse ricavate dalla vendita dei prodotti nei periodi del raccolto. Rimborso che avveniva purtroppo proprio nei momenti in cui quegli stessi prodotti ottenuti pochi mesi prima a prezzi elevatissimi ora costavano assai meno, per il noto andamento della domanda e dell’offerta. Infatti i prezzi avevano un chiaro andamento ciclico: alti in inverno a causa della scarsità dei beni e bassissimi al momento del raccolto per la grande quantità di prodotti che si riversavano nel mercato. La situazione era ancora peggiore se si pensa che per riuscire a pagare i debiti i contadini erano costretti a vendere il raccolto fino all’ultimo sacco. Questo comportava nuovamente il rischio di ritrovarsi nella stessa situazione nell’anno successivo, ma a condizioni sempre peggiori. La situazione peggiore in assoluto riguardava comunque coloro che al posto del proprietario dovevano ricorrere all’usura, fenomeno che portava rapidamente al fallimento moltissimi piccoli proprietari.

Il tipo di contratto diffuso nella zona del trevigiano prevedeva spesso l’affitto misto a colonia di chiusure, cioè di piccoli poderi provvisti di abitazione che i braccianti prendevano in locazione. Erano solitamente situati nei pressi di medie e grandi aziende agricole in cui gli stessi andavano poi a cercare lavoro. In questi casi il contratto, in genere annuale, era molto oneroso, anche doppio rispetto a quello degli altri poderi, giungendo alla soglia delle 200-250 lire per ettaro. Le chiusure avevano un senso economico solo se considerate parallelamente alle aziende (di solito di grandi dimensioni) con cui confinavano. Permettevano di trarre una base di prodotti per l’alimentazione, costituita da granoturco e ortaggi, ma era necessario integrarne la produzione con il reddito derivante dal lavoro come braccianti. L’estensione delle chiusure variava tra il mezzo ettaro ed i cinque ettari, tuttavia solitamente erano comprese tra uno o due ettari.

Quella che fortunatamente diminuiva un po’ ovunque era la prassi di dare in affitto la terra ad imprese, che in seguito ridistribuivano la terra ottenuta tra più piccoli affittuari. Nella zona di Treviso e Venezia questa pratica perdurò più che in altre zone, soprattutto tra i beni dei corpi morali e degli istituti pii. Gradualmente si iniziò a sostituire questa pratica con l’affitto diretto ai coltivatori. Questo fu un bene per i contadini, in quanto l’affittanza “impresaria” costringeva i piccoli conduttori a patti ancora più gravosi di quelli usuali.Come già evidenziato da Crico relativamente ai mediatori.

Le caratteristiche dell’affitto nella zona che includeva le province di Treviso, Udine e Venezia erano sostanzialmente simili, e diverse da quelle che caratterizzavano altre province, come quelle di Vicenza, Verona e Rovigo.

Nella prima zona i contratti di affitto risultavano di durata inferiore alle seconde. Gli affitti raramente raggiungevano i nove anni, fermandosi più spesso tra i tre e i cinque anni, quando non erano addirittura annuali. Il canone di affitto era raramente corrisposto in denaro, quasi sempre era in generi, in particolare frumento. Secondo molti era proprio questa la causa dell’arretratezza: il costante ricorso a gran parte del fondo per la produzione di grano portava i terreni ad impoverirsi.

In molti casi si parlava di “affitto misto”: una parte del canone veniva corrisposta in generi, e l’altra in denaro. La seconda parte era solitamente inerente all’affitto della casa, dell’orto e dei prati. Questa parte con l’andare del tempo continuò a diventare più importante, nonostante il peso di onoranze e corvées non scendesse minimamente.

Il contratto veniva definito in vari modi. Quando si parlava di “Contratto misto di affitto e mezzadria”, ci si poteva riferire sia all’affitto misto che alla cosiddetta “mezzadria mista”.

Questa era molto diffusa nella zona in questione, forse la forma di conduzione prevalente. Oltre all’affitto in denaro della casa, l’orto e i prati, veniva corrisposto un canone in generi per i prodotti del suolo. Quindi un canone fisso sul frumento, e a volte anche sul granoturco. Inoltre i prodotti del soprasuolo, quali la frutta, la legna e le foglie dei gelsi venivano ripartite in percentuale tra proprietario e conduttore. Le percentuali variavano tra la metà e due terzi a seconda delle zone.

