Crisi nelle campagne trevigiane

PARROCI ED ISTRUZIONE AGRARIA

Il ruolo agronomico dei parroci fu evidenziato in un libro già nel 1774, a cura di Francesco Griselini. Il termine agronomia (distinto da quello di agricoltura) nasce come termine nel 1768 a Padova, a cura di Pietro Arduino. Il primo vocabolario agronomico fu redatto da Giambattista Gagliardo a Milano nel 1804, seguito da edizioni a Napoli e Milano rispettivamente nel 1813 e 1822.

L’istruzione agraria è un argomento che trovò ampio spazio sui giornali e nei dibattiti delle accademie già prima della metà del secolo. Nel 1858 si tentò di creare una scuola di agricoltura a Treviso, senza però alcun risultato. Risultato che venne invece conseguito nel 1863 a Conegliano. Quella che diventerà la futura scuola enologica però ebbe in questa fase una portata limitata ai confini del distretto di Conegliano.

Di fatto prevalse la tendenza a lasciare affidata l’istruzione agraria ai parroci, che fusero l’insegnamento agrario a quello religioso e morale. Questa soluzione permise di mantenere gli equilibri sociali esistenti, dirigendo l’istruzione direttamente ai contadini. Era un insegnamento concentrato sul pratico piuttosto che sulle questioni più teoriche.

Nelle polemiche ottocentesche alcuni giornali espressero opinioni del tutto diverse, preferendo una soluzione tendente ad indirizzare l’istruzione agraria solamente ai figli di proprietari e degli agenti di campagna per formare dei tecnici preparati. Secondo alcuni esponenti delle classi dominanti una istruzione impartita indistintamente a tutti veniva considerata in alcuni casi addirittura dannosa!

Le Accademie Agronomiche nel Veneto sorsero ad opera dei sacerdoti e dei nobili di terraferma.

Già ad inizio Ottocento vennero redatti molti testi significativi sull’agronomia.Solo nel 1813 furono scritti i seguenti testi: Giuseppe Tommaselli, Idea di un orto agrario ed Istruzioni sopra gli alberi campestri e boschivi. Bartolomeo Lorenzi: Del tempo migliore per letamare i campi per seminarvi il frumento. Melchiorre Spada: Catechismo di agricoltura, poi Dissertazione sopra i mezzi x migliorare la coltivazione delle terre nel territorio trevigiano alto e basso. Ecco inoltre altri testi significativi ad opera di Lorenzo Crico: Bucoliche di Virgilio (edite a Treviso 1792), Ecologie rusticali (Treviso 1794), L’amico dei contadini, dialoghi di un piovano (Bassano 1804), La coltivazione del granoturco. Canti tre ( Treviso 1812), Il contadino istruito dal suo parroco (Venezia 1817), Istruzioni di agricoltura per i contadini (Venezia 1820), Doveri del contadino. Lettere di un possidente al suo colono (Alvisopoli 1822), Agenzia di campagna. Lettere di un possidente al suo fattore (Venezia 1825 e riedito a Treviso nel 1829 con il titolo Istruzioni per un gastaldo). I testi scritti da illustri autori sull’agronomia aumentarono via via che ci si avvicinava alla metà del secolo. Solo nel Veneto venivano editi anche più di 250 testi in un anno. Il grande interesse che ebbe questo argomento sta a dimostrare anche la grande necessità di diffondere questo tipo di conoscenza. Dimostrava però anche la grande chiusura che condannava all’incapacità di trasmettere le conoscenze tra le masse contadine, oltre che ad una mancanza di fondo delle stesse relativamente alla coltivazione della terra.

Secondo il citato Antonio Kellar la situazione in Veneto presentava tre caratteristiche.

Per prima cosa prevalevano i possedimenti di media estensione e anche quelli più ampi erano da molto tempo appoderati, affidati a fattori e gastaldi di estrazione contadina che nulla sapevano di agronomia più dei coltivatori, tenacemente ostili ad ogni innovazione.

