Tracce di Dio nel Paesaggio dell'Uomo

Mons. Stefano Chioatto

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Pellegrinaggio della parrocchia di Paderno al Santuario di Castelmonte, Cividale del Friuli, 1952.

Un capitello, diruto o nascosto sotto una pioggia di edera, un albero sacro con una immagine incastrata tra i rami contorti, una colonnina antica con qualche segno sacro, ai confini di una campagna, oggi vengono interrogati come muti testimoni di una preghiera, nata in un tempo da noi lontano, ma continuata fino ai nostri giorni. Questi piccoli monumenti, i più ricchi come i più esili e poveri, con una forma talvolta appena abbozzata, ci parlano molto spesso più di un codice, più di una volta di chiesa dipinta nel Due-Trecento, più di un raro manoscritto.

Gabriele De Rosa G. De Rosa, “I capitelli nel paesaggio veneto: metodologia di una ricerca storico-religiosa”, in I «capitelli » e la società religiosa veneta. Atti del convegno tenutosi a Vicenza dal 17 al 19 marzo 1978, a cura di Alba Lazzaretto Zanolo e Ermenegildo Reato, Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, Vicenza 1979, p. 9.


L’interesse degli storici e degli studiosi di sociologia religiosa per i segni popolari del sacro presenti e sparsi nel territorio è piuttosto recente e risale ai primi anni ’70 del secolo scorso. Esso è legato alla riscoperta dell’importanza della religiosità popolare, così come si è espressa in particolare nelle aree rurali. L’indagine da allora è continuata nel corso dei decenni successivi e questa pubblicazione mostra come essa sia ancora lungi dall’essere esaurita. La ricerca ha riguardato in particolare due regioni italiane: il Veneto, dove questi manufatti sono chiamati «capitelli», e la Toscana, dove vengono denominati piuttosto «tabernacoli» G. De Rosa, “I capitelli nel paesaggio veneto: metodologia di una ricerca storico-religiosa”, in I «capitelli » e la società religiosa veneta. Atti del convegno tenutosi a Vicenza dal 17 al 19 marzo 1978, a cura di Alba Lazzaretto Zanolo e Ermenegildo Reato, Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, Vicenza 1979, p. 9.Sulle diverse denominazioni che i capitelli hanno nelle diverse parti d’Italia cfr. Te rogamus, audi nos. I capitelli di Resana, Castelminio, San Marco, a cura di Angelo Squizzato, Grafiche Tintoretto, Villorba (Tv) 2004, pp. 19-20., ed è approdata in decine di pubblicazioni, che hanno costituito un censimento ed una mappatura a livello locale (di parrocchie, di comuni o di aree limitrofe più ampie)Per il territorio trevigiano (diocesi e provincia) si dispone ormai di una sufficiente bibliografia che ripercorre l’arco dell’ultimo quarantennio: oltre al testo già citato nella nota 1 cfr.: G. Franceschetto, I capitelli di Cittadella e Camposampiero: indagine sul sacro nell’alto padovano; premessa di Gabriele De Rosa, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1972; A. Contò, Culto e devozione attorno al capitello trevigiano, in I «capitelli» e la società religiosa veneta, cit., pp. 65-87; E. Manzato, Arte colta e tradizione popolare nei capitelli trevigiani, in I «capitelli» e la società religiosa veneta, cit., pp.89-102; E. Bellò, All’ombra della fede antica: itinerari tra i capitelli e i segni della pietà popolare nella Marca Trevigiana, Sismondi, Salgareda (Tv) 2002; Dei capitelli e altre testimonianze religiose minori in Spinea: memoria, a cura di Francesco Stevanato, Multigraf, Spinea 2002; Alberi sacri: capitelli votivi nella tradizione popolare, a cura di G. Frigo, P. Spigariol, M. Bernardi, Vianello Libri, Ponzano (Tv) 2003; F.S. Cuman, Capitelli, oratori e chiese nel territorio asolano, Aurelia, Asolo (Tv) 2005; U.M. Modulo, I capitelli: segni della pietà popolare fossaltina, Fossalta di Piave (Ve) 2009, stampa Unigraf, Preganziol (Tv) 2008; U.M. Modulo, I capitelli in Sambughè, Sambughè (Tv) 2009, stampa Grafiche Bernardi, Pieve di Soligo (Tv) 2009; A. Fortuni - C. Bonotto, I capitelli di Trebaseleghe: storia, pietà popolare, tradizione, Pro loco “La Pieve”, Trebaseleghe (Pd) 2010. Esistono poi pubblicazioni uscite nell’occasione dell’inaugurazione o del restauro di un singolo capitello . Resta tuttora un punto di riferimento ineludibile per chi si occupa di questo tema il convegno sui capitelli e la società religiosa veneta, tenutosi a Vicenza nel 1978Cfr. I «capitelli» e la società religiosa veneta, cit. .. La raccolta più complessiva dei dati consente ora anche un’analisi critica di questo fenomeno, della sua storia, delle sue tipologie, del suo significato.

Non è un caso che nel Veneto si concentri la maggior parte delle ricerche, perché è nel Veneto che si trova la più alta densità di queste testimonianze di sacralizzazione capillare del territorio, che non è data solo dagli edifici importanti e dalle strutture istituzionali di presenza della Chiesa (le chiese parrocchiali, i campanili, i santuari) ma da una miriade di segni di piccole o medie dimensioni, sorti per iniziativa spontanea di individui, famiglie, colmelli, contrade, collocati presso “alberi sacri”, o lungo le vie, agli incroci delle strade, sul limitare dei confini, sotto i porticati della case, certo con il consenso preventivo o posteriore dell’autorità ecclesiastica, almeno per le realtà più consistenti. Tali luoghi sono stati poi “utilizzati” dai parroci come stazioni per le rogazioni o le processioni e, più recentemente, per la recita del rosario nel mese di maggio o per la celebrazione straordinaria della Messa. Essi, pur non essendo mai stati in alternativa con la parrocchia, sono i segni di una religiosità più intima, familiare, vicinale, fatta di una preghiera silenziosa, di un cero o di una lampadina accesa, di un fiore portato; una religiosità meno razionale e più affettiva, che ha comunque bisogno di visibilizzarsi in un’immagine dipinta o scolpita, di indirizzarsi ad un volto.

I capitelli hanno costituito un elemento familiare nel paesaggio rurale, un presidio religioso del territorio, un punto di riferimento nell’orientamento, un invito alla sosta quando si dovevano percorrere a piedi lunghi tratti. Anche due classici della letteratura italiana ne parlano. Manzoni nel primo capitolo dei Promessi sposi immagina l’incontro tra Don Abbondio e i bravi all’incrocio di un bivio dove è posto un capitello. Guareschi in un racconto della saga di Don Camillo, mostra Peppone appiedato in una notte di pioggia che trova riparo sotto il portichetto di un capitello e intesse con il modo un po’ rude un dialogo con la Madonna ed ottiene la grazia del passaggio automobilistico desiderato G. Guareschi, Lo spumarino pallido. Mondo piccolo, Rizzoli, Milano 1988, pp. 41-42..

Il prezioso lavoro condotto in questi anni dal gruppo “Milo Burlini” in collaborazione con la Parrocchia di Merlengo e l’Amministrazione Comunale di Ponzano Veneto è approdato ad un notevole risultato: si tratta della migliore, più semplice e chiara delle pubblicazioni analoghe che conosco. Esso si presenta nella forma di un catalogo che segnala e documenta ordinatamente tutto quanto esiste a questo riguardo.

Una menzione particolare va fatta per la schedatura. Nella scheda catalografica sono riportati con scrupolosità la tipologia, l’intitolazione, la localizzazione, i committenti qualora conosciuti, l’anno di costruzione, gli eventuali progettisti e costruttori, la benedizione, le opere d’arte contenute e gli artisti, gli elementi storici precedenti, importanti qualora si tratti di un rifacimento, le iscrizioni presenti, la bibliografia di riferimento, non certamente ultime le persone che si prendono cura della manutenzione di questi segni sacri e che con il loro impegno ed interessamento consentono che siano “vivi” nella devozione del popolo di Dio.

Dallo scorrere delle pagine emerge una varietà davvero notevole di tali “tracce di Dio nel paesaggio dell’uomo”, così come dice opportunamente il titolo di questo volume: dalle costruzioni più grandi come gli oratori delle ville venete, posti lungo le vie e capaci di accogliere un certo numero di persone, alle piccole cassette, poste sugli alberi, alle nicchie presenti nelle case private, ai tondi in bassorilievo immurati. Così pure il livello artistico delle opere è molto diversificato. Si parte da normali stampe incorniciate, o da immagini oleografiche, per passare a semplici statue di non grandi dimensioni, in ceramica o in gesso acquistate magari durante un pellegrinaggio ad un determinato santuario, a pezzi unici fatti eseguire o acquistati da artigiani ed artisti, per giungere a dipinti su tela, su tavola o a fresco, alcuni più naïf, altri più elaborati.

Guardando poi ai “destinatari” della devozione, in cima alla classifica troviamo, come c’era da aspettarselo, Maria, con i diversi titoli e forme della sua venerazione, poi Sant’Antonio da Padova, il santo più noto ed amato del mondo, quindi il Crocifisso; con notevole distacco seguono tutti gli altri, a guidare il gruppo nutrito dei quali sta San Pio da Pietrelcina. Soffermandosi sulle date non può non colpire il fatto che tali segni sono ben lungi da essere una testimonianza di una religiosità del passato dato che la maggior parte di essi è stata posta negli ultimi decenni: strano a dirsi in un’epoca di accentuata secolarizzazione, se non anche di scristianizzazione, ma il terzo millennio può vantare la maggior parte di schede del catalogo.

Dietro poi a ciascuno di essi c’è una piccola o più lunga storia, in parte, quando è stato possibile, raccontata. Alcuni sono certamente ex voto, per una grazia ricevuta, altri ricordano una circostanza particolare della vita di una famiglia o di una comunità, e attorno a molti di essi, soprattutto in occasione della memoria del santo cui sono dedicati è normale che un gruppo si raduni per una celebrazione ed una festa.

Questo volume restituisce alla memoria collettiva un aspetto del senso religioso degli abitanti di Merlengo, Paderno, Ponzano, così come si è manifestato nel tempo, perché lo custodisca. In conclusione pare opportuno offrire ancora una citazione di Gabriele De Rosa, che diventa chiave di lettura di queste pagine:

«Vi è un significato misterioso nel gesto dell’uomo, singolo o in gruppo, che decide di porre una croce, affresco o legno che sia, in un determinato luogo. Egli non obbedisce in quel momento a un bisogno estetico, e fa opera di puro artigiano: egli dona alla terra qualcosa che appartiene al suo cuore religioso, al segreto della sua intima convinzione che la Madonna o i Santi vivono con lui e la sua gente» 6 G. De Rosa, I capitelli nel paesaggio veneto, cit., p. 17..

Quando par strada te vedi un capitèl,
se ben che l’è tirà su in qualche maniera,
pa riverensa càvete el capèl
e sotovose disi na preghiera.

Gino Reggio

 


Note: