Ponzano Veneto 1935-1945: Forza della Memoria
La Repubblica di Salò: illegalità e prepotenza
I fascisti sentono l’avvicinarsi della fine
I vecchi fascisti e i giovani che hanno aderito alla Repubblica di Salò sentono che si sta avvicinando la fine. La situazione, già dopo 1’8 settembre, è ormai fuori controllo. Le Brigate nere hanno mano libera in una spietata repressione, condotta con prepotenza e arbitrio.
Da alcuni racconti appare che, a livello popolare, era maggiore la paura delle Brigate nere che dei soldati tedeschi. Bruno Picciol infatti ricorda: «Gavevimo paura dei tedeschi, ma forse i tedeschi jera un po’ meio, perché il tedesco, se non te lo tocchi, non te fa niente. I vegneva qua a magnar, i era a villa Ricci, pieni di fame, i veniva qua, ogni sera, uno o due a magnar, i magnava polenta e formaio, polenta e fortaia, co i vovi, e jera così contenti».
I partigiani del Comitato Nazionale di Liberazione di Ponzano, dopo la Liberazione, raccoglieranno diverse denunce sui soprusi perpetrati dai fascisti, che verranno inoltrate alla Commissione di giustizia per i delitti fascisti.
Questa commissione fu istituita presso ogni Tribunale immediatamente dopo la Liberazione, per segnalare alla magistratura i delitti perpetrati dai fascisti ed anche da militari tedeschi nei confronti della popolazione civile.
Significativa è la denuncia, rinvenuta nell’archivio Gobbato, nei confronti dell’agente della Polizia segreta Giuseppe Pizzolato in cui si legge che:
L’agente di Polizia Segreta Pizzolato Giuseppe soprannominato Gottardin, il rag. Gazzola di Treviso accompagnati dal vice Questore di Treviso dott. Marasciullo, si recarono il giorno 16 del 2.1944 dalla ditta Osellame di Venegassù di Volpago per sequestrare tutte le merci che la ditta suddetta aveva occultato per, salvarle da rapina nazista. Questi elementi fascisti si sono resi complici in quanto che si sono presentati soltanto per agevolare il servizio di rapina tedesca, servizio che naturalmente veniva loro ben retribuito.
È evidente che non siamo di fronte ad una arbitraria iniziativa condotta da figure minori, ma sono implicati i vertici della questura; la denuncia infatti prosegue, in modo circostanziato, rispetto ai luoghi, i fatti e alle persone implicate:
Questi Fascisti con l’appoggio della questura si sono recati anche in casa del sig. Garbuio il quale gestisce una fabbrica di calzature ma non trovarono nulla da asportare. Il sig. Stefani Arcangelo di Volpago dichiara che il giorno 16.2.1944 è stato fermato dai soprannominati fascisti e costretto da essi a salire sul camion dopo di che lo portarono dalle suddette ditte. Esaurita questa visita lo portarono alla caserma dei carabinieri e lo minacciarono dicendogli che doveva sapere qualche cosa nei riguardi di tali ditte, e che un altro camion doveva essere partito da quella località verso ignota destinazione. Sempre in questa denuncia il carabiniere Caoduro Carlo dichiara, sotto la sua personale responsabilità:
Che l’agente di Polizia Segreta Pizzolato Giuseppe agiva contro la ditta Garbuio allo scopo di impossessarsi del cuoio per poi rivenderlo al mercato nero. Oltre al suo figlio anche il sottoscritto venne invitato dal Pizzolato ad iscriversi nella Polizia segreta.
Le Brigate nere spadroneggiano sul territorio, la popolazione è sottoposta a gravi arbitrii. Nel giugno del ‘44, Guido Miglioranza viene fermato dalla Guardia Nazionale Repubblicana. Per il giovane mugnaio comincia un duro calvario che racconterà al Comitato di Liberazione di Ponzano in una denuncia contro un fascista violento e prepotente, Cirillo Sorgato. Questo il racconto, che emerge dai documenti conservati nell’archivio Gobbato:
Il giorno 29.6.1944, precisamente il giorno di S. Pietro [...] mi recavo in località Ponzano V. [...] mi sono imbattuto con i sig. della Guardia Nazionale Repubblicana, i quali mi hanno arrestato minacciandomi d’uccidermi |...! m’hanno detto che sono un delinquente e che meriterei fucilato nel posto. Finito questo colloquio poco bello, mi hanno condotto in località Merlengo, in osteria cosiddetta Baston (...] incominciarono sparare all’impazzata facendo prigionieri altri cinque conoscenti: Bandiera Ruggero, Gallina Carlo, Biondo Giovanni, Soppera Pietro, Massonetto Umberto. Finito la scena ci raggrupparono e ci legarono le mani come fossimo degli galeotti e ci condussero a piedi a Lancenigo nella così detta caserma La Carità. Le condizioni della famiglia dopo la mia cattura erano disastrose [...] con più il molino da gestire che per mancanza della mia persona ho dovuto chiuderlo.
