Crisi nelle campagne trevigiane

LA RETRIBUZIONE DEGLI OBBLIGATI

Se da un certo punto di vista è assai complicato valutare la retribuzione dei braccianti obbligati, a causa della varietà della retribuzione (in denaro e in natura), la loro situazione era sicuramente più certa di quella dei giornalieri. Infatti la natura del loro contratto permetteva a proprietari, agenti e castaldi di controllarli nei minimi dettagli.

Sia i redditi che i consumi sono simili a quelli dei giornalieri, anche se leggermente superiori.

“L’obbligato è tale perché si vincola per un anno a prestare il proprio lavoro, e quello delle donne e dei ragazzi della famiglia, su richiesta del padrone il quale deve cercare, per quanto gli è possibile e senza suo danno, di trovargli occupazione continua.”

La principale componente del suo reddito deriva quindi dalle giornate di lavoro che effettivamente presta. Deve svolgere tutte le attività inerenti alla coltivazione del fondo, escludendo quelle di competenza dei salariati fissi, che hanno compiti più definiti.

La paga percepita giornalmente è assai più bassa di quella dei giornalieri, attestandosi intorno ai 30-40 centesimi in inverno e ai 60-70 centesimi d’estate. Anche in questo caso ci sono punte di due lire o due lire e mezzo nella settimana della mietitura. Nel caso di una retribuzione a contratto, egli riceve in media per lo sfalcio dei prati una lira per campo, 3 lire a campo nel caso della zappatura del mais, e 5 lire a campo con la mietitura del frumento.

In ogni caso il salario percepito su base giornaliera è circa la metà di quello dei giornalieri. Tale forbice si mantiene anche su base annua.

Una retribuzione tanto esigua è possibile solo in virtù di patti che forniscono una retribuzione in natura. Essa può essere fissa o in compartecipazione al prodotto. L’ultima ipotesi è la più diffusa, in quanto (quasi fosse un contratto di agenzia) permette al proprietario di scaricare sul contadino una parte del rischio ed inoltre lo induce a lavorare di più e meglio. Nei tipici contratti tradizionali di mietitura del grano e battitura del correggiato il contadino poteva trattenere il nove per cento del prodotto. Con l’arrivo della trebbiatrice il lavoro diverrà più semplice, ma verranno anche perse queste possibilità di guadagno.

Nella zona del Trevigiano permane il diritto di zapperia, che qui assume il nome di caveledego. Consiste nella partecipazione ad un terzo del raccolto derivante da un campo a cui vengono praticate tutte le operazioni colturali. Spesso queste operazioni vengono eseguite dalle donne e dai ragazzi.

Gli obbligati godono anche dell’uso di una abitazione, che spesso non è che un casone, e di una chiusura, un pezzo di terra di cui possono disporre quasi liberamente. Spesso di tratta di un piccolo orto, ma in altri casi varia dalle dimensioni di un terzo di ettaro a mezzo ettaro. Solo raramente arrivano ad essere di un ettaro. Da esse la popolazione trae i prodotti essenziali per la sopravvivenza, come ortaggi mais e canapa, oppure può allevare dei polli nei limiti fissati dal padrone. Non sempre i benefici che se ne traggono compensano l’affitto della casa e della terra. Di solito corrisponde a diverse decine di giornate di lavoro e se il fitto è in denaro la somma viene dedotta direttamente da esse.

Altre fonti di entrata per l’obbligato potevano derivare dall’allevamento dei bachi da seta, anche queste in compartecipazione col proprietario attraverso un patto di soccida. I lepidotteri erano forniti dal proprietario e allevati dai contadini in cambio di una partecipazione agli utili.

Ancora potevano usufruire del lavoro delle donne e dei ragazzi, che però veniva pagato pochissimo. Infine tra le fonti di reddito vanno ricordate altre attività come la spigolatura, la filatura della lana o della canapa.

Il contratto tra proprietario e obbligato era quindi molto complesso. Riguardo al livello della retribuzione si può comunque individuare una regola: quella della compensazione. Ovvero nei casi in cui il salario monetario fosse stato più elevato, allora sarebbe stato maggiore anche il canone di affitto della casa. Se la chiusura è di dimensioni più ampie, sarà minore il compenso per le opere prestate a favore del padrone. Si attuava cioè un meccanismo di compensazione che non permetteva mai di uscire dalla cronica condizione di miseria.

La retribuzione degli obbligati è simile in tutto il Veneto, e non si discosta neanche molto da quella dei contadini lombardi. La condizione economica è comunque migliore di quella dell’avventizio, ma a patto di una subordinazione pressoché totale. Inoltre nelle annate in cui il raccolto è più scarso lo è anche la sua retribuzione. Nello stesso tempo non ha un lavoro assicurato, e non può neanche trovarlo altrove. La sua condizione può dunque divenire peggiore di quella degli avventizi, specie in caso di malattia, perché anche alla moglie e ai figli è vietato cercare lavoro altrove. In ogni caso verrebbero comunque pagati poco, perché la loro prestazione viene già retribuita nel salario dell’uomo, e viene considerata prestazione accessoria. Si potrebbe pensare che questa situazione di subordinazione venga meno laddove la retribuzione è per la maggior parte in denaro. Purtroppo il sistema delle sovvenzioni non lo rende possibile. Il padrone fornisce alla famiglia dell’obbligato il granoturco necessario ad arrivare al raccolto successivo, di norma ogni 15 giorni. Il totale annuo si aggira intorno ai 5 o 6 ettolitri. A fine anno queste anticipazioni vengono sommate al fitto della casa e della chiusura, alla quota dovuta sui bachi. Il tutto viene contabilizzato e dedotto dalla retribuzione dovuta. Spesso invece di essere pagato, il contadino si ritrova ad essere più indebitato di prima!

Mano a mano che l’obbligato si indebita col padrone con l’andare del tempo, cresce pure la sua subordinazione. Il salario diviene una entità meramente contabile, ed il bracciante non può avvicinarsi al mercato neanche per acquistare il granoturco. Così dovrà accettare quello che gli viene somministrato, spesso di qualità scadente o addirittura pessima.

Intorno al 1880 le sovvenzioni sono ancora generalizzate, pur avendo notevoli varianze tra zona e zona.

Nel suo libro Lazzarini parla di un reddito e di un consumo pro capite giornaliero di compreso fra i 20 e 32 centesimi, per una spesa totale annua di 400 - 500 lire annue per una famiglia di 4 - 5 persone. Una situazione appena migliore degli avventizi, ma una situazione sempre di grande miseria: è una cifra in grado di acquistare appena un chilo e mezzo di granoturco. Tuttavia una differenza anche di pochi centesimi può essere di importanza vitale, perché è collocata vicino ai livelli della sussistenza.