Le Rondini di Ponzano Veneto
L’emigrazione in Belgio
Nel secondo dopo guerra, il Belgio con il Canada, sono stati i paesi che hanno accolto il maggior numero di nostri migranti. E’ questo il motivo per cui al Belgio viene dedicato un particolare approfondimento.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, le condizioni economiche di tutta l’Europa erano disastrose.
Il Belgio abbisognava di manovalanza per le miniere di carbone e le industrie metallurgiche. L’Italia era priva di fondi per la ricostruzione economica e di materie prime per il rilancio delle industrie.
Nella campagne regnava l’indigenza.
L’accordo del 23 giugno 1946 fra il Governo Belga e quello Italiano prevedeva l’invio in Belgio di 50.000 uomini al di sotto dei 35 anni, in cambio di 2,5 ql. di carbone al mese per ogni operaio italiano impiegato.
L’accordo avrebbe dovuto contribuire a risolvere parte dei problemi di entrambi i paesi. Se per le autorità del Belgio gli Italiani sono necessari per vincere la “Bataille du Charbon”, per la popolazione gli stessi sono purtroppo il nemico alleato con la Germania nazista. I nostri minatori invece, si sentono venduti “per un sacco di carbone”.14 come ricorda Maria Laura Franciosi. Gli emigrati inizialmente diventano le vittime del malcontento sociale e sono oggetto di critiche, ironie e sarcasmi anche perché le loro condizioni di vita nei ghetti dove erano confinati sembravano una minaccia per l’ordine e la moralità locale.
Per mancanza di forza contrattuale e adeguata specializzazione, l’operaio italiano accetta spesso un lavoro mal remunerato, pericoloso e spesso insalubre e per questo è considerato un rovina lavoro. Nel breve volgere di un anno, dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, le amicizie createsi sui posti di lavoro e lo sport, in particolare il ciclismo, contribuiscono a far mutare l’opinione pubblica.A.Caprarelli – Tesi di laurea - Lo Schermo e lo specchio – Migranti italiani nei mass-media (1946-1984)
In questo clima contrastato, migliaia di Italiani, anche su sollecitazione delle autorità, colsero nell’emigrazione la sola prospettiva di riscatto. In tutta Italia apparvero manifesti rosa della Federazione Carbonifera Belga che presentavano gli aspetti positivi e i vantaggi economici del lavoro all’estero. I manifesti erano finalizzati al reclutamento di minatori, ma nel settentrione d’Italia appositi incaricati reclutavano anche manodopera per gli stabilimenti siderurgici, che grazie al ferro e al carbone estratti dalle miniere, potevano disporre di materie prime per le loro attività. Fra questi il direttore delle “Forges de Clabecq” molto attivo nel territorio Trevigiano. L’accordo che andava proponendo prevedeva una adeguata sistemazione abitativa dei nostri lavoratori e un periodo di addestramento al lavoro. In realtà l’addestramento consisteva in una sommaria indicazione delle mansioni da svolgere e l’immediata assegnazione del posto di lavoro che specialmente per i minatori ebbe spesso dei tragici risvolti psicologici. Per quanto riguarda gli alloggi, i primi migranti venivano ospitati nelle baracche che fino a qualche mese prima avevano ospitato i prigionieri di guerra, pure essi impiegati nelle miniere e nelle industrie durante il periodo bellico. Dal nostro Comune, come pure dal resto dei paesi Trevigiani e del Veneto, partirono molti migranti per lavorare sia nelle industrie siderurgiche che nelle miniere.
Note: