Le Rondini di Ponzano Veneto
Felice di lavorare in una filatura
Rizzo Saveria è nata a Ponzano Veneto nel 1938. E’ emigrata in Svizzera il 16 giugno 1956 da Merlengo. Ora abita a Paderno.
Luigino Righetto ha registrato la sua storia il 18 giugno 2011.
La mia famiglia è originaria di Merlengo. Abitava in Via Talponera 13.
I miei genitori hanno avuto dieci figli: Regina classe 1920, Fulvia 1921 morta nel 1922, Elide 1922, Antonio 1925 morto in guerra il 19 aprile 1945, Amalia 1927, Elsa Giovanna 1930, Fulvio 1933, Fulvia 1935, Saveria 1938, Romano 1941.
Prima di emigrare in Svizzera, vivevo con i genitori e i fratelli Amalia, Romano e Fulvio che è partito per la Svizzera un mese prima di me.
Gli altri fratelli erano sposati o in Svizzera.
Frequentavo già il fidanzato Domenico Zanatta detto Silvano, che poi è venuto in Svizzera anche lui. I miei genitori non erano molto contenti della mia voglia di partire. Quando mia mamma ha saputo che volevo andarmene, è impallidita e si è lasciata andare su una sedia in cucina.
Appena si è riavuta però mi ha detto: “va pure drio el to destin”.
A Zurigo c’erano già mia sorella Fulvia da tutti conosciuta come Lina.
Dopo le scuole elementari ho lavorato vicino a casa presso l’osteria da Miceon. Mi alzavo al mattino presto ed ero occupata fino a tarda sera.
Compiuti i diciotto anni, con la speranza di un lavoro migliore, sono partita per la Svizzera.
Ringrazio ancora Lina Graziella Durante che da tempo lavorava in Svizzera e mi ha procurato un contratto di lavoro.
Da sola ho preparato il passaporto andando in bicicletta dai Carabinieri a Paese e in Questura a Treviso. In Questura ho incontrato una ragazza di Volpago e Carniato Emilia di Paderno, sposata con Severin Adelino.
Ho viaggiato assieme a loro, ma poi abbiamo lavorato in fabbriche diverse.
Sono partita con una valigia di cartone.
Era quella che conteneva la coperta matrimoniale di mia sorella.
Ho preso la corriera a Paderno, davanti all’osteria da Biscaro e ho proseguito in treno da Treviso fino Unterägeri, vicino a Zug.
Alla frontiera di Chiasso siamo state ospitate per una notte in un dispensario per essere sottoposte alle visite mediche di rito e il mattino successivo ci hanno riportate in stazione per terminare il viaggio.
Non ho ricordi particolari del viaggio. Ero giovane e spensierata.
Ricordo che ho anticipato il costo del biglietto che mi è stato rimborsato dal direttore della fabbrica perché ero partita chiamata da loro.
Ho subito iniziato il lavoro in una filatura. Ero felice. Lavoravo meno ore e guadagnavo più di prima. Mi pagavano ogni quindici giorni.
Vivevo in un convitto, messo a disposizione dalla fabbrica.
Era retto da una direttrice. Il costo della retta ci era trattenuto direttamente sulla busta paga.
La struttura ospitava oltre 120 ragazze quasi tutte italiane, molte meridionali. Gli unici obblighi erano di rientrare ad una certa ora la sera e di avvisare la direttrice per uscire.
Sabato e domenica eravamo libere di muoverci e di andare in paese.
Ho fatto amicizia con Rina Martini, moglie di Primo Biasetto di Ponzano. Con lei uscivo spesso e a volte andavamo anche alle sagre paesane.
Durante il periodo della mia permanenza in Svizzera ho incontrato tanti paesani che abitavano e lavoravano nelle vicinanze.
La domenica spesso ci venivano a trovare Bruno Toresan e sua moglie Antonietta, Carletto Mufato, Angelo Biondo e altri amici e paesani.
La lingua ufficiale era il Tedesco. C’erano la chiesa cattolica e protestante che convivevano pacificamente. Una volta al mese un padre italiano veniva in convitto a celebrare la messa in Italiano.
1961 - Carletto Mufato, Bruno Torresan e Angelo Biondo ad Aarau in Svizzera
Allora partecipavano anche le ragazze delle fabbriche vicine.
Il datore di lavoro mi voleva bene e la moglie del direttore mi ha chiesto di aiutarla a casa perché aveva quattro figli di cui due gemelli.
Ha tanto insistito che per un po’ non ho potuto fare a meno di aiutarla, anche se potevo farlo solo quando i turni di lavoro me lo permettevano.