Questo contratto ha una collocazione incerta. In alcuni casi sembra possa essere considerato una locazione di fondi, in altri una colonia parziaria. In altri casi ancora viene proprio distinto da entrambi i tipi di contratto.

In effetti la ripartizione dei prodotti del soprasuolo aveva una portata più ampia di un mutamento nelle modalità di pagamento. Permetteva al padrone di ingerirsi nella conduzione dell’azienda e di controllare l’attività del locatore. Veniva quindi meno una delle caratteristiche tipiche dell’affitto. O almeno una di quelle caratteristiche che lo distinguono dalla colonia parziariaG.Giorgetti, Contadini e proprietari nell’Italia moderna. Rapporti di produzione e contratti dal secolo XVI ad oggi. Einaudi..  Questa perdita di autonomia era divenuta particolarmente diffusa dopo la metà del secolo, periodo in cui le crisi del baco e del vino avevano ridotto sul lastrico i piccoli conduttori. Le motivazioni dell’aggravio delle condizioni erano duplici: da un lato la mancanza di moneta da parte del conduttore, che otteneva da quei due prodotti l’unico denaro liquido. Dall’altro i proprietari si erano visti ridurre le entrate e compensarono questa mancanza aggravando le condizioni di affitto dei fittavoli.

Con l’arrivo della crisi agraria degli anni settanta non si era ancora verificata una ripresa sufficiente per compensare le perdite avute, e le scorte dei contadini erano state prosciugate. In altre parole la dipendenza dai padroni era massima: in molti casi gli attrezzi, le sementi e gli animali erano forniti dal proprietario. In questo senso la figura del fittavolo e del mezzadro venivano ad essere coincidenti: non si riscontravano di fatto differenze significative per quanto riguardava l’autonomia e le condizioni di vita.

Un altro fenomeno che complicava la situazione era stato messo in luce da una pubblicazione del MAIC del 1884, e riguardava l’aumento costante degli affitti dei fondi. Anche nelle pubblicazioni di “Vita del Popolo” si denuncia una simile situazione:

Il frazionamento degli affitti mettendo ogni famiglia di contadini nella condizione di poter assumere la conduzione di fondi, crea in essi una specie di gara, che giova assai ai proprietari, anzi giova loro tanto che è frequente il caso di affitti di fondi sprovveduti di case coloniche , la costruzione delle quali resta tutto a carico degli affittuari: da ciò il gran numero dei cosiddetti “casoni” cioè case fatte di loto e coperte di paglia.

Nonostante questa relazione fosse portata dall’intendente di finanza di Padova, una zona caratterizzata da una situazione parzialmente diversa da quella di Treviso, la considerazione può ritenersi valida anche per il trevigiano. Sia a Padova che a Treviso la presenza di piccoli fittavoli era molto elevata.

Il costante aumento dei canoni di affitto era un fenomeno diffuso in tutto il Veneto, messo in relazione all’andamento favorevole dei prezzi dei prodotti principali immessi nel mercato

Il problema è che tale andamento non era accompagnato da un equivalente aumento di produttività. Salvo considerazioni relative a zone molto distanti da quella qui considerata, prevaleva invece la stazionarietà. Intorno al 1880 i prezzi continuavano a rimanere elevati soprattutto per la concorrenza che i contadini si facevano tra loro per avere in locazione terra da lavorare. Non era una semplice concorrenza basata sulle regole dell’economia. Diversi autori si soffermano su questo punto. Quello che muoveva i contadini era qualcosa di più profondo, basato sul concetto di status. Nel veneto era infatti radicata una chiara gerarchia di valori, in cui chi detiene la terra occupa una posizione dominante. Quindi chi disponeva di capitali cercava di investirli nell’acquisto di terra, chi ne aveva pochi faceva lo stesso, e chi era in affitto o a mezzadria cercava di divenirne proprietario. Chi invece ne possedeva poca faceva di tutto per non regredire nella scala sociale.

Lo status sociale era quindi deciso dal possesso della terra che si poteva lavorare. Ritrovarsi senza una terra “propria” significava precipitare al livello più basso della scala sociale, divenire quasi dei reietti. La volontà di emergere e l’attaccamento alla terra dei contadini era fortissima, al punto che non erano disposti a considerare altre alternative oltre ad impegnare anche quello che non avevano per conservare la “loro” terra, se non in casi veramente disperati.

