Ponzano Veneto 1935-1945: Forza della Memoria

Riconoscimenti e amarezze

Riconoscimenti

Ferruccio Bianchin racconta come, benché fosse un ragazzo al tempo della lotta di Liberazione, gli sia stato riconosciuto il titolo di “Partigiano combat-tente”: «Dopo finia la guerra, i me gà riconossuo come partigiano. I me gha dato ‘na medaglia e una bicicletta e la stoffa per far un vestito, e son ‘ndà a tirarme i sinquemila franchi, me ricordo, a Treviso, là vissin al Domo.

Questo xe el libreto. I me gà dato un libreto de un morto (mostra, molto divertito, il brevetto di partigiano che è stato scritto su un libretto su cui, in precedenza, erano stati scritti i dati di un’altra persona). Dopo, i partigiani i me gà portà un tajo de un vestito, ghéo gho dato ala mama dei tosati. I me gha dato anca ‘na bicicleta dei fassisti. Alora, mi andave via co’ i me compagni ma, lassave a casa la bicicletta. Andave via a piè anca mi, par essar insieme ai me compagni». Anche per i fratelli Bianchin c’è stato un doveroso riconoscimento: «A San Lazzaro, co i xe morti, i li gha butai in tera. Dopo i li gha cavai su e li gà portai qua e i ghe gha fato un gran funeral el Comune o i partigiani.

E i gha fato una tomba per quattro: par i do tosati e per so pare e so mare».

Ai fratelli Bianchin è stata riconosciuta la Croce di Guerra al Valor militare.
A Piero Gobbato la Medaglia d’Argento alla memoria La motivazione della medaglia d’argento a Piero Gobbato.
Medaglia d’argento alla memoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Durante la lotta di Liberazione si distingueva per belle doti di animatore ed organizzatore, per audacia, per fermezza e per fede. Preso con tre dei suoi in una imboscata dopo essersi strenuamente difeso ed aver visto cadere uno degli uomini veniva fatto prigioniero.
Barbaramente seviziato manteneva un contegno fiero ed esemplare. Davanti alla morte ormai sicura rivendicava la sua fede nella Patria e nella Libertà ed incitava i suoi due compagni a morire con dignità.
Corti di Santa Maria della Rovere (Treviso) 8 settembre 1944 Roma 1 febbraio 1957
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Così ricorda Enrico Gobbato il figlio Piero, che, per un breve periodo, è stato Sindaco di Ponzano come il padre: «A mio padre alla fine fu riconosciuta, a quei tempi aveva un certo valore, la Croce di guerra, si aspettava molto di più per quello che aveva fatto, per quello che aveva dato, per quello che aveva organizzato. Poi gli fu data la Medaglia d’argento al valor militare per rico-noscimento, so che era in forse per la medaglia d’oro. Mio padre non amava molto parlare di queste cose».

Bruno Picciol così commenta il riconoscimento avuto dal Comune di Ponzano: «El sindaco, quando che el me gà dato a medaglia d’oro, gha dito che ero salvo per ‘na parola, el discorso lo gaveva scritto Piero Pizzolon. El xe un professor che se gà adoparà tanto. L’è anche andà al distretto a Padova par ‘e ricerche. ‘A medaja d’oro non se a dà a uno qualunque. Pi tardi gho avuo anca na pensione di trentamila lire ogni due mesi, da qualche anno trenta mila ogni mese».

Amarezze

Nella coscienza popolare la Resistenza rimane come il caposaldo della nostra democrazia. Resta però, in molti che hanno partecipato alla lotta di Liberazione, un’amarezza per il trattamento che gli fu riservato e per il mancato compimento degli ideali di libertà e giustizia sociale che erano alla base del movimento partigiano.

Pochi mesi dopo la Liberazione, ed anche negli anni successivi, vi fu un tentativo di discreditare il movimento partigiano. Uno degli argomenti utilizzati fu la questione delle armi. Dopo la Liberazione c’erano in giro molte armi. Il Comando alleato, in accordo con il Governo italiano e i partiti politici che avevano guidato la Resistenza, ne ordinò la riconsegna. «Finia la guerra - racconta Bruno Picciol - ghe jera el problema dee armi. I scumissiava a sparar uno per qua, uno per là, spara ti, spara mi. Finalmente i gà ordinà de consegnar ‘e armi entro un certo termine».

La riconsegna delle armi da parte delle brigate partigiane sanciva il passaggio definitivo dei poteri alle istituzioni civili, per il significato che assumeva, avvenne con manifestazioni solenni. Il popolo, che si era armato per ricon-quistare la libertà, rimetteva tutta la forza e il potere che gli derivava dalle armi ai rappresentanti del potere democratico. La questione delle armi dei partigiani fu però utilizzata, in un secondo tempo, per creare paura e isolamento intorno al movimento partigiano. Iniziò una caccia alle armi che in molti casi assunse l’aspetto vero e proprio di caccia al partigiano.

