Tracce di Dio nel Paesaggio dell'Uomo
1. Capitello Al Cristo
Incrocio tra via Roma e via Morganella Ovest
Committenti
Giacomo “Mino” Sbeghen
Costruttore
Impresa Sbeghen
Anno di costruzione
1959
Affrescato da
Umberto Severin in arte Berto Rossato
Restauro
Giuseppe Gatto di Santa Cristina di Quinto
Vetro di protezione, opera di Enrico
“Richetto” Zanatta
Curato da
Famiglia Sbeghen
Il capitello si trova all’incrocio di due vie importanti dove, probabilmente, in passato, un albero, sostituito in tempi più recenti da un capitello, accoglieva un’immagine sacra.
Quasi a confermare tutto ciò, la parrocchia di Paderno aveva nel capitello del Cristo un suo riferimento rituale liturgico, infatti qui accoglieva i feretri provenienti dall’obitorio di Treviso, da qui iniziavano gli ingressi trionfali dei Vescovi in visita e dei novelli sacerdoti, qui vi era la stazione intermedia nel percorso delle grandi processioni del Venerdì Santo e del Corpus Domini, qui infine una delle principali soste delle rogazioni dove venivano apposte e conservate le tipiche crocette con l’ulivo intrecciato.
Il capitello presenta, su uno scalino, un basamento piramidale costituito da pietre multicolori lavorate a roccia e una base di granito rosa sulla quale poggia l’edicola (un tempo marezzata da Domenico “Memi” Bianchin “pitòr”) con tettuccio a coppi che raccoglie la nicchia ad arco a tutto sesto.
Il pittore Berto Rossato trasse ispirazione dai due grandi modelli di Diego Velàsquez conservati al Museo del Prado: il Cristo delle benedettine di San Placido (1630) e El Cristo del Sacramento (1631) delle bernardine “Recoletas” dal quale ricavò lo sfondo.
In origine, come testimoniano le fotografie in bianco e nero, il Crocifisso si ergeva, tra nembi tempestosi, sul dosso del Golgota con lo sfondo collinare che circonda Gerusalemme, col borgo palestinese e le cupolette di stile arabo.
Purtroppo l’esposizione a Nord, nel tempo, aveva danneggiato il dipinto cancellandone quasi del tutto le terre colorate e lasciando la sola sinopia del corpo crocifisso, cosicchè, a trent’anni dalla sua costruzione, il dipinto si presentava gravemente danneggiato dagli agenti atmosferici e Renzo Sbeghen, figlio di Mino, decise di affidarlo a Giuseppe Gatto per il restauro.
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