Guido Miglioranza dopo pochi giorni riuscì a fuggire eludendo la vigilanza delle Brigate nere, ma aumentarono i guai, per lui e la sua famiglia:
L’undicesimo giorno dopo la fugga (...) hanno messo sosopra tutta la casa; si sono rivolti con i fucili spianandoli verso la madre, l’hanno minacciata di turpi parole, cose che nemmeno il più vile di questo mondo si pronunciava verso una madre che si strugge per sapere un figlio disperso e gli altri sotto il terrore delle Brigate nere. Avevano appostato la paglia e altre cose per incendiare la casa e il mulino. (Autore di questo il Sig. Sorgato Cirillo).
Ma la ribalderia non si arresta alle minacce, sfocia anche nel furto:
Trovandosi in cucina la bicicletta seminuova solo oggetto che si poteva servire per bisogni di famiglia se l’hanno portata via.
Il padre viene condotto come ostaggio nella caserma delle Brigate nere:
Mestriner prima di condurlo nella camera di ostaggio gli dette uno spintone pronunciandogli queste parole: «Vigliacco, farabuto, ti acconceremo noi tu e anche tuo figlio».
Alla madre che si era recata il giorno dopo ad informarsi verrà risposto:
Vostro marito starà qui in ostaggio da noi affinché si presenterà il figlio Guido. Durante il colloquio il sig. Cap. Martinuzzi trattò vilmente, rinnovando le minacce del giorno avanti.
Dopo alcuni giorni il padre viene liberato:
Mandarono di ritorno il padre a piedi, mentre là avevano la sua bicicletta, che la tennero per i propri comodi, lasciando il povero vecchio settantenne avvilito far Km 12 di strada con le sue deboli energie.
Ma per la famiglia Miglioranza le pene non sono finite:
Dopo otto giorni sono venuti una seconda volta minacciando di dar fuoco alla casa e al molino e gridando di volere assolutamente il figlio.
A questo punto il padre ricorre alla corruzione:
Il padre per stroncare queste minacce e per non mettere in pericolo di più la mia persona si conciglio proponendogli del denaro, che loro accolsero volentieri promettendo di non usar più violenza. La somma versata ai sig. della seconda ondata malvagia è di lire 4.000, denaro levato dalla bocca per soddisfare le passioni ceche di quei farabutti. Autori di questa Ten. Aiaci, Storgato e compagni.
La corruzione funzionava, infatti Guido Miglioranza aggiunge:
Da quel giorno in poi non sono stato più ricercato.
I fascisti si rendevano protagonisti anche di gravi violenze psicologiche come racconta Anna Mestriner: «Me papà era morto. Mio fratello più vecchio era prigioniero in Germania, me mama andava, con le ultime lettere che lu gavea mandà dalla prigionia, per saver da un fassista di Treviso, amigo de me papà, dove che l’era sto tosato. La me portava insieme per paura che lu ghe fasesse qualche molestia. L’ultima volta che xe andata con la lettera de Ferruccio ghe gha dito che so fiol meritava esser fusia, perché l’era un traditore che non se gavea aggregà là con i fassisti».
Pasquale Borsato racconta un episodio che rileva l’odiosa arroganza delle Camice nere: «Sono venuti all’osteria le camicie nere di Salò e volevano pagare con le bombe a mano. Ero un bambino e ero sempre lì tra i piedi. Mil hanno detto: vai via, se tuo zio non ci dà i nomi dei partigiani che sono qui in zona facciamo saltare tutto con le bombe. Mio zio non sapeva e nemmeno io che ero un bambino. Quello che è certo avevano una strafottenza di imporre e di minacciare molto grave».
Ruberie, violenze e ritorsioni su civili inermi
Esisteva una diffusa paura di essere presi in ostaggio. Nel paese si sapeva che gli ostaggi correvano il rischio di diventare i capri espiatori delle rappresaglie tedesche. Per ogni tedesco ucciso, la rappresaglia era di dieci italiani fucilati.
Erano già avvenute alcune stragi di civili. Tedeschi e fascisti diffondevano queste informazioni per intimidire la popolazione.
L’uso dei genitori come ostaggi, per esercitare un ricatto morale sui figli, era ricorrente. La madre del Commendatore Luigi Martini viene tratta in ostaggio per indurre il figlio, renitente alla leva della Guardia Nazionale Repubblicana, a costituirsi: «Mi ero nascosto a San Martino di Lupari, da mio fratello, Don Angelo. Ogni tanto venivano a cercarmi i fascisti accompagnati dal maresciallo dei carabinieri. Col quale avevo parlato e gli avevo detto che io stavo poco a casa e non infastidissero i miei genitori. Lui mi aveva risposto che eseguiva gli ordini.
Un giorno ha preso mia mamma, che era malata, l’ha montata sulla canna della bicicletta e l’ha portata in caserma, a Paese, e l’ha mollata la sera tardi.
Come rappresaglia perché ero considerato come un disertore e come tale mi trattavano. Non essendo stati capaci di prendermi avevano preso mia madre».
Pasquale Borsato racconta un altro episodio in cui i carabinieri prendono in ostaggio dei civili in Baruchella: «Una sera i partigiani hanno fatto saltare un pilone, qua nella nostra zona, che portava la corrente a Marghera, ho sentito un grande scoppio, il pilone era a neanche trecento metri da casa mia. Alla mattina sono arrivati i carabinieri ed hanno prelevato quattro persone come ostaggi per far dire chi era stato a fare il sabotaggio. Questi ostaggi erano: mio zio, Borsato Eliseo, Zago Sante, Zago Milio e Giovanni Moro. Sono stati presi in ostaggio perché dovevano saltar fuori i nomi».
Anche questa testimonianza trova un riscontro nell’archivio dell’Istresco, Dal documento che descrive l’ Attività operativa svolta cit., dalla Brigata “L. Bavaresco” risultano, nella zona, varie azioni di sabotaggio nei confronti di piloni e cavi dell’alta tensione.
Il 20 maggio del ‘44, a Castagnole:
Cinque garibaldini al comando di Desidera Luciano riescono o a provocare un corto circuito su un pilone portante energia elettrica ad alta tensione.Partecipano all’azione 6 partigiani. (AISTRESCO, f. 3, b. 1, fase. brigata “L. Bavaresco). L’8 settembre del 1944, in località Santandrà:
Sabotaggio e distruzione di due piloni della linea ad alta tensione all’altezza di Santandrà (Toni Borsato). All’azione partecipano sei partigiani. (Ivi).
Il 14 ottobre del 1944, a Camalò:
Sabotaggio e distruzione di due piloni della linea ad alta tensione tra Santandrà e Camalò. Azione comandata da Toni Borsato e Ruggero Benvenuto. All’azione partecipano sette partigiani. (Ivi).
Nel territorio attorno a Ponzano non vi furono rappresaglie sulla popolazione civile. L’azione militare della Resistenza fu attuata con numerosi sabotaggi, ma non si verificarono scontri armati e uccisioni di militari tedeschi, che in altre realtà avevano portato a rappresaglie e stragi di civili. In un episodio, che riguarda alcuni giovani, trova conferma l’affermazione di Bruno Picciol:
«Gavevimo paura dei tedeschi, ma forse i tedeschi era un po’ meio». Da un documento, conservato nell’archivio Gobbato, infatti, emerge un grave episodio di delinquenza comune, che avrebbe potuto costare la vita ad una quindicina di ragazzi: le Brigate nere, per coprire il furto delle cose personali rubate a due paracadutisti inglesi catturati, accusano dei ragazzi di aver sottratto le armi e li incarcerano. Piovesan Antonio, assiste al fatto e si rivolge al comando tedesco. Senza il suo intervento, la menzogna dei fascisti sarebbe probabilmente costata la vita a quei ragazzi. Questi alcuni passaggi della dichiarazione:
Dichiaro di aver visto questi quattro assassini fascisti bastonare i due paracadutisti alleati. In seguito a tali avvenimenti presero una quindicina di ragazzi e dopo aver loro ritirato i documenti dissero loro di presentarsi il giorno dopo in Federazione. Appena presentatisi il giorno dopo furono incarcerati al Comando Piazza Tedesco come partigiani e quali autori del furto di armi ai paracadutisti alleati. Appena sentii questo fatto, mi recai al Comando Piazza Tedesco (...] il Comandante Tedesco mi domandò dove si trovava il bottino catturato ai prigio! nieri. Al che risposi che si trovava in Federazione. I Fascisti negavano la mia affermazione ma i tedeschi si misero a perquisire in una stanza dell’ultimo piano ove trovarono il bottino nascosto. A questo punto la Polizia Tedesca incolleritasi per tale scoperta diede ordine di scarcerare immediatamente gli altri detenuti. I Fascisti risposero che non sarebbero stai liberi per nessun motivo e che sarchhe ro andati tutti alla fucilazione. Allora il comandante tedesco rispose: «Se voi non aprite la porta noi faremo saltare tutta la caserma perché siete voi che meritate la fucilazione e non loro!» Così decisero di liberare i giovani innocenti. (Dichiarazione di Piovesan Antonio alla Commissione di giustizia per i delitti fascisti, Ponzano 14.7.1945).
E evidente che non siamo di fronte ad un episodio di delinquenza condotto da personaggi marginali. I fatti avvengono nel Comando delle Brigate nere e coinvolgono Toffoletto e Cornacchini, che rivestivano ruoli gerarchici di primo piano nel comando della Guardia Nazionale Repubblicana a Treviso.
Una testimonianza di Lino Rossi conferma l’episodio della cattura dei paracadutisti: «Era nell’estate del ‘44. Ricordo degli aerei che tornavano dalla Germania, uno si stacca e gli altri si mettono in circolo, formano un anello che da qua va verso il Montello, poi si vedono tutti dei fumetti bianchi.
Qualcuno più esperto dice: sono i paracadutisti! L’aereo è caduto sulla zona di Camalò, i paracadutisti non si sa che fine abbiano fatto, si è saputo poi che qualcuno è stato fatto prigioniero».
Il controllo dei brigatisti neri più facinorosi e violenti sfuggiva spesso al comando dei superiori, come si può dedurre dalla testimonianza del Comandante Martinuzzi delle Brigate nere sul ferimento di un ragazzo, il 15 agosto 1944, da parte di un gruppo di militi della Guardia Repubblicana:
Era domenica del mese di agosto, il Sig. Podestà di Villorba chiedeva l’intervento di alcuni militi del mio reparto per catturare alcuni sbandati che si bagnavano nella Piavesella nei pressi di Fontane. lo mi trovavo a dormire quando si presentava nella mia camera il Brigadiere Storgato a chiedermi l’autorizzazione. lo ordinai di non andare poiché non era compito mio. Il brigadiere mi assicurava che non andava, invece arbitrariamente prese due militi e si recò sul posto. Non passava un’ora quando ritornava da me, dicendo di aver fatto un ferimento. lo subito mandai a chiamare la mamma del ferito ed invece di lei si presentò la zia che io aiutai. Nel frattempo denunciavo il brigadiere al Comando per i provvedimenti del caso. (Dichiarazione resa al Comando del CNL di Ponzano dal Capitano Primo Martinuzzi, il 17 maggio 1945. Archivio Gobbato).
Il Brigadiere Storgato si distingue, nelle testimonianze raccolte dai partigiani di Ponzano, dopo la Liberazione, come un brigatista nero facinoroso e indisciplinato. Storgato avrà un ruolo determinante nell’assassinio di Gobbato, di Rossi e dei fratelli Bianchin.
I disertori sbandati di cui parla il capitano Martinuzzi erano soltanto dei ragazzi che facevano il bagno nella Piavesella e la dichiarazione del padre del ragazzo ferito testimonia la gratuità della violenza dei fascisti:
In data 15 agosto 1944 mio figlio Romano di anni 14 si recò assieme ad altri compagni a fare un bagno nel canale Piavesella. Mentre si bagnavano, ad un tratto, e con giustificato spavento di tutti, udirono una sparatoria proveniente da un vicino campo di granone. Pochi istanti dopo individuarono dei militi fascisti, che continuando a sparare, e intimando ai presenti «alte le mani» sbucavano come forsennati dal campo; mentre dietro di loro avanzava il podestà di Villorba Sig. Botter Pietro. In questa sparatoria, mio figlio rimase ferito gravemente alla spalla destra da una pallottola. Soccorso dai compagni (e non dai feritori, perché loro dopo pochi minuti se ne andarono) venne trasportato all’ospedale di Casier dove dovette rimanere circa 30 giorni come da allegato certificato medico. Dopo ‘uscita dall’ospedale dovette rimanere due mesi a letto in conseguenza della ferita. E tutt’oggi ancora ne risente. (Testimonianza di Luigi Fabriz, resa al CNL di Ponzano il 18 agosto del 1945. Archivio Gobbato).
In questa testimonianza si ha un’ulteriore dimostrazione che, già nell’estate del ‘44, non esisteva più alcun controllo dello stato sull’ordine pubblico, anzi, le autorità locali, come il podestà di Villorba che avrebbe dovuto garantire l’ordine e la legalità, si ponevano alla testa di azioni illegali e violente.
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