In secondo luogo questo sistema era difficile da modificare perché si chiudeva in un circolo vizioso che non poteva essere rotto in un solo punto: se si preparano professionalmente i fattori, infatti, essi non venivano poi assunti perché, per effettuare investimenti produttivi, avrebbero richiesto capitali che i proprietari non sarebbero stati disposti a pagare; se invece si fossero istruiti i possidenti, questi non avrebbero trovato fattori preparati e perciò avrebbero desistito dall’introdurre innovazioni, perché avrebbero dovuto impegnarsi troppo nella direzione dell’azienda e nella sorveglianza dei dipendenti.

Il terzo punto riguardava l’esistenza dell’Università con una cattedra di Economia Rurale che era ordinata soprattutto a contribuire alla formazione degli ingegneri e dei periti agrimensori. Questa si rivelava però non in grado preparare dei laureati capaci di applicare nella pratica ciò che apprendevano in teoria, essendo l’orto agrario in cui avrebbero dovuto compiere le loro esercitazioni pratiche troppo ridotto per questo scopo, tanto più dopo il 1846 quando venne ridotto a soli sette campi padovani.

Da queste osservazioni il professore partì per formulare delle proposte per una scuola agraria migliore, veramente realizzata sulle esigenze dell’agricoltura veneta. Il progetto restò comunque incompiuto, perché non ricevette sufficiente attenzione. Le considerazioni portate dal professore rimangono comunque valide.

Anche il Governo Austriaco cercò di adoperarsi per migliorare la situazione. Tentò di portare l’insegnamento di agraria nelle scuole elementari e nei ginnasi, dal 1860. Tuttavia gli insegnamenti agli insegnati risultarono del tutto inadeguati, essendo basati su corsi di 5 ore settimanali per la durata di 5 mesi. Inoltre i maestri non potevano certo permettersi l’acquisto dei libri di agraria, ed i comuni non li fornivano, nonostante le raccomandazioni del governo.

Si cercò allora di integrare l’istruzione elementare con la scuola nei giorni festivi; nella scuola festiva si insegnavano materie rispondenti alle necessità locali quali agricoltura e artigianato. Purtroppo queste esperienze ebbero quasi sempre una vita breve.

Dal 1862 partì un tentativo di affidare un piccolo appezzamento di terra in gestione alle scuole per insegnare agronomia pratica ai bambini. La reazione generale a questa proposta fu di aperta ostilità. I più contrari erano proprio i leader dalle amministrazioni locali, cioè i possidenti. Questi mediamente ritenevano l’istruzione elementare inutile, in alcuni casi addirittura dannosa.

Le motivazioni addotte erano tuttavia altre, cioè la difficile situazione finanziaria del comune, la mancanza di terreno, l’indisponibilità degli alunni (che finite le lezioni avrebbero dovuto lavorare ancora con i genitori nei campi) e la mancanza quasi totale di cognizioni agricole da parte dei maestri (che non avevano neanche il tempo per acquisirle). Effettivamente gli stipendi pagati dai Comuni ai maestri costringevano gli insegnanti a cercare una seconda occupazione per integrare il salario; la conseguenza sarebbe stata un asservimento dello strumento scolastico al sostentamento dell’insegnante.

Il sistema scolastico creato dall’Austria era tuttavia basato su principi moderni: obbligo della frequenza, gratuità, parità tra maschi e femmine. Quindi il sistema scolastico in sè era molto avanzato anche rispetto al resto dell’Italia. Non bisogna incorrere nell’errore di credere che tutto fosse sbagliato. Tuttavia il suo rendimento era molto basso a causa soprattutto del suo principale punto debole: proprio la preparazione degli insegnanti.