Per la delazione di un amico, a casa di Picciol, arrivarono i carabinieri per cercare un mitra: «Dopo i gà deciso de darghe un premio a chi denunciava chi gavea armi. Na matina capita quattro o cinque carabinieri. Bruno Picciol partigiano, lei ha le armi in casa. Si! gho el sciopo da caccia. No!, lei ha armi da guerra. No, marescial. Eppure ci risulta che lei ha le armi, non le dico cosa, ma lei ha le armi. Marescial, el pol perquisir tuta la casa, anca la sofita. La, ghe xe ‘a scala. Visto che è così sincero mi fido.

Bruno Biasini, il vicesindaco comunista di Ponzano, fu arrestato con l’accusa di detenzione d’armi da guerra. Il parere di Piero Stolfo, su questa vicenda, è tranciante: «Biasini dopo la guerra è stato arrestato con la scusa che aveva le armi a casa, non era vero, è stato assolto. L’hanno arrestato gli americani perché era comunista». Nell’archivio Gobbato si trova una lettera inviata il 20 luglio del 1945 al Governo militare alleato della Provincia di Treviso con cui il Sindaco di Ponzano, Enrico Gobbato, interviene a favore di Biasini:

La popolazione di Ponzano stretta a me, fa appello al senso di umanita’ e di giustizia nota al popolo italiano, del Governo Alleato chiedendo la scarcerazione di Biasini Bruno |...]. Il Biasini e’ una delle piu’ belle figure di patriota della pro-vincia, patriota che ha lavorato nel periodo clandestino con vera fede di italiano, facendo sempre parte alla lotta attiva diretta contro i nazifascisti, per la liberazione dell’ Italia e la Vittoria degli alleati. Il Biasini e’ l’ esempio dell’onestà personificata, dedito sempre al lavoro, meritandosi per questo e per l’attivita svolta durante il periodo clandestino, la nomina a Vicesindaco del mio Comune. Il Governo Militare Alleato compirebbe atto di clemenza che sicuramente potrà rinsaldare i vincoli di simpatia e di amicizia con la popolazione del mio Comune e della Provincia che ben conosce il Biasini, scarcerandolo. Sicuro che questa istanza sara’ esaudita, porgo a nome della popolazione del mio Comune e mio i migliori voti per una sempre piu’ alta prosperita delle Nazioni Unite. (Archivio Gobbato, 20 luglio 1945)

Dopo alcune settimane Biasini fu liberato.

Piero Stolfo racconta il pesante tentativo attuato per isolare i partigiani.

Negli anni ‘50, infatti, fu portata avanti una vasta iniziativa per gettare un profondo discredito sul movimento partigiano: «La Resistenza non è stata trattata bene non c’è stata riconoscenza. Dopo qualche anno, in Belgio, mia madre mi ha scritto, molto amareggiata, dicevano che i partigiani avevano rubato, lo aveva detto anche il prete in chiesa, e per questo non andava a votare». Piero Stolfo, come tanti altri, per vivere fu costretto ad emigrare in Belgio, dove vive ancor oggi.

Giuseppe Uliana non riuscì ad emigrare: vecchi fascisti del Paese, in base alla sua testimonianza, usando nuovamente un’antica e radicata prepotenza, lo impedirono: «Finia la guera no’ ghe jera tante sielte: o la fame qua, ondar via a l’estero. Ae ACLI semo andai mi e altri do o tre di Ponsàn, parché ghe jèra ‘na comission francese che visitava chi che voeva ‘ndar a lavorar sui vigneti, in Francia. Son ndà. Tuto a posto; fato tutto. Però bisognava ndar in Comune par farse far ‘na dichiarassion che se jera agricoltori e se lavorava la tera. Marcellone e Giovanin Tia, i jèra lori che dominava ancora el paese. I jèra stai fassisti. Satu cossa che i me gà dito? Se jèra nel 48 e jèro appena sposà. No’ te basta la tera dei Liberali da lavorar? Ocore che te vai a l’estero? Se gaveva sinquanta campi de terra, ma a mezzadria però. No i me gà fato ‘sto foglio. Varda in che tempi che se jèra!».

L’uso prepotente del potere da parte di alcuni personaggi compromessi col regime fascista, anche dopo la Liberazione, colpiva la sensibilità di chi aveva sofferto e pagato prezzi pesanti per riconquistare la libertà.

A Liberazione avvenuta, molti, che erano rimasti imboscati, si mescolarono ai partigiani. Costoro, anche negli anni seguenti, tentarono di trarre vantaggio da questo, provocando sdegno e indignazione in chi aveva veramente combattuto e sofferto pesanti sacrifici, come racconta Bruno Picciol: «‘Na volta el sindaco voleva che mi fasesse el presidente de un comitato de partigiani del paese. Mi no’ fasso el presidente dei partigiani che non i gà fato i partigiani. I voeva far la session dei partigiani de Ponsan.

