Crisi nelle campagne trevigiane
Secondo i dati tratti dall’archivio comunale la popolazione di Ponzano Veneto è aumentata costantemente dall’inizio del secolo, con una unica eccezione nei primissimi anni dopo l’Unità. Si noti come nel 1866 la popolazione sia di 2106 abitanti, mentre nel 1871 se ne contino solo 2069.
Eccettuato il periodo sopraindicato Ponzano sembra seguire la tendenza del resto della provincia, mentre tende a recuperare terreno sul fronte della densità abitativa. Nelle tre frazioni è Merlengo, quella più popolosa, che ha anche registrato un tasso di incremento percentuale della popolazione maggiore.
Possiamo quindi ipotizzare che anche nel comune di Ponzano si è assistito a fine Ottocento allo stesso processo di transizione che si è visto nel resto della provincia. Analizzando i dati della tabella 5.3 si nota come l’aumento della popolazione dal 1866 al 1885 sia in media dell’otto per mille.
Bisogna tuttavia tenere conto che esisteva una forte mobilità all’interno della provincia: erano numerosi i casi di trasferimento di nuove famiglie, sia verso Ponzano che verso i comuni limitrofi. Questi spostamenti a volte avevano un raggio d’azione più ampio, arrivando a toccare anche località del Trentino e della Lombardia. I dati conservati all’anagrafe relativi al periodo considerato non consentono di svincolare in modo agevole gli entrati dai nati e gli usciti dai morti; attraverso l’utilizzo di più documenti sono riuscito ad identificare per il periodo che va dal 1889 al 1900 una media di immigrazione verso Ponzano di circa il 10 per mille (tabella 3.8).
Le conclusioni a cui può portare questo dato sono incerte dato che, non conoscendo il numero degli emigranti, non si può stabilire se Ponzano sia stata un’area di prevalente emigrazione o immigrazione. Tuttavia, risalendo ai dati relativi alla provincia e considerando validi in prima approssimazione i dati relativi al calo della mortalità, possiamo ipotizzare che il numero delle partenze eccedesse quelle degli arrivi; questa tendenza veniva però compensata dall’incremento delle nascite. Come si può osservare dai dati relativi al periodo 1834-1838, rinvenuti casualmente consultando un registro, elevatissimi tassi di natalità e mortalità non erano insoliti.
Nota sulla tabella 5.5: i dati in corsivo sono stimati. Sono stati calcolati supponendo un andamento lineare. Non sono quindi significativi se non per una valutazione approssimativa del tasso di natalità.
Per tutto il periodo che va dal 1866 alla fine del secolo il tasso di natalità si mantiene sopra al 30 per mille. In realtà tolti i militari, i temporaneamente assenti senza possibilità di ritorno, gli irreperibili e gli abitanti con dimora ignota,Nei registri dell’anagrafe infatti vengono riportati i due valori separatamente. Tutti i valori antecedenti erano stati registrati in base allo stesso criterio, per cui nella tabella, non avendo dati certi, sono stati riportati quelli. la popolazione al 1900 ammontava a 2620 abitanti ed il tasso di natalità sale così al 43.1 per mille. Dato che i valori riportati relativi al numero di abitanti risulta inevitabilmente leggermente gonfiato, ne risulta che anche i valori della natalità debbano essere considerati più elevati.
Da un punto di vista economico Ponzano non era molto diversa da quella di inizio secolo. A questo proposito possono aiutare alcune considerazioni portare a partire dalle tabelle proposte da ScarpaGiorgio Scarpa, Proprietà e impresa nella campagna trevigiana all’inizio dell’ottocento, Regione del Veneto e Giunta Regionale. I dati delle tabelle sulla zona III e sul comune di Ponzano, ove non specificato, si riferiscono alla prima metà del secolo. relative alla zona III e alla provincia di Treviso. Il lavoro di Scarpa è basato sui dati del catasto austriaco, della prima metà dell’Ottocento. Poiché da un punto di vista agrario nel corso del secolo non ci furono grandi cambiamenti possiamo considerare i dati che presenta abbastanza attendibili anche per il periodo postunitario.
La zona III comprendeva tutti i comuni dell’alta pianura trevigiana, a partire dal fiume Piave, muovendosi verso ovest fino ai comuni di Castelfranco, Resana, Loria e San Zenone. Appartenevano ad altre zone i comuni interessati dal fenomeno delle risorgive a sud (considerati già bassa pianura) e quelli che includevano zone morfologicamente più collinari come Nervesa, Giavera, Montebelluna e Asolo.