Nella fabbrica eravamo tutte italiane e i rapporti con le altre operaie erano ottimi. Non ho avuto problemi con la lingua perché lavoravo acconto ad una italiana sposata a un tedesco che un po’ alla volta mi ha insegnato la lingua.
1958 - Foto di gruppo delle ragazze del Convitto di Unterägeri (CH)
Il mio lavoro consisteva nel controllo di tre macchine lunghe 19 metri.
Risparmiavo e mandavo a casa soldi, perché come in quasi tutte le famiglie, allora non c’era molto denaro.
Abbiamo scioperato solo una volta. Il Direttore ci ha richiamate per dirci che dovevamo dialogare e non comportarci così. La lezione ci è servita. Sono stata in questa fabbrica per quattro anni, finché ho deciso di sposarmi. Mi sono licenziata e sono tornata in Italia con il fidanzato che era anche lui in un convitto, assieme ai suoi fratelli Roberto e Artemio.
Prima di Natale abbiamo fatto le pubblicazioni e ci siamo sposati il 7 gennaio 1961. Siamo subito tornati in Svizzera, questa volta a Zug.
Ci siano sistemati in una casa condivisa con un’altra coppia.
C’erano camere separate ma una sola cucina e un soggiorno.
La città era circondata da dolci colline e bagnata da un bel lago.
Il clima buono. Mi piacerebbe tornare per rivedere i posti dove sono stata anche se dicono che è tutto cambiato.
Nella nuova città ho cercato subito lavoro anche se, essendo appena sposata, non mi avrebbero potuto assumere.
Secondo le regole della Svizzera, avrei dovuto cambiare Cantone o tornare in Italia per almeno tre mesi.
Il mio datore di lavoro però, dopo aver preso informazioni sul mio conto dalla vecchia fabbrica, mi ha assunto lo
stesso. Il mio incarico era di costruire e assemblare contatori.
Non ho mai fatto lavori difficili, sporchi o faticosi.
Una volta l’anno tornavo a casa per le ferie.
Dove ho abitato, c’erano molti stagionali in edilizia.
Ho ancora un amico di Parma che è tornato da poco in Italia, con il quale ci sentiamo spesso.
Fortunatamente non ho mai avuto bisogno di cure mediche.
Chi stava male doveva anticipare le spese mediche che poi venivano rimborsate in parte.
Dell’Italia mi mancava il moroso fin che non è venuto anche lui in Svizzera.
Ai genitori scrivevo qualche volta ma se c’era bisogno in un giorno potevo essere a casa.
Avevo lo stesso nostalgia di casa. Lontano da casa si ha sempre nostalgia anche se c’erano tanti amici e avevo già una famiglia.
Nel 1962 è nato Walter che era accudito dal lunedì al venerdì da una signora che lo ha allevato.
Adesso che sono nonna tengo i nipotini, visto che con mio figlio non ho potuto essere presente.
Stavamo bene in Svizzera ma siamo tornati nel settembre del 1968 per far frequentare le scuole italiane al figlio.
Nel cantone dove abitavamo i bambini potevano frequentare la scuola pubblica.
Dove abitava mio cognato Roberto invece, gli Italiani non erano ammessi nemmeno alla scuola materna.
Lui che non aveva ancora finito la casa, ha dovuto trovarsi un maestro privato per istruire i figli.
In quel Cantone i figli non avevano diritti e lo straniero era accettato solo per lavorare.
Io sono stata in Svizzera per 12 anni e Silvano per 10.
Abbiamo realizzato i nostri sogni.
Con i soldi guadagnati abbiamo acquistato il terreno e ci siamo costruita la casa dove abitiamo.
Gli stranieri oggi in Italia sono troppi. Entrano spesso senza documenti e senza lavoro a causa dei mancati controlli da parte delle autorità italiane.
Spesso vengono a chiedere l’elemosina cercando compassione per i figli che dicono di avere.
In America o in Svizzera dove ci sono controlli più severi, non ci sono queste situazioni. Io sono partita da casa con un contratto di lavoro e un posto dove vivere.Nel corso dell’intervista sono stati nominati tanti parenti e amici anche non riportati nel testo, che hanno vissuto per parecchi anni in Svizzera con Silvano e Saveria. Dai controlli presso l’Anagrafe molti di loro non risultano cancellati per l’estero. Questo a conferma di quanto già rilevato in altra parte di questo lavoro riguardo alla reale consistenza dei nostri emigrati all’estero.
Alla fine dell’intervista, Silvano ha voluto ricordare le zie Candida Stella, Pasqua Giuseppina e Maria Luigia, figlie di Favretto Luigi e De Longhi Anna Maria.
