Crisi nelle campagne trevigiane

IPOTESI

Il fatto di partire dallo studio del Comune di Ponzano e dell’alta pianura trevigiana, un ambito geografico piuttosto ristretto, permette di elaborare delle ipotesi che non sono facilmente generalizzabili. Il punto di arrivo di questa tesi è l’idea di agricoltore ottocentesco fornito dalla letteratura. Secondo l’Inchiesta Jacini sulla situazione nelle campagne venete e secondo la letteratura successiva l’agricoltore veneto era un bracciante. Viene infatti ovunque generalizzato a tutta la regione il concetto di proletarizzazione e bracciantizzazione dei contadini nella seconda metà del secolo. Tuttavia le testimonianze orali raccolte nel Comune di Ponzano rendono conto dell’esistenza della grande famiglia patriarcale (incongruente con la figura del bracciante) anche dopo la seconda guerra mondiale. Non solo: il tipico emigrante costretto dalle condizioni difficili ad espatriare non è ricordato come bracciante, bensì proprio il membro della famiglia allargata. Evidentemente il fenomeno della bracciantizzazione anche se innegabile nella seconda metà del XIX secolo non caratterizzò in modo uniforme tutta la regione, interessando in modo meno intenso alcune aree. Per la verità alcuni autori sottolineano la diffusione di vari fenomeni nella nostra regione “a macchia di leopardo”, evidenziandone dunque la discontinuità.

Quello che stupisce è che il fenomeno dell’emigrazione viene da sempre accostato all’aggettivo “bracciantile”. In particolare il trevigiano fu colpito in maniera nettissima dall’esodo dei contadini.

Ma allora chi era che emigrava? Certamente il contadino dell’Ottocento non era una figura tipica. Comprendeva invece una infinità di figure ibride, che presentavano una commistione di caratteristiche a metà fra il piccolo proprietario ed il bracciante o tra il piccolo fittavolo ed il bracciante. L’ipotesi che cerca conferme in questo lavoro è proprio quella che il contadino dell’Ottocento vada visto più come produttore che come bracciante.

La crisi dei prezzi nell’alta pianura colpì con maggiore forza proprio i piccoli produttori piuttosto che i braccianti. Ma perché la crisi dei prezzi dei prodotti agricoli ebbe un impatto simile generando l’ondata migratoria? In fin dei conti non si trattava del primo episodio di crisi agraria.

Una delle cose più importanti da considerare nello studio del mondo contadino sono la cultura e la tradizione. Il degrado della conoscenza agraria a partire dalla fine del settecento e la rigidità della struttura sociale sono secondo me all’origine dei fatti di fine secolo.

Come si può notare dalla tabella più in basso il calo dei prezzi dei prodotti agricoli non è una novità della fine dell’Ottocento, ma si ripropone ciclicamente. Sicuramente gli agricoltori in quanto produttori vengono messi in difficoltà da questa contingenza, ma in passato non si erano mai verificati casi così clamorosi di emigrazione.

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Nota: sacchi per i cereali e legumi, mastello per il vino

Senza avere pretese di tipo Maltusiano di voler generalizzare una interpretazione di dati che fa riferimento ad un contesto locale, le mie osservazioni cercano di dare una possibile lettura di cosa avvenne in quel periodo. Le cause che portarono alla clamorosa ondata migratoria sono sicuramente molteplici. E’ unanimemente accettato che la vera fonte di emigranti fosse la miseria. Ma come poté generarsi una situazione tanto infelice? Forse il cuore del problema fu la risposta intransigente della Chiesa alle idee illuministe della rivoluzione francese (avvenuta da inizio secolo), unite al fortissimo interesse alla pace sociale già presente. Da questa base si originò il differente tipo di risposta alla crisi dei prezzi di fine secolo: l’atteggiamento mentale giocò cioè un ruolo chiave. La “compattezza” decantata da tanti autori che garantiva la pace sociale era sì un pregio da molti punti di vista, ma impediva quella elasticità che rendeva possibile repentini adattamenti della società.

Così di fronte ad una duplice esigenza, quella di far fronte al contemporaneo calo dei prezzi ed all’esplosione demografica, la società si spaccò letteralmente in due.

Da una parte chi stava bene, dall’altra chi stava male come mai lo era stato prima. La mentalità era la stessa di sempre, non poteva cambiare dall’oggi al domani; così come gli interessi di chi deteneva le posizioni di vertice (per i quali in effetti quel tipo di società era costruita): non erano minimamente disposti a transigere sul loro stile di vita; dunque quale altra via restava a quanti non riuscivano a giungere alla soglia della sussistenza? La produttività come vedremo non poté crescere. Le figure che già si trovavano al limite della sopravvivenza e che riuscivano ad integrare lo scarso reddito prestando il loro lavoro si trovarono a malincuore a dover abbandonare la loro casa.

Nel primo capitolo cercherò di analizzare l’agricoltura veneta dell’Ottocento, per cercare di capire la situazione in cui si trovavano i contadini da un punto di vista pratico e quali fossero i problemi. Il secondo capitolo prende più in considerazione gli aspetti di tipo sociale con particolare riguardo al problema dell’istruzione, anche agraria. Il terzo ed il quarto capitolo sono tra loro strettamente connessi, dato che parlano dell’emigrazione e del problema demografico, mentre nel capitolo successivo la stessa analisi sarà focalizzata sull’area dell’alta pianura trevigiana e sul Comune di Ponzano in particolare.

Nota: Il fiorino austriaco nel 1856 valeva 3 lire austriache e lire italiane 2,61 La svanzica o lira austriaca, di cento centesimi, valeva lire italiane 0,87. Ho utilizzato per le stime dei valori in lire il rapporto di cambio di quell’anno. I dati di questa nota sono stati tratti da Internet, da un documento scritto da Giovanni Fabbiani, Breve storia del Cadore.