Ponzano Veneto 1935-1945: Forza della Memoria

La liberazione

La crisi del movimento partigiano alla fine del 1944

Dopo la morte di Piero Gobbato e Luigi Rossi e il ferimento di Enrico Gobbato, il gruppo partigiano del Partito d’Azione rimane senza guida e collegamenti con la Direzione politica provinciale. «Dopo, me compare - racconta Bruno Picciol - me gà dito ch’el gaveva ‘na ricetrasmittente nea staeta: fea funzionar voialtri, semo nialtri che avertimo quando che vien su ‘e tradotte. Ma adesso ne xe morti i capi».

Enrico Gobbato è ricercato dai fascisti e dai tedeschi, deve nascondersi con tutte le difficoltà che derivano dall’amputazione della gamba. «Enrico - racconta Luigia Rossi - el xe restà sensa na gamba e quando che el xe sta mejo e ghe jèra ancora paura dei fassisti, me pupà lo portava sue spae, ‘na sera su ‘na tiesa e ‘na sera su n’altra, par scondarlo. I sercava ancora ‘sto Enrico par interogarlo. No la jera ancora finia e i tedeschi i ghe tendea».

A Ponzano Veneto - si legge nel Diario storico militare cit.- con la morte di Piero Gobbato e di altri compagni e il grave ferimento del di lui fratello di Ignazio, quel gruppo numeroso ed attivo viene a trovarsi privo di un comando efficiente. (AISTRESCO, f. 3, b. 2, fasc. brigata “P. Gobbato”).

Così Bruno Biasini ricorda quel momento difficile, nella testimonianza a Ives Bizzi:

E un momento di sbandamento, aggravato anche dalla disfatta delle organizzazioni partigiane in montagna. Con noi avevamo sbandati del Cansiglio e del Grappa. La nostra era considerata una zona tranquilla, dov’era possibile raccogliere sbandati delle formazioni scompaginate dai rastrellamenti. (Ives Bizzi, La Resistenza nel trevigiano cit., p. 93).

L’inverno del 1944 sarà terribile per i partigiani di montagna. Le truppe angloamericane sospendono l’avanzata sull’Appennino, sulla cosidetta Linea Gotica, dove i tedeschi hanno assestato l’ultima strenua difesa, ed invitano i partigiani a riprendere la lotta a primavera.

I partigiani non possono tornare nelle loro città e nei loro paesi. Tedeschi e fascisti, invece, possono abbandonare il fronte di lotta per contenere l’avanzata degli alleati ed avviare una azione di rappresaglia e di annientamento delle basi partigiane.

In provincia di Treviso, conosceranno questa sorte le brigate dislocate sul Cansiglio. Solo l’abilità dei comandanti e la loro conoscenza del territorio permetterà loro di sganciarsi dallo scontro con i tedeschi e di salvarsi dalla cattura e dalla morte. Nel giro di poche settimane dal rastrellamento tedesco, saranno ricostituite sull’altopiano, come racconta nel suo libro Cammina frut, Editori Riuniti, Augusto Clocchiati, il comando e la dislocazione delle brigate partigiane.

I partigiani di pianura, come le formazioni di Ponzano e dei paesi limitrofi, nell’inverno, sospendono le loro attività militari, mantengono prevalentemente l’iniziativa di informazione sistematica agli alleati sulla dislocazione e i movimenti delle truppe tedesche, come racconta Piero Stolfo. La brigata “P. Gobbato” si dedica ad una capillare azione di acquisizione di informazioni da inviare al Comando anglo-americano:

I rapporti riguardavano soprattutto (...) le segnalazioni di fortificazioni e di Presidi nemici, segnalazioni del traffico stradale del reparti nemici e la segnalazione dei convogli ferroviari. Per il traffico furono istituiti dei posti di controllo sulle maggiori arterie stradali. (AISTRESCO, f. 3, b. 2, fasc. brigata “P. Gobbato”).