Questi non solo non avevano la possibilità materiale di aggiornarsi, ma erano spesso costretti a considerare l’insegnamento una attività secondaria o accessoria. In pratica il loro sostentamento doveva essere basato anche su un’altra attività, a causa degli irrisori salari percepiti come insegnanti. La figura dell’insegnante non veniva considerata abbastanza, al punto che nei casi peggiori ad insegnare erano addirittura persone “incapaci di procurarsi il vitto altrimenti e mal apparecchiata all’ufficio pedagogico”.

L’insegnamento era anche gestito dai sacerdoti. In questo caso, dato che la bassa retta percepita dava l’idea di essere una specie di “appendice” del beneficio, questi finivano per considerare questa attività come secondaria.

Diversi autori individuano nei miseri salari la vera causa dei “più ridicoli maestri del mondo”Citazione da Sceriman, Dei difetti del regime austriaco, pagina 93, citato da Lazzarini, Fra tradizione e innovazione… cit.  pagina 108. Altri autori citati nella stessa pagina sono Parravicini, G. Vigo, Zannini (un contemporaneo) e Codemo. Quest’ultimo sottolinea che i maestri sono “fiacchi”, amareggiati, “mal curanti di coltivarsi negli studi”,  e la causa consiste nel fatto che i Comuni sono spesso indifferenti alle scuole e a volte addirittura contrari, “considerando quasi del tutto sprecate le spese per l’istruzione popolare, le quali sono obbligati a sostenere”. Per quanto riguarda il clero osserva che “in qualche Comune è maestro il sacerdote avente cura d’anime, il quale, non ostante il buon volere, riguarderà sempre la scuola stessa come un ufficio secondario.” G. Codemo, Sulle scuole, Venezia 1866, pagine 11-12)..

Anche i mezzi a loro disposizione erano così esigui che qualsiasi mezzo sarebbe stato utile per arrotondare lo stipendio, quindi anche l’eventuale appezzamento da utilizzare per l’insegnamento.

Le proposte avanzate durante il periodo austriaco per migliorare la conoscenza nel campo dell’agraria furono alquanto discutibili.

Si arrivò a chiedere agli insegnanti stessi di riferire cosa servisse loro per insegnare questa nuova materia “senza nulla toccare dell’ordinamento presente”. Chiaramente una domanda da cui non si potevano trarre indicazioni valide, dato che quello che andava fatta era una riforma organica dell’ordinamento scolastico. L’unica soluzione secondo i protocolli delle varie conferenze tenute all’epoca,Vedi Lazzarini, Fra tradizione ed innovazione… cit. pagina 109 e 110, note 91 e 92. era quella di inserire un insegnamento autonomo. Non si potevano mutuare dai vari campi del sapere delle risposte adeguate. I grandi risultati sbandierati sui vari giornali dell’epoca relativi all’istruzione agraria avevano lo scopo di costruire una immagine di un’Austria che, nonostante stesse ancora dominando il Veneto, esercitava un controllo che, almeno nel campo dell’agricoltura, risultava essere vincente. Serviva come immagine da porre ad una Europa piuttosto maldisposta nei confronti della dominazione austriaca nel Veneto.

I cardini delle manovre tentate in questo settore furono due: il non pesare sull’erario e l’assenza di una vera e propria progettualità. Così si tentò un’istruzione basata su conferenze da tenere nei villaggi con insegnamento a tutti i livelli basato su testi carichi di aforismi e proverbi facili da ricordare.

Il progetto trovò attuazione a Conegliano nel 1864, ma venne subito abbandonato dal docente di agraria chiamato ad insegnare, per via della scarsa efficacia. Lo stesso docente infatti polemizzò dopo poco tempo sulle pagine del “Giornale di agricoltura”.

Nel 1858 a Treviso era fallito un tentativo chiamato “il pranzo agricolo di incoraggiamento a Treviso” (“L’incoraggiamento”, X, 1858, pagine 59-60). Nel 1864 a Treviso il comune si accordò con il seminario vescovile perché quest’ultimo attivasse un corso di agricoltura con lezioni orali bisettimanali. Il tutto doveva essere coadiuvato da prove sperimentali nell’orto agrario del comune che il seminario aveva in godimento, obbligando i maestri a parteciparvi.

