Crisi nelle campagne trevigiane

ALTRI PROBLEMI DELL’AGRICOLTURA VENETA DELL’OTTOCENTO

I problemi dell’agricoltura nel XIX secolo erano anche dovuti a cause che non avevano a che fare con aspetti tecnici della produzione, primo fra tutti il problema del credito che verrà trattato più avanti. Un accenno meritano, oltre alle condizioni atmosferiche avverse già citate nell’introduzione, le malattie delle piante e degli animali che resero vani gli sforzi di molti contadini.

Malattie delle Piante

Le malattie che infestarono le piante a Ponzano nel secolo scorso furono le stesse che colpirono tutto il Veneto.  Innanzitutto la diaspis pentagona, malattia che colpiva i gelsi, importanti per l’allevamento dei bachi da seta. Poi c’era la filossera, giunta nel 1879, che distruggeva le viti, un alimento molto importante in quanto da esso proveniva una parte non trascurabile del reddito. Sempre le viti vennero colpite dalla peronospora (un fungo che colpiva le foglie ed il grappolo, che come rimedio richiese l’introduzione della solforazione) e dall’oidio (altro fungo, biancastro, che colpiva i grappoli, anch’esso sconfitto con lo stesso metodo) .
Altre malattie colpivano il frumento e il granoturco: la “malattia del carbone” (dei parassiti che rilasciano delle spore nerastre al momento della riproduzione), la “ruggine” (un fungo che macchia le foglie di un bruno rossiccio, lasciando un aspetto rugginoso; venne combattuta con sali di rame), il “mal bianco” (altro fungo che colpisce le foglie facendole ingiallire e cadere), la “pirabile” (un verme che nasce dalle uova deposte da un microlepidottero, che corrode radici, foglie e frutti delle piante).
Nell’archivio si trova traccia della minaccia nel 1869 della cetonia dorata (conosciuta volgarmente con il nome di “mosca d’oro”). L’insetto infestava pesantemente il Comune di Povegliano, ed era presente anche a Ponzano. Per evitare che l’infestazione divenisse massiccia venne istituita una taglia: sarebbero stati pagati 15 centesimi per ogni libbra di insetti consegnati in comune.

Le malattie degli animali

La morte di un animale era una perdita consistente, un piccolo lutto in famiglia. Sotto la dominazione austriaca si verificarono delle epidemie di “cancro volante della lingua” (1823), di carbonchio (1834), di moccio dei cavalli (1852). Erano tre i luoghi in cui dovevano essere sepolti gli animali colpiti da tali malattie, uno per frazione. Nonostante fossero tassative le disposizioni relative alla tumulazione degli animali morti, per ignoranza e faciloneria più di qualcuno perse la vita cibandosi di carne infetta.

Animale importantissimo nell’economia rurale era il baco da seta, da cui si otteneva il prezioso filo. L’attività di allevamento continuò ad essere praticata fino a che non arrivarono sul mercato le fibre artificiali. A complicare le cose c’erano però parecchie malattie: l’atrofia o pebrina, il calcino, la flaccidezza o negrone (rispettivamente un parassita che passava dalle uova all’individuo, una muffa e un morbo).

Dato che rimedi scientifici per queste malattie non ne esistevano, si utilizzavano rimedi empirici come le fumigazioni, oppure si invocava l’aiuto divino con benedizioni e preghiere, e si bruciava l’ulivo benedetto come forma propiziatoria.

Sia dal punto di vista delle malattie delle piante che di quelle degli animali (oltre che per gli uomini) la letteratura ricorda l’Ottocento come un secolo particolarmente sfortunato per gli agricoltori. Le condizioni di molti di essi divennero precarie proprio a causa di episodi spiacevoli dovuti alla reiterata perdita del raccolto, come nel caso dell’uva e dei bachi verso la metà del secolo.

 

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