Bruno Picciol rilascia una testimonianza significativa per comprendere la sensazione di sconfitta che ormai serpeggiava, negli ultimi mesi del fascismo, anche tra chi aveva ricoperto ruoli significativi: «Qua vicino ghe jera un sfolato: un bon omo. El gavea na rivoltea e el ghe gà dito a Piero che el voeva darghea. Un dì mi son ndà là e lu me gà dito: la guerra oramai xe persa. Ma lu, el me diga, de che corrente xeo. El me risponde: ghe digo ‘a verità, mi son sta obligà a essar fassista, par fame. Gho quattro fioi e se no me iscrivea no’ trovavo lavoro. Son de fameja abrussese e son nee vostre man. Adesso, se dovesse vegner qua i partigiani mi gho la rivoltella. Mi no’ gho fato mal a nissun.

No’ i xe andai proprio da lu? Come gavarai fato a saver, quei de Viorba dea rivoltea.. I xe indai là e i ghe gà dito: damea rivoltea e lu gentilmente el ghe a gha data.

Par adesso no’ sta movarte, che dopo vegnemo a trovarte ancora. Falco, un capo partigiano, el xe vegnuo da mi per dirme ch’el doveva andar a torlo.
No! quea persona no’ te’a tochi. El gavea la pistola e el voeva darmela.

Ah gho capio, me gha dito Falco. E mi: queo no’ gha colpa. El jera fassista par fame. Anca mi jèro fascista, anca ti. Tutti se jera fassisti».

La ripresa dell’iniziativa militare e politica

Agli inizi del 1945, si riorganizza la brigata “Garibaldi” della zona di Ponzano, come emerge dalla testimonianza, già citata di Bruno Biasini:

Verso la fine di gennaio 1945. Abbiamo raccolto tutte le forze ed abbiamo costituito la brigata Luigi Bavaresco, con comandante Sparviero (Corrado Vanin), commissario uno di Porcellengo ed io vice commissario. (Ives Bizzi, La Resistenza nel trevigiano cit., p. 94).

A primavera riprende con ancor più forza la lotta partigiana, la guerra volge a termine, la sconfitta dei fascisti e dei nazisti è ormai segnata, si comincia a delineare il nuovo assetto democratico del Paese, come racconta ancora Biasini:

Tutto il movimento della Bavaresco era concentrato nella zona di Ponzano. Nella casa di Gobbato c’era il CNL locale, mentre in una casa vicina c’era il CNL provinciale. In una di quelle riunioni è stato deciso chi doveva occupare le cariche del comune di Treviso, chi doveva essere il sindaco e chi il prefetto. (Ivi).

Dagli inizi del ‘45 alla Liberazione si intensifica l’azione della brigata “L. Bavaresco”, come risulta dal rapporto dell’Attività operativa svolta. Numerose sono le azioni di sabotaggio, per interrompere i trasporti ferroviari e le linee elettriche, cui si aggiungono il disarmo di fascisti e tedeschi, la cattura il processo e l’eliminazione di spie e di brigatisti neri che si erano macchiati di gravi ed odiosi crimini nell’opera di repressione. L’assalto a depositi di armi e munizioni consente di migliorare l’armamento. Nell’assalto alla caserma di Istrana, il 12 aprile del 1945, i partigiani si impossessano:

Di 3 mitragliatrici con circa 5.000 colpi, 200 moschetti, 15 casse di munizioni, oltre 700 paia di scarpe, 7 cavalli, I carro e materiale di casermaggio. (AISTRE-SCO, f. 3, b. 1, fasc. brigata “L. Bavaresco”).

La brigata “P. Gobbato”, nei mesi precedenti all’insurrezione, riesce a dotarsi di un armamento efficiente:

Alla vigilia dell’insurrezione tuttavia ogni uomo aveva un’arma largheggiavano nel modo particolare le bombe a mano tipo tedesco, sottratte nella decade 12-25 dicembre 1944 da un convoglio tedesco. Alcune centinaia di bombe furono date anche reparti viciniori o singoli partigiani. Difettavano in particolare le armi automatiche e le munizioni relative. Solo quando a metà marzo la Brigata “Martiri del Grappa” ci fornì cinque Sten con relative munizioni e quando il 4 aprile 1945 si ebbe con un aviolancio sei Bren con abbondanti munizioni ed esplosivi si potè avere l’armamento completo [...). Numerosi sono gli scambi di armamento, munizioni, esplosivi, specie nell’ultimo periodo gennaio-aprile. (AISTRESCO, f. 3, b. 2, fasc. brigata “P. Gobbato”).

I giorni della Liberazione

Il Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia chiama il popolo italiano all’insurrezione nazionale. Ordina la mobilitazione di tutte le brigate partigiane per liberare il territorio, con il proclama “Arrendersi o perire”, l’ordine alla resa ai fascisti e ai tedeschi è perentorio. La CGIL chiama i lavoratori allo sciopero generale insurrezionale.

Liberare le città e i paesi, prima dell’arrivo delle truppe alleate, per i partiti antifascisti che hanno guidato la Resistenza ed hanno pagato un pesante prezzo di morti per la libertà, non è solo motivo di orgoglio nazionale, ma è, soprattutto, determinante per l’assetto democratico, dopo la cacciata dell’invasore tedesco e dei fascisti. In ogni città, in ogni comune, grande o piccolo, liberato dai partigiani, si instaurerà un governo democratico del Comitato Nazionale di Liberazione, composto da chi ha guidato la cospirazione e la Resistenza armata. L’appello del Comitato Nazionale di Liberazione, che invita il popolo a insorgere e i partigiani alla mobilitazione generale per liberare il Paese, è trasmesso da Radio Londra. Questo è rimasto impresso nel ricordo di Bruno Picciol: «Quando la radio trasmetea par i partigiani del Veneto la disea: partigiani, partigiani della Destra Piave, partigiani della brigata “Treviso”, mettetevi in azione contro i tedeschi, tuti i xe vegnui fora co’‘e bandiere».

L’insurrezione generale è proclamata per il 25 aprile ma, a Treviso e nei comuni limitrofi, gli scontri si protrarranno fino ai primi giorni di maggio.
La relazione del Comandante del battaglione “B. e R. Chiarello”, Arturo Mattiazzi (Archivio Gobbato) riporta alcune azioni partigiane di quei giorni:

Notte 24-25 aprile: Prelevamento viveri, armi e materiali alla Caserma De Dominicis. Giorno 27 aprile: Ingresso a Treviso brigata “P. Gobbato”, ore 7,45. Prima assoluta in 60 uomini con alcuni della Sparviero. Il 28 aprile alle ore 2: «Il Comandante, il vice comandante e 3 uomini in zona di Porcellengo, benché i tedeschi fossero appostati, mascherati ed innalzassero bandiera bianca, cominciando poi a sparare e lanciare bombe a mano, hanno disarmato 3 tedeschi comandati da un Capitano recuperando armi ed automezzi”. (Relazione del Comandante del battaglione “B. e R. Chiarello”, Arturo Mattiazzi. Archivio Gobbato).

Il documento termina con il bilancio di quei cinque giorni di battaglia

Complessivamente sono stati disarmati 437 tedeschi, 53 spie fasciste e recuperato cavalli, carri, automezzi e materiale vario.

Dai documenti conservati nell’archivio Gobbato risulta che i partigiani di Ponzano delle brigate “Garibaldi”, le formazioni partigiane del Partito Comunista, partecipano alla battaglia finale per la Liberazione con le brigate di “Giustizia e Libertà”.

Scrive in una relazione il Commissario politico della brigata di Castagnole, Quinto Perissinotto, descrivendo le azioni partigiane nel comune:

Giovedi 26 aprile sera: scoppio del deposito Munizioni, mine anticarro ed altro materiale, avvenuto nel cantiere di Castagnole, per evitare il prelevamento da parte delle Forze armate Tedesche. L’azione è stata fatta con la collaborazione del gruppo brigata “Garibaldi” di Ponzano Veneto per evitare sospetti da parte del Comando Tedesco. (Archivio Gobbato).

Sempre da questa relazione risulta che ancora il Primo maggio permanevano in zona militari tedeschi armati:

Martedì 1 maggio: rastrellamento e cattura di soldati tedeschi. Azione avvenuta in Postioma. Prima sono andati alla Marnati - è la testimonianza di Bruno Biasini sull’azione della brigata Bavaresco, nei giorni della Liberazione - hanno fatto saltare il deposito e recuperato parecchie munizioni, poi sono andati alla caserma di De Dominicis, dove hanno recuperato molta roba dal deposito, materiale e viveri; quindi hanno bloccato la strada Castellana, verso Monigo, mentre la popolazione ha cominciato a fare man bassa di tutto quello che trovava. (Ives Bizzi, La Resistenza nel trevigiano cit., p. 94).

La Liberazione a Ponzano

A Ponzano, come in tutto il paese, la Liberazione è vissuta dalla popolazione con la gioia della fine della guerra e della paura dei fascisti e dei tedeschi. «l giorni della liberazione - racconta Enrico Zanatta - c’era contentezza senz’altro, eravamo tutti contenti perché la guerra xe finia. Ma fintanto che non xe arriva gli americani jera sempre pericolo, me ricordo jera sempre pericolo a camminare per la strada, la sera ghe jera il coprifuoco. Qua ghe jera anche i partigiani, sulla Villa Minelli e sulla Villa Ricci, a villa Minelli ghe ¡era il deposito dei camion, il deposito degli attrezzi».

Pasquale Borsato descrive i festeggiamenti ma anche un fenomeno diffuso: dopo la fuga dei tedeschi, sbucano da non si sa dove tanti partigiani, i partigiani dell’ultima ora, che non avevano partecipato alla lotta ma, all’ultimo minuto avevano trovato un fucile da mettersi a spalla e un fazzoletto tricolore da annodarsi al collo. «Il 25 aprile c’è stato un grande festeggiamento. 1 partigiani avevano occupato Villa Ricci, che prima era occupata dai tedeschi, li hanno fatto una grande festa. Avevano organizzato dei camion, anche con qualche partigiano dell’ultima ora».

Non tutti erano felici, c’era chi aveva familiari prigionieri in terre lontane, di cui non avevano notizie da tempo e chi piangeva lutti recenti. «A la Liberasion - dice Luigia Rossi - no’ se gà fato tante feste. Un fradel (Luigi Rossi) el jèra morto e sinque i jéra ancora via in prigionia».

«I tedeschi - racconta Piero Stolfo - non se n’erano ancora andati da Treviso, c’era pericolo di rappresaglie, la colonna dei tedeschi in ritirata doveva passare per Ponzano e Paderno, ci avevano raccomandato dal Comando del CNI di evitare provocazioni che avrebbero comportato dure reazioni contro i civili. A Paderno fu ammazzato il piccolo Pivato».

Annamaria Gastaldo così ricorda quei giorni: «Alla Liberazione, può darsi che fosse il 25 aprile, non so, poteva essere il 26 o anche il 28, il 25 aprile è una data che è stata assunta dopo, i tedeschi che si trovavano a Treviso hanno negoziato col Comitato di Liberazione per evacuare la città senza arrecare danni, lasciare libera la città. Loro si impegnavano ad andar via, ma volevano la certezza di non essere attaccati. Sono passati per via Roma, sparando a raffica da una parte e dall’altra della strada. Sentivamo fischiare le pallottole, noi dovevamo stare dentro in casa. Son morte delle persone, anche dentro in casa perché le pallottole hanno forato i muri e le finestre. Hanno ammazzato quel bambino, Pivato, anche altre persone sono morte, a San Pelaio».

Finalmente, dopo alcuni mesi dall’assassinio dei partigiani di Ponzano, Enrico Gobbato e Bruno Picciol si possono incontrare, come racconta que-st’ultimo: «El giorno de San Liberae, el 25 april xe ‘a festa dea Liberazion, ma el 27 i tedeschi i jèra ancora qua e i andava de qua e de là co’‘e so machine scuerte. La Irma, so sorea d’Enrico Gobbato, la gavea l’ostaria, la me gà mandà a ciamar e la me gà dito: varda che Enrico el xe qua! El xe de sora.

Quando che el me gà visto, el se gà messo a piansar. Come semo qua. Mi son qua par ‘na parola. Ghe gho dito: come femo co’ i tedeschi?».

Nel rapporto sull’Attività insurrezionale della brigata Garibaldi “L.Bavaresco” sono descritte le iniziative del battaglione “Ugo e Vladimiro Benvenuto” che opera a Ponzano:

In data 25 aprile, si intensifica la preparazione militare dell’attività operativa insurrezionale da svolgere in collegamento con le altre formazioni dislocate nella zona. Il 26 aprile alle ore 21.30 pattuglie del battaglione provvedono a far brillare a Castagnole mine collocate dai nazifascisti, e a recuperare nella stessa zona armi automatiche ed esplosivi.
Il 27 aprile nella zona Ponzano-Paderno-Merlengo e Campagna viene imposto il fermo ai sospetti fascisti, mentre il 28 aprile si organizza un campo di concentramento di prigionieri tedeschi.
Il materiale recuperato da queste prime azioni è immediatamente utilizzato dalle squadre di garibaldini per una migliore organizzazione dell’attività operativa.
Il Battaglione si appresta ad attaccare la città di Treviso quando vengono segnalati nella zona di Paderno-Villorba forti colonne tedesche: la zona viene rastrellata per l’annientamento delle forze nemiche in un ampio settore che si estendeva da Spresiano, Arcade, Postioma, Santa Bona, Fontane.
Il maggior numero di resistenza tedesca è a Villa Ricci in Paderno.
Nessuna intimazione di resa viene accettata dalle forze che vi si trovano trincerate.
Nella mattinata del 29 aprile in seguito all’accanito combattimento durato buona parte della notte 200 tedeschi del presidio ben armati riescono a sganciarsi per congiungersi con il presidio di Villorba. Notevole il bottino di armi e munizioni e materiale vario catturato con la presa di Villa Ricci.
Una colonna tedesca composta da sei autocarri diretta verso Treviso da Camalo viene attaccata e costretta a ripiegare con perdite rilevate ad almeno 18 morti e numerosi feriti. Sopraggiunge frattanto una grossa colonna della FLAC di Treviso formata da 14 autocarri recanti l’armamento della difesa contro-aerea della città. Le modeste forze partigiane che al momento presidiano Villa Ricci non possono evitare che la colonna stessa rioccupi quel presidio. Durante l’operazione di sganciamento le forze garibaldine si scontrano con un’altra colonna tedesca proveniente da Postioma. Nella notte del 30 aprile avviene l’occupazione definitiva di attiva Villa Ricci che i garibaldini mantengono saldamente nonostante un tentativo di accerchiamento da parte di un gruppo di SS tedeschi forte di 400 uomini circa. (AISTRESCO, f. 3, b. 2, fasc. brigata “P. Gobbato”).

Gli ultimi scontri tra fascisti e partigiani

L’antifascismo militante dilaga tra la popolazione, si crea uno spirito di imitazione verso “il partigiano”, in molti vogliono ritagliarsi un pezzo di protagonismo per ascrivere alla propria storia personale uno scampolo di gloria da raccontare.

«Alla sera, un giorno o due dopo il 25 aprile - ricorda Annamaria Gastaldo - c’era ancora lotta: tra partigiani e fascisti continuavano a sparare e a rincor-rersi, era la caccia al fascista. Uno ha attraversato i nostri campi, era un fasci-sta, rincorso da uomini che volevano catturarlo e gli gridavano: fascista!

Fascista! Mia zia aveva tre ragazzi grandi e gli correvano dietro anche loro, la zia la diventava matta, aveva paura che andassero a mettersi in tanti guai».

Le truppe tedesche sono in fuga, ma i partigiani devono mettere i fascisti in condizione di non nuocere, vi sono scontri e feriti.

A Pasquale Borsato è rimasta impressa questa immagine: «Ho visto un camion con il tricolore che andava verso Camalò alla caccia dei fascisti, alla ricerca di qualche fascista che si era nascosto».

Gli scontri procurarono anche gli ultimi feriti della lotta di Liberazione.

Anche in quest’occasione, a Ponzano, toccò al dottor Gastaldo mettere mano ai ferri del mestiere come racconta la figlia: «Allora, quella sera, hanno bussato alla porta. È entrato uno accompagnato da altri. Mio papà lo ha portato nell’ambulatorio, io, come al solito, facevo da infermiera con un catino in mano. Una pallottola gli aveva trapassato una mascella e un dito. Durante l’operazione hanno tolto la luce. Nei palazzoni celebravano un matrimonio e non avevano oscurato le luci, è passato Pippo e ha sganciato una bomba.

Così siamo rimasti senza luce. Abbiamo continuato a curarlo a lume di can-dela. Dopo è venuto uno altro ferito, con una pallottola nella schiena. Non si può essere più fortunati di quello là, aveva preso una pallottola sopra la spina dorsale che l’aveva trapassato di striscio. Mio cugino si è informato, poco dopo, ed ha saputo che erano cognati, uno fascista e uno partigiano. Ormai la guerra era finita i Tedeschi erano fuggiti, però continuavamo a vivere in questa situazione».

La ritirata dei tedeschi e la morte del piccolo Angelo Pivato

Le truppe tedesche si ritirano da Treviso il 29 aprile, la certezza della data è documentata dalla morte del piccolo Pivato nel libro, già citato, di Guglielmo Polo Ponzano: note storiche cit., si legge:

Il 29 Aprile 1945, mentre il bambino Pivato Angelo di Luigi, di anni nove, stava giocando sulla strada nei pressi di casa sua, venne colpito da una pallottola dei tedeschi in fuga. Portato all’Ospedale di Treviso e poi riportato a casa, creduto fuori pericolo, moriva il 23 maggio 1945. La piccola salma ebbe solenni onoranze funebri. (Ivi p. 337).

Il 26 maggio 1945, con una lettera inviata al “Corriere del Veneto”Il CNI del Veneto, nei giorni immediatamente seguenti la Liberazione, decretò la chiusura del Gazzettino, in quanto testata che aveva appoggiato in modo incondizionato i fascisti della Repubblica Sociale e l’occupazione tedesca. In sostituzione del Gazzettino, unico giornale locale veneto, uscì, per alcuni mesi, una nuova testata “Il corriere del Veneto”.  (conservata nell’ Archivio Gobbato) i firmatari Ruggero Benvenuto, Commissario Politico, Bruno Biasini, Comandante Tecnico, Ignazio Gobbato, Comandante Militare, chiedono, a nome del Comitato Nazionale di Liberazione di Ponzano Veneto, la pubblicazione della notizia dei funerali del piccolo Angelo Pivato:

Vi preghiamo di inserire nel vostro esimio giornale la seguente notizia:
Stamane si sono svolti i funerali del piccolo PIVATO ANGELO di anni sette da Ponzano Veneto, deceduto in seguito a grave ferita per pallottola nemica, riportata nei fatti militari inerenti alla Liberazione di Treviso.
La cerimonia alla quale ha partecipato la cittadinanza intera, è stata presenziata da una rappresentanza di Patrioti del Presidio di Ponzano di cui si notava una corona di fiori.
Un Patriota a nome di tutti i compagni del Presidio ha pronunciato parole di cordoglio, che hanno suscitato profonda emozione negli astanti per la innocente vittima della barbarie nazi-fascista.

La vicenda suscitò un forte sconcerto nel paese, e ancora oggi quest’episodio viene raccontato con profonda emozione.

L’uccisione del piccolo Pivato non fu una disgrazia. I tedeschi, benché definitivamente sconfitti e in ritirata, continuavano a sparare, anche contro i civili, con l’intenzione di uccidere, come emerge dalla testimonianza di Anna Mestriner: «Quando se gha ritirà i tedeschi, me nonno, me fradel pi ceo, Giannino, che adesso xe in Brasile, e Angelo Palazzon jera sconti sotto el pajer, perché, na volta, sotto el pajer se fasea l’arco per mettar sotto le robe che non le ciappasse la piova. Da casa, Beppi Teso, gha visto la colonna, e xe corso, anca lu, per sconderse sotto el pajer. I tedeschi dalla strada i lo gha visto e i gha scomincià a mitragliar, pam, pam, pam e i gha incendia el pajer.

Il pajer ardiva e lori jera sotto. Per fortuna jera ala fine dela colonna, che i gha possuo scampar via prima che il pajer casche. Allora i se gha salvà. Xe
stada na paura tremenda».

Varie testimonianze evidenziano come si fosse diffuso, probabilmente proprio tra i partigiani dell’ultima ora, una certa leggerezza congiunta ad una sorta di irresponsabilità sull’uso delle armi nei confronti dei tedeschi in riti-rata. «I partigiani - racconta Annamaria Gastaldo - erano rifugiati nella Villa Ricci a Paderno, ora villa Comunello, nei giorni della Liberazione.

Quando i tedeschi sono partiti da Treviso, sono passati per Via Roma, davanti a villa Ricci, qualcuno tra i partigiani voleva sparargli col mortaio, per fortuna c’erano altri che avevano la testa sulle spalle e gli hanno detto: situ matto, vien fora una strage. Era una colonna armata, volevano fermarla con un mortaio questi matti. In ogni modo se ne sono andati».

Bruno Picciol è tra coloro che intervengono per riportare alla ragione i partigiani improvvisati: «L’armata tedesca andava zo par la Postumia: carri armati e camion. Te vedessi che afari. Stè fermi, Maria Vergine, no’ stè movarve, ghe gho dito. I me risponde: non sta a preocuparte. E i gà piassa na mitralia dove ghe xe ‘a vigna desso. Chealtri i jéra par de qua. Ma cossa volè far? Ma andè a scondarve». Fini per prevalere un giusto senso di responsabilità.

Piero Stolfo così descrive il passaggio dei tedeschi a Ponzano, in ritirata da Treviso: «C’era pericolo di rappresaglie, la colonna dei tedeschi in ritirata doveva passare per Ponzano e Paderno, ci avevano raccomandato dal Comando del CNL di evitare provocazioni che avrebbero comportato dure reazioni contro i civili. Avevo l’ordine di tener calma la gente, di non provocare i tedeschi in ritirata, sul campanile c’era una mitraglia, ma l’ordine era chiaro: non sparare neanche un colpo, che fosse un colpo. Bisognava intervenire solo se avessero sparato sulla popolazione».

Il comando tedesco, insediato a Treviso, aveva respinto la richiesta di arren-dersi. Il CNL per evitare la strage di civili in città, con l’intermediazione del Vescovo, aveva concordato di permettere la ritirata delle truppe occupanti, ancora armate, con un patto di reciproca non belligeranza. I capi partigiani della Provincia di Treviso, come testimonia il Presidente dell’ANPI, Lorenzoni, che ha ricoperto un ruolo di primo piano nella Resistenza trevigiana, per evitare bombardamenti e scontri armati che avrebbero messo in grave pericolo la popolazione, avevano concordato, con il comando angloa-mericano, che le formazioni partigiane avrebbero fermato le truppe tedesche lontano dai centri abitati, in modo particolare da Treviso. I partigiani riuscirono a mantenere l’impegno. Ad esempio un intero Corpo d’armata tedesco in ritirata fu annientato sulla Statale di Alemagna, tra Conegliano e Vittorio

Veneto. Sul “Menare”, infatti, un tratto di strada lontano da centri abitati, dopo che le brigate partigiane avevano costretto alla resa e fatto prigioniero l’intero corpo d’armata tedesco, militari e ufficiali compresi, che si era ritirato da Treviso, fu distrutta dall’aviazione inglese la colonna di camion, carriarmati e autoblindo, che si avviava al confine austriaco.

 


Note:

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