Questa situazione si trovò a cambiare radicalmente con l’unità d’Italia avvenuta nel 1866. I corsi di agronomia tenuti nelle scuole vennero bruscamente interrotti, e le stesse scuole dovettero cambiare ordinamento. I cicli di lezioni tenuti dalle società e dalle accademie si trovavano ora in competizione con quelli tenuti dai comizi agrari.

Vennero però create numerose sezioni agronomiche negli istituti tecnici. Purtroppo, tralasciando il fortunato caso della futura scuola enologica di Conegliano e altri fortunate esperienze realizzate a Padova e Udine, quasi tutte vennero chiuse subito.

I problemi che costrinsero gli istituti a questo tipo di scelta riguardavano sia il tipo di istruzione impartito, che forniva agli studenti conoscenze troppo teoriche, sia il tipo di struttura economica e la mentalità imperante. I possidenti non erano disposti ad assumere gli studenti perché preferivano la lunga conoscenza pratica degli agenti, oltre che per conservatorismo e timore di dover sborsare grandi capitali in ammodernamenti.

Così ad esempio a Treviso, dove a differenza di altre città erano numerosi gli studenti che partecipavano ai corsi, una volta diplomati gli studenti finivano per divenire “malcontenti e spostati”A. Lazzarini, Fra tradizione e innovazione… cit. pagina 116, nota 107, tratto da M. G. Balbi-Valier, Inchiesta agraria. Provincia di Treviso. Relazione del deputato provinciale M.G.B.V. in risposta al commissariato della regione veneta comm. Morpurgo sugli interrogatori della Giunta per l’inchiesta, Treviso 1881..

L’istruzione elementare a Ponzano

Con l’Unità anche l’istruzione elementare divenne un problema. Nel comune di Ponzano nel 1867 vennero stanziate 400 lire per l’istituzione di una scuola femminile, dato che prima dell’annessione il regime austriaco prevedeva classi miste. Per rendere un’idea di quelli che erano i costi si può pensare che l’onorario dell’insegnante era di appena 250 lire, stipendio insufficiente a mantenere una modesta famiglia per un anno.
Nel comune di Ponzano erano presenti due “scuole”, tenute in case private previa il pagamento di un affitto. Si trova traccia nell’archivio comunale di diverse lamentele circa il rendimento di queste istituzioni. Secondo alcuni la colpa era da attribuire proprio ai locali che non permettevano agli studenti di concentrarsi. Secondo altri la vera causa dell’insufficiente rendimento era invece da attribuire alla preparazione dei due insegnanti.
Per porre rimedio alla situazione vennero avanzate due proposte: la prima di riunire le due scuole in un’unica sede e di assumere un insegnante più preparato, a cui destinare gli stipendi dei vecchi insegnanti.
In secondo luogo venne richiesta la creazione di una scuola serale a cui poter istruire anche chi lavorava durante il giorno.
Balzando idealmente all’anno 1874 scopriamo che il Comune, attraverso la Congregazione di Carità, provvedeva al materiale necessario alle famiglie povere. Su settantadue bambini frequentanti le elementari nel Comune ben venti ricevevano gratuitamente il materiale di cancelleria necessario, come richiesto dalla maestra. L’iter per avviare questo processo era abbastanza macchinoso: la maestra doveva inviare la richiesta in Comune, il quale avrebbe informato la Congregazione di Carità, che avrebbe verificato la effettiva povertà dei bambini o delle bambine per cui la richiesta veniva inoltrata. Per finire questa avrebbe rispedito la sua indagine firmata in Comune, il quale avrebbe finalmente provveduto a stanziare la somma necessaria.


Note:

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