Erano tutte emigrate a Sidney in Australia con un viaggio in nave di oltre 40 giorni.
Ora sono tutte morte ma i loro figli hanno fatto fortuna e abitano ancora in Australia.
Note:
Luigino Righetto ha registrato la sua storia il 18 giugno 2011.
La mia famiglia è originaria di Merlengo. Abitava in Via Talponera 13.
I miei genitori hanno avuto dieci figli: Regina classe 1920, Fulvia 1921 morta nel 1922, Elide 1922, Antonio 1925 morto in guerra il 19 aprile 1945, Amalia 1927, Elsa Giovanna 1930, Fulvio 1933, Fulvia 1935, Saveria 1938, Romano 1941.
Prima di emigrare in Svizzera, vivevo con i genitori e i fratelli Amalia, Romano e Fulvio che è partito per la Svizzera un mese prima di me.
Gli altri fratelli erano sposati o in Svizzera.
Frequentavo già il fidanzato Domenico Zanatta detto Silvano, che poi è venuto in Svizzera anche lui. I miei genitori non erano molto contenti della mia voglia di partire. Quando mia mamma ha saputo che volevo andarmene, è impallidita e si è lasciata andare su una sedia in cucina.
Appena si è riavuta però mi ha detto: “va pure drio el to destin”.
A Zurigo c’erano già mia sorella Fulvia da tutti conosciuta come Lina.
Dopo le scuole elementari ho lavorato vicino a casa presso l’osteria da Miceon. Mi alzavo al mattino presto ed ero occupata fino a tarda sera.
Compiuti i diciotto anni, con la speranza di un lavoro migliore, sono partita per la Svizzera.
Ringrazio ancora Lina Graziella Durante che da tempo lavorava in Svizzera e mi ha procurato un contratto di lavoro.
Da sola ho preparato il passaporto andando in bicicletta dai Carabinieri a Paese e in Questura a Treviso. In Questura ho incontrato una ragazza di Volpago e Carniato Emilia di Paderno, sposata con Severin Adelino.
Ho viaggiato assieme a loro, ma poi abbiamo lavorato in fabbriche diverse.
Sono partita con una valigia di cartone.
Era quella che conteneva la coperta matrimoniale di mia sorella.
Ho preso la corriera a Paderno, davanti all’osteria da Biscaro e ho proseguito in treno da Treviso fino Unterägeri, vicino a Zug.
Alla frontiera di Chiasso siamo state ospitate per una notte in un dispensario per essere sottoposte alle visite mediche di rito e il mattino successivo ci hanno riportate in stazione per terminare il viaggio.
Non ho ricordi particolari del viaggio. Ero giovane e spensierata.
Ricordo che ho anticipato il costo del biglietto che mi è stato rimborsato dal direttore della fabbrica perché ero partita chiamata da loro.
Ho subito iniziato il lavoro in una filatura. Ero felice. Lavoravo meno ore e guadagnavo più di prima. Mi pagavano ogni quindici giorni.
Vivevo in un convitto, messo a disposizione dalla fabbrica.
Era retto da una direttrice. Il costo della retta ci era trattenuto direttamente sulla busta paga.
La struttura ospitava oltre 120 ragazze quasi tutte italiane, molte meridionali. Gli unici obblighi erano di rientrare ad una certa ora la sera e di avvisare la direttrice per uscire.
Sabato e domenica eravamo libere di muoverci e di andare in paese.
Ho fatto amicizia con Rina Martini, moglie di Primo Biasetto di Ponzano. Con lei uscivo spesso e a volte andavamo anche alle sagre paesane.
Durante il periodo della mia permanenza in Svizzera ho incontrato tanti paesani che abitavano e lavoravano nelle vicinanze.
La domenica spesso ci venivano a trovare Bruno Toresan e sua moglie Antonietta, Carletto Mufato, Angelo Biondo e altri amici e paesani.
La lingua ufficiale era il Tedesco. C’erano la chiesa cattolica e protestante che convivevano pacificamente. Una volta al mese un padre italiano veniva in convitto a celebrare la messa in Italiano.
Allora partecipavano anche le ragazze delle fabbriche vicine.
Il datore di lavoro mi voleva bene e la moglie del direttore mi ha chiesto di aiutarla a casa perché aveva quattro figli di cui due gemelli.
Ha tanto insistito che per un po’ non ho potuto fare a meno di aiutarla, anche se potevo farlo solo quando i turni di lavoro me lo permettevano.
Nella fabbrica eravamo tutte italiane e i rapporti con le altre operaie erano ottimi. Non ho avuto problemi con la lingua perché lavoravo acconto ad una italiana sposata a un tedesco che un po’ alla volta mi ha insegnato la lingua.