Come se fa a far na session de partigiani se i vinti o trenta che i jèra là, nessun jèra stà partigian. Gheo gho dito e nissun gà parla. Se no mi ghe domandavo: dove jeritu? De che brigata jeritu? De note, a volte, me penso che son vivo per na parola, come che gà dito el sindaco col me gà dato la medaja d’oro, ma in sessanta ani no’ i me gà dato gnente, solo ‘a medaja e trentamila lire».

Piero Gobbato, figlio di Enrico, ricorda la profonda amarezza che accompagnò suo padre negli ultimi anni della sua vita. «Lamarezza successiva, una cosa che è sempre stata vissuta da mio padre e anche da mia madre, per gli avvenimenti del dopo guerra, come gli avvenimenti politici italiani si sono sviluppati. Sostanzialmente, a parte un primo periodo, l’amarezza sua nel riscontrare che a tutta questa gente che aveva combattuto, che aveva costruito la democrazia del nostro Paese non fu data la giusta riconoscenza, i giusti spazi. Si dedicò dopo alla sua vita di lavoro nell’“Ente di liberazione”, un ente nato dalle organizzazioni partigiane, e in particolar modo dal Partito d’Azione, e con i soldi, così mi dissero sempre dei partigiani, non so per dei premi, per motivi di recupero - è un aspetto che andrebbe approfondito - con quei soldi diedero avvio alla realizzazione di case nello stile dell’attuale ATER, di case popolari. Si vedeva questa sofferenza in lui, c’è sempre stata, anche se ha sempre mantenuto, sempre, una certa autonomia, anche fisica, aveva una bicicletta particolare con cui poteva muoversi. Questa è l’amarezza che ho sempre riscontrato, che poi mia madre mi ha sempre ripetuto, si vedeva che era una persona che soffriva. Però tutto sommato era una persona che godeva di stima era una persona cercata dalle autorità politiche, dalle persone che con lui avevano vissuto i momenti difficili della guerra. Mio padre è morto nel 64, avevo dieci anni».

“Pietre” della memoria

Nel nostro territorio, alla pietra di cippi commemorativi è sta affidata la memoria di chi ha sacrificato la propria vita per la libertà.
A Villorba, in Piazza Chiesa Vecchia, il Partito d’Azione e il Comando delle brigate “Giustizia e Libertà” hanno fatto incidere il ricordo dei partigiani di Ponzano

PARTITO D’AZIONE
COMANDO BRIGATE GIUSTIZIA E LIBERTA’
NELLA NOTTE FRA IL 7 E L’8 SETTEMBRE 1944
QUI CADDE
COLPITO DA PIOMBO FRATERNO
VALENTINO ROSSI DETTO GIGETTO DI PONZANO Vto.
E FURONO CATTURATI PER ESSERE POI FUCILATI PIERO GOBBATO DA PONZANO V.TO
BRUNO E GINO BIANCHIN DA POSTIOMA
MORIRONO PERCHE CREDETTERO
NELL’IMMORTALITA’ DELLA PATRIA
E COL SUPREMO SACRIFICIO
VOLLERO CONQUISTARE ALLE GENERAZIONI FUTURE
LA LIBERTA’
MARTIRI DELLIDEA VIVONO ATTRAVERSO I TEMPI
NEL RICORDO NELLA RICONOSCENZA E NELL’AMORE
DI QUANTI SARANNO
CITTADINI DEGNI DI UNA PATRIA LIBERA


Anche in località “alle Corti”, dove furono fucilati Piero Gobbato, Gino e Bruno Bianchin, alla pietra di un cippo è stato affidata, dal Partito d’Azione e dal Comando delle brigate “Giustizia e Libertà”, la memoria di questo tragico avvenimento.
Il Comune di Ponzano Veneto ha voluto ricordare i propri martiri con una lapide apposta sul muro del Centro sociale, a Paderno:

GIUSTIZIA E LIBERTA
A
PIERO GOBBATO E LUIGI ROSSI
CADUTI
GLORIOSAMENTE NELLA LOTTA
DI
LIBERAZIONE NAZIONALE
LI 8. 9. 1944

La nostra ricerca è mossa da questa lapide, davanti a cui passano distrattamente tante persone e che per molti, nel Comune di Ponzano, ha perso il proprio significato.

Il nostro intento non è stato fare “storia”. Abbiamo tentato, attraverso testimonianze e documenti, di sapere e capire, oggi, dopo sessanta anni dalla Liberazione, perché quattro giovani scelsero di diventare partigiani e sacrificare la loro vita per la libertà.

La loro vicenda è diventata la storia di tutto il nostro Paese. Tante voci hanno raccontato il loro vissuto, ed è emersa la storia di uomini e donne di un piccolo comune che hanno calcato la strada, segnata da sacrifici e sofferenze, percorsa dal nostro popolo, per conquistare il proprio riscatto da un regime subito ma nel quale, per un lungo tempo, aveva creduto.

 


Note: