Ponzano Veneto 1935-1945: Forza della Memoria

Comincia la Resistenza armata

Nascono i primi nuclei di Resistenza

I primi nuclei di Resistenza si formano tra ottobre e novembre del ‘43, con l’incontro tra militari sbandati, giovani che sfuggono alla leva, operai, studenti, intellettuali, uomini e donne di tutti i ceti sociali e gli esponenti dei partiti politici antifascisti. La guida politica della Lotta di Liberazione è uni-aria: i partiti antifascisti si riuniscono nel Comitato Nazionale di liberazione, il C.N.L… La Resistenza armata è condotta da formazioni di par-lito. I comunisti creano le brigate “Garibaldi”, il Partito d’azione organizza le brigate “Giustizia e Libertà”, i cattolici i gruppi delle “Fiamme Verdi”, i monarchici si riuniscono nelle formazioni dei “Fazzoletti azzurri”, i socialisti nelle brigate “Matteotti”. Si formeranno, inoltre, brigate autonome, prevalentemente di ispirazione monarchica, che non intendono collegarsi ad alcun sartito. La Resistenza in Italia assume così una connotazione nettamente politica.

La situazione di Ponzano è descritta dalla testimonianza di Bruno Biasini, home di battaglia Leo, che sarà il vicesindaco di Ponzano alla Liberazione, raccolta nel 1975 da Ives Bizzi:

Dopo l’8 settembre è iniziata la ricerca degli sbandati. Allora io, Ignazio Gobbato, Gino Benetton, abbiamo costituito un comitato di difesa contro la guerra con la partecipazione di tutte le forze giovanili. Eravamo in molti, circa 150 e ci riunivamo nelle stalle, poi, dato che eravamo in tanti, le facevamo in mezzo alla campagna. Ci siamo dati una certa disciplina, abbiamo organizzato la difesa con controlli, staffette e turni di guardia alla notte. (Ives Bizzi, La Resistenza nel trevigiano, Giacobino Editore, 2001, p.92).

Annamaria Gastaldo racconta che i ragazzi sapevano pochissimo della Resistenza appena nata: «Allora, noi ragazzetti di tredici, quattordici anni non sapevamo niente dei partigiani, niente di niente, però qualcuno diceva: satu che in mezzo alle canneviere ghe xe de l’erba buttada zo, ghe xe qualcun che gha dormio là sta notte. Si cominciava a sentire le prime voci di questi ragazzi che dovevano stare nascosti».

A Ponzano, il “Comitato di difesa contro la guerra” si era sciolto, dopo poco tempo, per l’emergere di divergenze politiche. Ives Bizzi, in Il cammino di un popolo, dà questa versione:

Dopo alcune settimane, Gino Benetton si presenta alle riunioni degli sbandati con un volantino sul quale sono riportate le dichiarazioni di Ercoli (Palmiro Togliatti). I fratelli Pietro e Enrico Gobbato, del Partito d’Azione, protestano subito e si scagliano contro Benetton, dicendo: «Voi siete dei russi, soffocate la libertà». E da quel momento i due fratelli si mettono per conto loro. (Il cammino di un popolo, Giacobino Editore, Treviso 1975).

La nascita della brigata “P. Gobbato” delle formazioni di “Giustizia e Libertà”

I fratelli Gobbato e Luigi Rossi avevano stretto, già dopo l’8 settembre, un forte legame con il Partito d’Azione che andava costruendo la propria organizzazione militare.

Luigia Rossi racconta le prime esperienze cospirative del fratello Luigi:
«Gigetto dopo l’8 settembre l’è tornà a casa. Stava sempre nei campi, lu l’era sempre nel campo, di giorno ma alla sera i se riuniva. I campi i li avea tutti qua verso Villorba - continua - i partigiani si riunivano in campagna, dove potevano. Tra casa nostra e l’osteria della Giacomina cera un boschetto di canne, che jera nostro, là i andava a far la riunion, me papà el andava di nascosto ad ascoltar, una volta i gha sentio movimento e i volea sparar.

Quando xe vegnuo a casa, l’era bravo, sempre sul campo, la sera andava alla riunion, me papà ghe gha ditto: Gigetto, Gigetto sta attento. Tasè pare, vu non savè niente, se dava del vu. Me pare invece di nascosto controllava».

Procurarsi le armi non era difficile, i militari che tornavano a casa spesso avevano con sè il proprio moschetto, come racconta Mario Marcuzzo: «Un amigo jera venuo a casa da Trieste in camion, mi jero vegnuo una o do settimane prima, e gavea il moschetto e lo gavea sconto sul solaio, dentro il coverto. Non gavea coraggio de torlo lu. Te pol torlo ti Mario, me gha dito e mi son partio da Borgo Ruga, in bicicletta e son andà a torlo a casa sua. Son vegnuo a casa col moschetto in spalla. I me gha dito che jero matto. I tedeschi te coppa, ma i tedeschi non jera ancora qua».

Il Comandante della brigata “P. Gobbato” Mario Grespan, nel Diario storico militare, così descrive i giorni immediatamente dopo l’8 settembre:

Dopo lo sfacelo letale 1’8 settembre 1943, militari e tutti i corpi rientrano disorientati alle loro famiglie sfuggendo alla cattura da parte dei tedeschi.
Qualche militare riesce, dei punti più lontani, a portare in salvo il suo moschetto oppure una pistola o qualche bomba a mano. Si parla subito di poter fronteggiare il secolare nemico, anche e soprattutto per impedirgli la deportazione di molti nostri fratelli non ancora rientrati. (AISTRESCO, f. 3, b. 2, fasc. brigata “P. Gobbato”).

Il settimanale dell’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Treviso e Belluno, “La nuova strada”, pubblicato il 4 settembre del 1947, contiene un articolo I primi caduti delle formazioni “Giustizia e Libertà” dedicato al ricordo dell’assassinio di Gobbato, di Rossi e dei fratelli Bianchin, dove si descrive la nascita della Resistenza a Ponzano:

Il piccolo paese di Ponzano, immediatamente a Nord di Treviso, è stato un centro notevole di cospirazione e di lotta. Sfuggiti alla cattura dei Tedeschi, ai bandi ed alle minacce di morte i giovani risposero come altrove raggruppandosi, organizzandosi non solo per la difesa personale, ma dei paesi esposti alle prepotenze degli occupanti. Antifascisti di vecchia e provata lede seppero fare di alcuni giovani volenterosi dei rivoluzionari che, passando ben presto dalla difensiva all’offensiva, trascinarono nella lotta quanti erano animati dal patriottismo e dal risentimento per il disastro del settembre e per la deportazione in Germania di numerosi fratelli.
Sorsero così le formazioni di pianura “Giustizia e Libertà”, che inquadrarono uomini dei campi e giovani operai per lo più provati da anni di naia. Il movimento si estese sempre più ed agganciò altre squadre, spontaneamente desiderose di armi e di guida per lottare contro il prepotente straniero e i traditori fascisti.
Quando a Lancenigo dai dirigenti del Partito d’Azione furono riuniti i vari comandanti di squadra, unanimemente fu eletto Piero Gobbato, giovane alto e robusto, dalla fronte spaziosa, gli occhi neri e penetranti, lo sguardo fiero ed intelligente. Piero sembrava il capo naturale in mezzo a quei volontari della libertà, cui sorrideva fraternamente proponendo seduta stante un piano concreto di lavoro e fissando la sede del comando a Ponzano. (“La nuova strada”, 4 settembre 1947).

Bruno Picciol racconta l’inizio della attività cospirativa del Gruppo partigiano del Partito d’Azione: «Quando gli americani i xe sbarcà. Piero Gobbato e Luigi Rossi, credo jera al comando a Treviso, con Ramanzini, il capo del Partito d’Azione a Treviso, insieme con altri se semo trovai un di, per i campi. Dopo l’8 settembre del ‘43, Rossi Gigetto, era sergente, Piero l’era marescial ne gha dito: ghe saria degli atti da far contro i tedeschi contro i fascisti. Metterse contro i fascisti, ghe gho risposto, ma se non gavemo niente. Se riunimo e dopo vedremo. Piero e Enrico i aveva il dopo lavoro, se andava in osteria e se parlava ma sempre con riguardo. Mi jero de un altro avviso, perché non era da fidarse de tutti. Sul Comune de Ponzan, se jera mi, Enrico e Piero Gobbato, i do Bianchin, lietto, Cirillo Zanatta, se eral in sette, ma i siè più frequentatori se era noialtri, perché Enrico, alla notte, no ghe vedeva tanto, e allora ghe era certi ostacoli e bisognava far silenzio. Mi me immaginavo come che jera, il comando a Treviso, Ramanzini del Partito d’Azione. Noialtri eravamo brigata Gobbato de Giustizia e Libertà. Qua non ghe jera altre brigate. Piero saveva se ghe jera altri. Ghe jera Bruno Biasini ma non se fidavamo tanto, era la cospirazione. Se era tra lal vita e la morte, i veniva a torte a casa i te coppava, i fascisti i aveva carta bianca».

La nascita della brigata “Piero Gobbato” è documentata dal Diario storico militare:

Nata col nome di Il brigata “Giustizia e Libertà” perché creata e finanziata dal Partito d’Azione e composta, nella sua quasi totalità, da elementi di detto Partito. (AISTRESCO, f. 3, b. 2, fasc. brigata “P. Gobbato).

Nel movimento partigiano di ispirazione azionista, in modo particolare nell’ala militare, forte è la spinta a mantenere l’azione partigiana fuori da riferimenti dei partiti. Infatti nel citato Diario storico militare si legge:

Crea qualche disappunto nell’intendimento del comandante Campagnolo, il quale è tenace assertore della apoliticità nel campo partigiano. Con i primi di gennaio del 1945, infatti cambierà la denominazione in brigata “Vittorio Zannibon”, medaglia d’oro al valor militare nella guerra di Grecia. Tale rimarrà fino all’insurrezione. Con la Liberazione non si può fare a meno di ricordare uno dei più puri ed eroici partigiani caduti e che nelle forze che oggi costituiscono questa brigata aveva militato. Alla liberazione la brigata ricorderà il suo nome e il suo spirito eroico chiamandosi brigata “Piero Gobbato”». (Ivi).

La brigata “P. Gobbato” operava in questa area:

La zona l’impiego di questa brigata per sommi capi partendo dal Montello nella zona tra Venegazzù e Caonada, intersecando la Strada Feltrina, passa oltre la ferrovia di Signoressa, punta su Padernello evitandolo, tocca Paese, San Giuseppe, la periferia di Treviso, ritorna per Fontane, Catena, evita Spresiano ed Arcade, arriva a Giavera e con un semicerchio sul Montello ritorna a Venegazzù. (Ivi).

Anche nelle formazioni del Partito d’Azione le brigate si suddividevano in battaglioni; a Ponzano operava il battaglione “Montello”:

Il primo comando di brigata si stabilisce a Signoressa con Lampo, ma ai primi di novembre 1944, succeduto a Lampo il Comandante Campagnolo, si sposta a Selva dove si hanno maggiori possibilità di contatti col secondo Battaglione Postioma-Ponzano-Visnadello (Lovadina), (Ivi).

Sempre dal Diario della brigata si viene a conoscenza che il nucleo operativo di Ponzano, già dall’inizio si era dato una buona organizzazione:

Le forze con epicentro a Ponzano Veneto (...] già dimostrano una efficiente organizzazione (...]. Le Formazioni “Giustizia e Libertà”, capeggiate dai fratelli] Piero ed Ignazio Gobbato, rivelano una salda consistenza e una salda struttura. (Ivi).

Trovano inoltre conferma le testimonianze di Bruno Picciol e della sorella di Luigi Rossi: anche qui la nascita delle brigata e le prime azioni sono legate soprattutto alla determinazione dei capi partigiani:

Nella zona |... si costituiscono in ogni frazione intorno i più intelligenti e coraggiosi antifascisti dei nuclei di resistenza (...] si cerca affannosamente di poter recuperare le prime armi. Si costituiscono così primi nuclei autonomi che nonostante la mancanza di direttive e mezzi efficaci raggiungono qualche risultato positivo.
Verso la fine del 1943 si può contare su qualche centinaio di uomini moralmente preparati, ma nell’impossibilità di agire. Molti di questi saranno sempre a disposizione ma non potranno mai portare un contributo efficace. Le prime azioni sono dovute all’iniziativa personale dei capisquadra di quali agiscono nella stretta cerchia dei loro amici personali. (Ivi).

Mario Grespan, nome di battaglia D’Artagnan, enuncia i criteri fondamentali che ispiravano il reclutamento nelle formazioni partigiane di pianura delle brigate “Giustizia e Libertà”:

Partendo da un principio personale, se si vuole, il criterio seguito dai successivi Comandanti e sempre ribadito in ogni occasione dal sottoscritto, ogni formazione avrebbe dovuto agire strettamente in una zona ben delimitata e con uomini del luogo.
Avendo zone ben precisate si poteva evitare interferenze che talvolta si sono dimostrate fatali; avendo tutti elementi locali, si poteva avere maggiore fiducia negli uomini poiché già conosciuti in precedenza evitando l’inclusione di elementi di dubbia moralità e con scopi delatori. (Ivi).

La formazione della brigata garibaldina “Antonio Gramsci”

I comunisti creano le brigate “Garibaldi”. Dalla testimonianza di Bruno Biasini, per molti anni segretario della Sezione del PCI di Ponzano Veneto, si ha notizia della formazione della prima brigata partigiana garibaldina della zona di Ponzano, la “Gramsci”:

In seguito sono entrato nel Comitato federale del Partito Comunista, dal quale ho ricevuto l’incarico di organizzare le formazioni partigiane nella zona del Montello, perché fratelli Gobbato, con una trentina di elementi, avevano deciso di fare per conto proprio.
Ed è così che io, Gino Benetton, Mario Michelin, Raffaele Slongo, Pietro Stolfo, il fratelli Antonio, Giovanni, Luigi e Vito Gola, i fratelli Celeste, Luigi e Marco Allegro ed altri elementi di Porcellengo, di Cornuda come Romano Brotto, dil Arcade, Nervesa, Paderno e Campagna, dove c’era il professor Luccini sfollato in casa dei fratelli Gola, e Ponzano abbiamo creato, con una cinquantina di elementi, la prima formazione garibaldina della zona: la Gramsci. (Ives Bizzi, La Resistenza nel trevigiano cit. p. 92).


Piero Stolfo racconta il formarsi del nucleo partigiano comunista: «Sono andato a fare il partigiano quando mi è arrivata la carta che dovevo tornare a fare il militare sotto alla Repubblica di Salò, allora ho preso contatto con Biasini. C’erano solo i comunisti delle brigate “Garibaldi” e “Giustizia e Libertà”, del Partito d’Azione, i cattolici non avevano nessuna organizzazione che faceva cospirazione. Gino Benetton era comunista, era con noi, io facevo i sabotaggi, loro facevano propaganda politica». Dalle testimonianze e dai documenti di archivio la brigata Gramsci, come in genere le formazioni che fanno riferimento alle brigate “Garibaldi”, fin dall’inizio, appare più strutturata delle formazioni che fanno riferimento alle brigate “Giustizia e Libertà”.

Il Comando centrale e i comandi periferici delle brigate “Garibaldi” erano composti da comunisti che avevano una lunga esperienza cospirativa ed in modo particolare avevano avuto una formazione militare nella guerra di Spagna. Il Comandante generale delle brigate “Garibaldi” era Luigi Longo, che già in Spagna aveva assunto il nome di battaglia “Gallo”; a livello provinciale il comandante era Piero Dal Pozzo, il segretario provinciale del Partito Comunista. Anche Dal Pozzo aveva combattuto in Spagna col grado di ufficiale, ed era stato ferito.

E evidente che nelle brigate “Garibaldi” non esistevano le remore, presenti nelle formazioni di “Giustizia e Libertà”, rispetto al ruolo di comandanti assunto dai dirigenti di partito.

La struttura delle brigate partigiane, anche del Partito d’Azione, era mutuata dall’esperienza delle brigate internazionali in Spagna, dove le brigate si articolavano in battaglioni ed il comando militare era affiancato dalla figura del ‘‘Commissario politico”. La brigata “Gramsci”, in seguito, diventerà brigata “L. Bavaresco” (AISTRESCO, f. 3, b.1, fasc. brigata “L. Bavaresco”).

Il Comando della “Bavaresco” era a Paderno. La brigata operava nel territorio a nord-est di Treviso; l’area d’intervento comprendeva Santa Bona, i comuni di Ponzano, Povegliano, la zona sud di Arcade e Giavera, Volpago del Montello, Signoressa, Postioma, la parte a nord di Quinto, Paese ed Istrana. La brigata era composta da tre battaglioni: il battaglione “Ugo e Wladimiro Benvenuto”, con comando a Ponzano: il battaglione “Cattarin”, con sede a Paese e il battaglione “Buttazzoni”, con sede a Santa Cristina di Quinto.

Il battaglione “Benvenuto” operava nell’area delimitata dalla Pontebbana, ad est, dalla Feltrina, ad ovest, e dal canale Brentelle, a nord.

Il diario dell’Attività operativa svolta dalla brigata “L. Bavaresco”, dal settembre del 1943 alla 24 aprile del 1945, riporta 91 azioni partigiane, prevalentemente rivolte al sabotaggio delle ferrovie e delle linee dell’energia elettrica e telefoni - che, al disarmo di tedeschi e brigatisti neri. (AISTRESCO, f. 3, b.1, fasc. brigata “L. Bavaresco”, Attività operativa svolta contro truppe tedesche o formazioni repubblicane ed atti di sabotaggio compiuti dalla brigata garibaldina “Luigi Bavaresco” dall’8. 9. ‘43 al 25. 4. ‘45). Nella documentazione così è descritta la sua nascita e l’evoluzione organizzativa:

Anche questa formazione ha avuto vita subito dopo 1’8 settembre 1943, con l’unione dei vari nuclei di resistenza della prima zona.
Ai fini organici, essa ha incominciato a funzionare nell’ambito del Corpo Volontari della Libertà Il Corpo Volontari della Libertà, C.V.L., era l’organizzazione militare del Comitato Nazionale di Liberazione ed esercitava il comando militare unificato di tutte le Brigate partigiane. , verso il 15 luglio 1944, epoca in cui prende maggiore consistenza per l’assorbimento della formazione “A. Gramsci”. (Ivi).

Da questo documento risulta che, dall’8 settembre del 1943 al 15 luglio 1944, comandante della “Bavaresco” è Bruno Biasini e commissario politico Ruggero
Benvenuto. In seguito, fino al febbraio del 1945, comandante sarà Gianriccardo Carraro, nome di battaglia Mauro, e Biasini vice commissario. Poi, fino alla Liberazione, il comandante sarà Corrado Vanin, nome di battaglia Sparviero, e Bruno Biasini conserva l’incarico di vice commissario politico.

Comandante del battaglione “Benvenuto”, invece, era Iginio Benetton, commissario Guido Benvenuto, vice comandante Raffaele Slongo, vice commissario Guido Pasquale e capo di Stato Maggiore Amadio Piovesan.

Nell’Attività operativa svolta cit. così sono descritte le attività svolte da settembre fino alla fine del 1943:

Subito 1’8 settembre del 1943 da parte di elementi isolati e di squadre che hanno poi costituito la brigata si è in molte riprese provocata la liberazione di prigionieri di guerra alleati molti dei quali sono stati assistiti ed occultati; si è inoltre organizzata la liberazione di militari e civili italiani in viaggio di deportazione verso la Germania. Le operazioni di liberazione avvenivano soprattutto al posto di blocco di Lancenigo, in località Sant’Angelo, e scalo Motta mediante apertura dei vagoni merci previo accordo con il personale ferroviario di servizio.
Complessivamente sono stati liberati oltre 420 prigionieri i quali venivano poi avviati alla residenza od indirizzati alle brigate di montagna in formazione. Le numerose azioni sono state compiute particolarmente dalle squadre dil Sparviero, Perini, Marabella, Soldera, Minato e Pasquali. (Ivi).

Il ruolo dei cattolici

A proposito del ruolo dei cattolici questo è il parere del commendatore Luigi Martini: «La sede dell’azione cattolica di Paderno è stata bruciata dai fascisti nel ‘42 o nel ‘43. Perché l’attività dell’Azione Cattolica era considerata una specie di concorrenza sleale da parte del Partito fascista. Questo atto non ha suscitato una rivolta». In questo modo ricorda l’esperienza del fratello sacerdote a San Martino di Lupari: «In mio fratello, Don Angelo, era maturato un senso di rivolta al fascismo dall’amore e il rispetto della persona, con questo spirito ha partecipato alla Resistenza, gli è stato riconosciuto il ruolo di partigiano combattente con il Brevetto del Generale Alexander.

Dalla fine del ‘43 aveva fondato il gruppo degli “Esploratori”, la cosa era assolutamente proibita. Con lui c’era l’Azione Cattolica, un gruppo di universitari, la punta di diamante delle azioni in nome del rispetto della persona. In quell’ambiente è nato un movimento solido, allargato, diffuso di resistenza organizzata. In quel periodo, ho svolto un ruolo attivo, anche se marginale, nella Resistenza. Ho dato una mano in qualche azione di sabotaggio, ma il mio compito principale era ascoltare i comunicati di Radio Londra. Ho passato parecchie notti in ascolto dei messaggi ai partigiani. In canonica, sotto la sala da pranzo, nascosta da alcune assi rimovibili, era stata nascosta una radio ricetrasmittente».

«I partigiani - racconta Bruno Picciol - ¡ jèra pi’ che sia comunisti e po’ se ghe jera nialtri del Partito d’Azione. Gho sentio che ghe jèra anca dei partigiani democristiani, ma qua no’ ghe ne jèra».

I parroci, durante la Resistenza, esercitarono un ruolo di guida morale, ma furono anche molto attenti a salvaguardare l’incolumità del paese. Ricorrenti sono le testimonianze dei loro interventi presso le autorità militari tedesche e fasciste, per impedire rappresaglie contro civili inermi, ma particolarmente significativa è questa testimonianza di Arrigo Precoma: «I partigiani hanno chiesto ospitalità anche ad altre due famiglie che abitavano qua vicino. In una c’era un simpatizzante fascista che aveva fatto la guerra d’Africa ed era enfatizzato dalla vittoria. La mattina seguente si è confidato con mio papà dicendogli che aveva intenzione di denunciarli. Mio padre gli ha detto: situ matto? Ma, visto che non lo convinceva, gli ha detto di andare dal parroco. Il parroco di Merlengo era Don Pietro Filippetto, era una persona robusta e autoritaria, e gli ha detto: ma fermate, situ matto, vato in cerca di rovinare il paese, non te vedi che i xe armati? E allora si è rassegnato».

Pasquale Borsato racconta come gli ostaggi sequestrati dalle Brigate nere e dai tedeschi, in località Baruchella, in seguito a vari attentati, avvenuti in zona, contro le linee elettriche dell’alta tensione, furono salvati grazie alla mediazione del parroco: «Per l’intervento del nostro parroco, don Remigio Tessarolo, dopo otto giorni, hanno avuto la libertà».

Nel libro AA. VV., In memoria dell’arciprete don Giovanni Capoia, Postioma 1967 viene ricordato il ruolo svolto dall’arciprete di Postioma:

Per i locali della canonica passavano ebrei, sbandati, un po’ di tutto e questa assenza di discrezione nei confronti degli ospiti procurò al parroco la denuncia di antifascismo.
Cosi nel novembre 1944 in canonica si presentò un militare tedesco delle SS, accompagnato da un poliziotto fascista in borghese e da altri due militari fascisti armati di tutto punto.
L’arciprete Capoia dialetticamente dimostrò l’infondatezza dell’accusa [...). 1 visitatori se ne andarono dopo due ore senza ulteriori domande.
Con la fucilazione dei fratelli Bianchin la situazione a Postioma si fece più dificile e quanto mai delicata per un complesso di considerazioni di facile intuizione. L’arciprete Capoia, che già conosceva il movimento partigiano locale, si teneva in frequente contatto con i singoli elementi e dimostrava loro larga comprensione. Se non si ebbero a lamentare rastrellamenti o rappresaglie a Postioma lo si deve al costante interessamento del parroco. (Ivi, p. 50.).

I sacerdoti, di fronte al vuoto di autorità, esercitavano un ruolo di guida e di indirizzo per la popolazione. Così Enrico Zanatta ricorda il ruolo del Parroco di Ponzano: «Anche i preti gha aiutà, qua don Giovanni era anziano, e diseva: stè attenti, non andè fora la sera! Un aiuto per dirne come se gavea da comportasse: ste attenti, non andar in giro la notte».

 


Note:

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