Il mio lavoro consisteva nel controllo di tre macchine lunghe 19 metri.
Risparmiavo e mandavo a casa soldi, perché come in quasi tutte le famiglie, allora non c’era molto denaro.
Abbiamo scioperato solo una volta. Il Direttore ci ha richiamate per dirci che dovevamo dialogare e non comportarci così. La lezione ci è servita. Sono stata in questa fabbrica per quattro anni, finché ho deciso di sposarmi. Mi sono licenziata e sono tornata in Italia con il fidanzato che era anche lui in un convitto, assieme ai suoi fratelli Roberto e Artemio.
Prima di Natale abbiamo fatto le pubblicazioni e ci siamo sposati il 7 gennaio 1961. Siamo subito tornati in Svizzera, questa volta a Zug.
Ci siano sistemati in una casa condivisa con un’altra coppia.
C’erano camere separate ma una sola cucina e un soggiorno.
La città era circondata da dolci colline e bagnata da un bel lago.
Il clima buono. Mi piacerebbe tornare per rivedere i posti dove sono stata anche se dicono che è tutto cambiato.
Nella nuova città ho cercato subito lavoro anche se, essendo appena sposata, non mi avrebbero potuto assumere.
Secondo le regole della Svizzera, avrei dovuto cambiare Cantone o tornare in Italia per almeno tre mesi.
Il mio datore di lavoro però, dopo aver preso informazioni sul mio conto dalla vecchia fabbrica, mi ha assunto lo
stesso. Il mio incarico era di costruire e assemblare contatori.
Non ho mai fatto lavori difficili, sporchi o faticosi.
Una volta l’anno tornavo a casa per le ferie.
Dove ho abitato, c’erano molti stagionali in edilizia.
Ho ancora un amico di Parma che è tornato da poco in Italia, con il quale ci sentiamo spesso.
Fortunatamente non ho mai avuto bisogno di cure mediche.
Chi stava male doveva anticipare le spese mediche che poi venivano rimborsate in parte.
Dell’Italia mi mancava il moroso fin che non è venuto anche lui in Svizzera.
Ai genitori scrivevo qualche volta ma se c’era bisogno in un giorno potevo essere a casa.
Avevo lo stesso nostalgia di casa. Lontano da casa si ha sempre nostalgia anche se c’erano tanti amici e avevo già una famiglia.
Nel 1962 è nato Walter che era accudito dal lunedì al venerdì da una signora che lo ha allevato.
Adesso che sono nonna tengo i nipotini, visto che con mio figlio non ho potuto essere presente.
Stavamo bene in Svizzera ma siamo tornati nel settembre del 1968 per far frequentare le scuole italiane al figlio.
Nel cantone dove abitavamo i bambini potevano frequentare la scuola pubblica.
Dove abitava mio cognato Roberto invece, gli Italiani non erano ammessi nemmeno alla scuola materna.
Lui che non aveva ancora finito la casa, ha dovuto trovarsi un maestro privato per istruire i figli.
In quel Cantone i figli non avevano diritti e lo straniero era accettato solo per lavorare.
Io sono stata in Svizzera per 12 anni e Silvano per 10.
Abbiamo realizzato i nostri sogni.
Con i soldi guadagnati abbiamo acquistato il terreno e ci siamo costruita la casa dove abitiamo.
Gli stranieri oggi in Italia sono troppi. Entrano spesso senza documenti e senza lavoro a causa dei mancati controlli da parte delle autorità italiane.
Spesso vengono a chiedere l’elemosina cercando compassione per i figli che dicono di avere.
In America o in Svizzera dove ci sono controlli più severi, non ci sono queste situazioni. Io sono partita da casa con un contratto di lavoro e un posto dove vivere.Nel corso dell’intervista sono stati nominati tanti parenti e amici anche non riportati nel testo, che hanno vissuto per parecchi anni in Svizzera con Silvano e Saveria. Dai controlli presso l’Anagrafe molti di loro non risultano cancellati per l’estero. Questo a conferma di quanto già rilevato in altra parte di questo lavoro riguardo alla reale consistenza dei nostri emigrati all’estero.
Alla fine dell’intervista, Silvano ha voluto ricordare le zie Candida Stella, Pasqua Giuseppina e Maria Luigia, figlie di Favretto Luigi e De Longhi Anna Maria.
Erano tutte emigrate a Sidney in Australia con un viaggio in nave di oltre 40 giorni.
Ora sono tutte morte ma i loro figli hanno fatto fortuna e abitano ancora in Australia.
Note: