Le Rondini di Ponzano Veneto
La legislazione italiana in materia di emigrazione
Prima e subito dopo l’avvento dell’unità d’Italia il fenomeno migratorio legato per lo più a sporadiche migrazioni stagionali, spesso all’interno dell’Impero Austroungarico cui il Veneto apparteneva, non destò particolari preoccupazioni fra i governanti.
Fu verso la fine del secolo XIX, quando il fenomeno assunse proporzioni epocali, che i latifondisti proprietari delle campagne, specialmente nel sud, cominciarono a temere per la fuga di manodopera abile alla coltivazione della terra. La stessa preoccupazione iniziò poco dopo a serpeggiare anche nelle campagne e fra gli industriali del nord.
Per osteggiare l’emigrazione, nel 1868 il Presidente del Consiglio Menabrea emanò una circolare affinché i Prefetti impedissero l’espatrio a coloro che volevano emigrare ma non erano in grado di dimostrare di avere un contratto di lavoro nello stato estero di destinazione.
La successiva circolare Lanza del 18 gennaio 1873 impose l’obbligo all’emigrante di provvedere di persona anche al proprio viaggio di ritorno in caso di malattia o indigenza.
La prima e assai restrittiva norma sull’emigrazione venne promulgata con Legge 30 dicembre 1888, n. 5866. Dopo aver stabilito che “L’emigrazione è libera, salvo gli obblighi imposti ai cittadini dalle leggi”, pone una serie di condizioni all’emigrazione e si interessa quasi interamente di regolamentare la figura dell’agente di emigrazione senza preoccuparsi minimamente del destino dell’emigrato in terra straniera.
La nuova Legge 31 gennaio 1901, n. 23, cerca di regolamentare meglio l’emigrazione e si preoccupa del buon trattamento durante il viaggio dei migranti, di calmierare i prezzi dei biglietti dei piroscafi e anche della salute dei viaggiatori. Pone le basi per l’istituzione in terra straniera di appositi uffici di patronato per dare assistenza legale, sanitaria e di indirizzo al lavoro ai nuovi arrivati.
Nel 1913 e nel 1918, furono apportate altre integrazioni alle normative e dopo il primo conflitto mondiale, con la forte ripresa dell’emigrazione, fu emanato il Regio Decreto Legge 13 novembre 1919, n. 2205, di approvazione del testo unico dei provvedimenti sull’emigrazione e sulla tutela giuridica degli emigranti. All’articolo 10 il testo unico dà finalmente la definizione del migrante disponendo testualmente che: “Salvo disposizioni speciali, è considerato emigrante agli effetti della legge e dei regolamenti sull’emigrazione, ogni cittadino che espatri esclusivamente a scopo di lavoro manuale o per esercitare il piccolo traffico, o vada a raggiungere il coniuge, ascendenti, discendenti, fratelli, zii, nipoti e gli affini negli stessi gradi, già emigrati a scopo di lavoro, o ritorni in paese estero ove già precedentemente sia emigrato …”. Al successivo articolo 17 specifica che i migranti devono viaggiare in terza classe qualora “si rechino in un paese posto al di là del Canale di Suez, escluse le colonie e i protettorati italiani, o in un paese posto al di là dello Stretto di Gibilterra, escluse le coste d’Europa.”
Finalmente il legislatore si è preoccupato di tutelare i migranti, consapevole dei grossi interessi che giravano attorno ad essi.
Come succede ancor oggi, a migranti di altre nazioni, erano numerosi i casi di sfruttamento e di imbrogli subiti da disperati in cerca di fortuna, da parte di mediatori senza scrupoli. Tante le testimonianze riportate nei numerosi testi che hanno trattato di migrazione fra il 1800 e il 1900.
Il successivo articolo 18 stabilisce che: “Nessuno può arruolare o accaparrare emigranti, promettere o vendere biglietti d’imbarco, se non ha ottenuto dal commissariato la patente di vettore di emigranti, più una speciale licenza dello stesso commissariato, subordinata ad opportune garanzie, quando trattasi di emigranti con viaggio gratuito o sussidiato, o in qualsiasi modo favoriti o arruolati.”
Onde eliminare o combattere la migrazione clandestina il R.D.all’articolo 25 stabiliva: “Né il vettore né il suo rappresentante possono dare biglietti d’imbarco agli emigranti italiani, se questi non presentano il passaporto.”
Nel regolamento non si fa alcun cenno alla migrazione temporanea di tanti stagionali che si recano periodicamente nei paesi di confine soprattutto per lavorare nell’agricoltura.
Dal testo di legge si deduce chiaramente la volontà di regolamentare l’emigrazione fuori dei confini nazionali. Nulla viene stabilito per la tutela dei migranti all’estero se non una generica assistenza tramite le rappresentanze consolari italiane. E’ rinviata alle disposizioni generali e transitorie dell’art. 69, una serie di impegni quali:
⁃ la definizione di emigrazione temporanea da quella permanente;
⁃ di disciplinare tutto ciò che concerne l’igiene e la sicurezza;
⁃ di pianificare l’espatrio delle donne e dei minorenni a scopo di lavoro;
⁃ e finalmente, per regolare e coordinare tutto ciò che si riferisce all’assistenza degli emigranti all’interno e all’estero.
L’avvio delle grandi opere e delle bonifiche in tante parti d’Italia e la conseguente necessità di valide braccia, portarono il regime fascista ad osteggiare l’emigrazione all’estero tanto da cancellare la parola “emigrante” per sostituirla con “lavoratore italiano all’estero.” Con D.L. 26.4.1927, n. 628 fu abolito il Commissariato per l’emigrazione.
La disastrosa situazione lasciata dal secondo conflitto mondiale è stata la causa scatenante di una nuova massiccia ripresa dell’emigrazione.
Il fenomeno fu in parte spontaneo e in parte regolato dai numerosi accordi stipulati fra il Governo Italiano e i Governi stranieri come Belgio, Svizzera, Germania, Francia e Australia, solo per citarne alcuni.
Gli accordi regolamentavano diritti e doveri dei migranti e contropartite per l’Italia. Forse il più famoso fra tutti rimane l’accordo Italo Belga firmato il 23.06.1946. Con questo accordo l’Italia che fu poi accusata di “vendersi per un sacco di carbone”, forniva braccia al Belgio in cambio di carbone e materie prime di cui nell’epoca postbellica il nostro paese aveva estremo bisogno.