Questa domanda elevatissima era la vera la causa degli elevatissimi canoni di affitto A.Lazzarini, Agricoltura e popolazione rurale. Pagina 37 e segg. In particolare si veda a pagina 48. che aumentavano in proporzione inversa all’estensione del fondo. Questo perché era maggiore la domanda di fondi di limitata estensione, essendo maggiore il numero di coloro che non potevano permettersi di ambire a fondi di dimensioni più ampie.

I folli aumenti dei canoni che continuavano anche in piena crisi agraria spingeranno il Governo a promuovere addirittura un’inchiesta (l’inchiesta Grimardi, dal nome del Ministro che la promosse).

A fine secolo i contadini ancora legati alla terra sono i tre quarti dei lavoratori agricoli. I braccianti avventizi si distinguono dalle altre categorie proprio per la mancanza del legame con la terra, e rappresentano il 24,24% dei lavoratori al censimento del 1901. Nonostante a causa della crisi essi debbano essere sicuramente aumentati rispetto al censimento del 1881, i dati ufficiali mostrano un calo del 5%. Molti autori sostengono che sia un dato falsato dalla diversa metodica di acquisizione dei dati nei due censimenti.

Nella pianura medio alta prevale la conduzione di terreni altrui su base poderale, a Treviso in particolare su base mista (affitto-mezzadria), di cui fanno parte i tre quinti dei terreni.

Il rendimento della produzione di frumento nella provincia di Treviso è sempre molto basso: ancora nel 1910 la produzione per ettaro fatica a raggiungere i 10 quintali, mentre nella bassa pianura polesana si è già raggiunta la soglia dei 20 quintali. Nella più vicina Padova si era a quota 16.

Pretendere di definire delle costanti nei canoni di affitto per farsi un’idea di come venissero determinati è una cosa impossibile. Morpurgo notava che molto dipendeva dalla fertilità del suolo, dalla distanza dai centri abitati, dall’ampiezza dello spazio affittato. Tuttavia già all’epoca era emersa una costante singolare (già segnalata): i prezzi crescevano in proporzione inversa rispetto all’estensione del fondo. Tanto più piccoli erano, tanto maggiori erano gli aumenti percentuali nei canoni.

Nella zona di Treviso, Venezia e nel Friuli mediamente si richiedevano da due a tre (con punte fino a cinque) ettolitri di frumento per ettaro, spesso anche una quantità minore di granoturco. Per i prati il canone era di 20-40 lire per ettaro, mentre uva, bozzoli e legna erano a mezzadria. A tutto questo si aggiungevano le onoranze, carreggi e prestazioni d’opera. Per finire, sempre a carico del conduttore gravavano anche decime e quartesi, oltre ai premi di assicurazione

Dall’altro lato della barricata bisogna tenere conto che anche i proprietari avevano avuto grossi problemi, causati sia dalle pesanti imposte che dal deprezzamento dei prodotti. Dato che una parte del canone era ottenuto in generi, essi si potevano rifare di queste perdite solo tenendo alto l’affitto.

Per quanto riguarda le imposte un solo dato può essere sufficiente a chiarire quella che era la situazione nel comune di Ponzano: l’imposizione fiscale era la più alta della provincia.Si veda il capitolo 4.

Intorno al 1880 la situazione nelle campagne era giunta al limite, come viene testimoniato da vari studiSolo a titolo di esempio cito alcuni testi che si possono consultare: G. De Rosa, La Società civile veneta dal 1866 all’avvento della sinistra, in atti del XLIII congresso di storia del risorgimento italiano (Venezia, 2-5 ottobre 1966). Sempre dello stesso autore La questione veneta e la crisi italiana del 1866, Roma 1968, pp. 155-162; A. Gambasin, Parroci e contadini…, Roma 1973, pp. 73-212. G. Zalin, La società veneta agraria alla fine dell’Ottocento. Possidenti e contadini nel sottosviluppo regionale, Padova 1978, pp. 75-139..  Nonostante le cose sarebbero peggiorate ancora nel decennio successivo, si può già parlare di piena crisi agraria.


Note:

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