L’insieme descritto comprende in pratica tutti i comuni dell’alta pianura della provincia di Treviso, tranne quelli della sinistra Piave, che avevano in ogni caso caratteristiche leggermente differenti (anche per quanto riguarda i contratti agrari).
Si può vedere come nella Zona III si abbia un rendimento decrescente della rendita, a seconda dell’ampiezza del fondo. Inoltre i fondi condotti direttamente fruttavano mediamente più di quelli in affitto e a mezzadria anche se rappresentavano solo un decimo del totale. Era l’affitto la forma di conduzione prevalente, anche se come abbiamo ricordato la distinzione tra affitto e mezzadria risulta ovunque un po’ incerta a causa delle molteplici possibilità contrattuali.
In ogni caso tra gli affitti prevalevano in numero quelli a denaro, mentre se si considera la superficie coltivata era più diffuso il contratto a generi. I poderi affittati a canone misto erano circa il 10%.
La dimensione media dei poderi affittati era di quattro ettari e mezzo, quindi in molti casi insufficiente a sfamare una famigliaLa media della provincia era di 7 ettari e mezzo.. Gli affitti a denaro erano comuni sui poderi più piccoli: dividendo la superficie per il numero di affittuari si trova una dimensione media inferiore ai 3 ettari. Ciò comportava il ricorso al lavoro bracciantile o giornaliero per integrare la rendita del podere. Gli affitti a generi avevano invece una superficie media di circa 6.3 ettari, mentre quelli misti con 5.3 ettari si collocavano a metà strada.
A Ponzano gli affitti coprivano più del novanta per cento della superficie, con una ampiezza media ancora minore, anche se di poco: 4,27 ettari. Ancora più piccoli i poderi condotti direttamente, di dimensioni mediamente inferiori ai 3 ettari. I quattro mezzadri potevano invece contare su più di dieci ettari a testa. Molto basse le rendite: in media 44,45 lire per ettaro negli affitti, 51.17 lire nella conduzione diretta e 34.10 lire per i mezzadri. Come si vede i valori delle rendite sono di gran lunga inferiori a quelli tipici della zona presentati nella tabella 5.7.
E’ però interessante notare come siano proprio i fondi condotti dagli enti pubblici quelli che presentano i rendimenti migliori. Le cause possono essere due: o questi disponevano di attrezzatura e conoscenze migliori, oppure i dati dichiarati dai privati sono inferiori ai valori reali. Tipicamente il rendimento di fondi gestiti per conto della comunità avrebbe dovuto avere un rendimento quantomeno simile ai fondi gestiti dai privati, e non superiore.
Questo fatto da una possibile spiegazione ai valori della tassazione sulle rendite rintracciabili sul citato “Vita del Popolo” del 13 febbraio 1892. Se i dati dichiarati fossero stati quelli reali arrivare alla soglia della sussistenza sarebbe stato impossibile: con un rapido calcolo 60.000 lire di rendita divise per 2.000 abitanti significano appena 30 lire l’anno per ogni bocca da sfamare! In pratica valutando ottimisticamente il fabbisogno pro capite in 20 centesimi al giorno la popolazione avrebbe potuto mangiare solo per 150 giorni l’anno! Da testimonianze dell’archivio sappiamo che in paese non erano presenti attività di tipo industriale, né bacinelle per la lavorazione della seta. Neanche i conduttori diretti avrebbero potuto sopravvivere, con una rendita media annua di 140 lire contro le spese che abbiamo visto nel capitolo 1.
Un termine di paragone utile a comprendere quali fossero le effettive esigenze in termini monetari della popolazione ci viene dai bilanci comunali. Sappiamo che il maestro veniva pagato nel 1876 con 600 lire annue, mentre le due maestre ne ricevevano 500. Nello stesso anno il medico dei poveri veniva pagato con 1800 lire, mentre l’ostetrica riceveva 400 lire. L’anno successivo lo stipendio del maestro fu aumentato di 5 lire, e quello delle maestre di 50 lire. Nonostante si possa fare riferimento a queste figure come ad elementi di spicco della società contadina, il divario in termini economici è troppo elevato rispetto ai dati forniti dal catasto austriaco. E’ anche vero che nel 1867 l’onorario dell’insegnante ammontava a sole 250 lire; tuttavia potrebbe essere un dato che risente ancora della tendenza del passato austriaco a retribuire miseramente gli insegnanti più che un dato in linea con il periodo italiano. A conferma di questa ipotesi sull’inerzia delle trasformazioni la stessa struttura dell’archivio comunale rimase legata alla classificazione austriaca per molti anni dopo l’unità.
L’unica conclusione logica è che una grossa parte della produzione non fosse espressa dal valore della rendita o non venisse dichiarata, anche perché questi dati sono riferiti ad un periodo antecedente all’Unità (anche se di poco) e alla grande crisi.
Se questa ipotesi è corretta significa che anche le tasse, corrisposte sul valore dichiarato, avevano un significato differente, dato che l’incidenza reale del prelievo sarebbe stata di molto inferiore al loro valore nominale.
Dalla tabella 5.11 possiamo osservare che la terra apparteneva principalmente a due grandi categorie: i nobili e gli “altri”. Dato che quasi tutto il terreno era dato in affitto non resta che interpretare questi “altri” come ricchi proprietari terrieri borghesi. Piccolissima la quota coltivata in proprio, inferiore al 10 %. Ricordando sempre che si tratta di dati del catasto austriaco, dov’è quella moltitudine di piccoli proprietari “che stanno sparendo” denunciati dalla “Vita del Popolo”? Forse si fa riferimento in improprio ai piccoli fittavoli, che con la crisi assumeranno sfumature più simili a braccianti per via dei margini più ridotti.
Prendendo sempre spunto dal lavoro di Scarpa (tabella 5.12) vediamo che la superficie era prevalentemente occupata dai seminativi, mentre la presenza di prati pur al secondo posto è considerevolmente bassa. Allineata a quanto
riportato dalla letteratura è la quota di terreni arborati-vitati, che sembra abbiano caratterizzato le campagne dell’epoca. Anche questa usanza ebbe numerosi strascichi fino alla seconda metà del XX secolo.
Le liste di leva
Pur considerando le ovvie limitazioni dovute al numero esiguo della popolazione studiata ed al limitato intervallo temporale considerato, la mia analisi dell’archivio di Ponzano si è concentrata anche sui dati contenuti nelle liste di leva. Lo scopo è valutare l’andamento della salute dei giovani grazie ai dati registrati alle visite di leva. I giovani venivano sottoposti alla visita di leva a 19 anni e a partire dal 1883 a 18 anni. Ci sono quindi due valori distinti per l’anno 1883: questo perché sono compresi sia i nati nel 1864 che quelli del 1865.
Dalla tabella 5.14 si sono ricavati i grafici 5.1-5.6.
Innanzitutto una osservazione sulla cronologia: come considerare i dati raccolti? Certamente sono espressione del periodo che li ha preceduti, ma si tratta di un periodo ampio (quasi 20 anni), per cui le cause che possono portare, per esempio, al decesso un ragazzo prima della visita possono essere state le più disparate. In prima analisi possono comunque essere considerati dati significativi.
I dati sui giovani ritenuti abili di prima categoria sono riportati nei grafici 5.1 e 5.2. L’osservazione più immediata riguarda la tendenza di fondo al miglioramento della percentuale di arruolati di 1^ categoria. Purtroppo il
modello lineare mal si presta ad esprimere la tendenza del fenomeno, che ha piuttosto un andamento sinusoidale, come viene evidenziato meglio dal grafico 5.2.
Dividendo il periodo in quinquenni notiamo un miglioramento fra il 1875 ed il 1880 con un successivo peggioramento della situazione fino al 1895 circa. Da lì in poi la situazione migliora costantemente nonostante i giovani che si sottoponevano alla visita di leva fossero cresciuti proprio negli “anni neri”.
Il grafico 5.3 mostra invece il valore percentuale degli abili in generale. Il valore si mantiene sempre superiore al 50%, con un andamento molto altalenante. Si rileva un netto peggioramento a partire dal 1897.
La spiegazione di questi due fenomeni può essere che le condizioni difficili degli anni ottanta, che non colpirono i giovani più forti, fecero sentire il loro effetto proprio sui ragazzi costituzionalmente meno dotati.
Il grafico 5.5 sembra proprio dar credito a questa ipotesi, mostrando come il fenomeno della prematura scomparsa dei giovani prima della visita di leva inizi proprio negli anni ottanta.
Per finire il grafico 5.6 da una rozza indicazione circa l’andamento migratorio. Bisogna sottolineare con particolare riguardo a questo grafico l’importanza della prospettiva temporale: i giovani renitenti ed all’estero potrebbero essersene andati in qualunque momento degli anni precedenti la visita seguendo le famiglie, oppure essere partiti soli in età più adulta. Comunque la quota percentuale raggiunge valori veramente elevati (tabella 5.15).
Anche l’archivio riporta numerose tracce dei trasferimenti degli emigranti, tra cui anche dei passaporti. Purtroppo la frammentarietà delle tracce non permette di risalire a dati significativi. L’unica cosa che si riesce a rintracciare sono sensazioni simili a quelle riportate dalla copiosa letteratura sull’emigrazione.
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