Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi
L’ARATURA E LA SEMINA
Queste operazioni sono sempre state assai importanti e fondamentali per l'agricoltore.
Il sistema tradizionale dell'aratura, della semina e delle altre attività che seguivano a queste, da alcuni decenni è ormai tramontato.
Rimane il ricordo dell'uso secolare degli animali della stalla e degli attrezzi la cui età si perde nella notte dei tempi, come l'aratro (el vassór) con lo scheletro di legno, il vomere (el gumièr) in ferro e l'erpice (a grapa). La consistenza del terreno esigeva talora l'impiego di varie coppie d'animali precedute dall'asino o dal cavallo, se disponibili. Era allora un fatto normale che tra agricoltori ci si prestasse una o due coppie di buoi o di mucche per rendere possibile una aratura più profonda. Manovrava l'aratro un adulto capace, mentre un secondo guidava gli animali. Queste operazioni venivano eseguite con molta competenza. Risuonano ancora all'orecchio le grida di esortazione che il contadino lanciava agli animali per ottenere da essi il massimo rendimento. E come non ricordare il respiro affannoso delle povere bestie accoppiate sotto il giogo (el dogo)?
Dopo l'aratura seguiva la semina, operazione impegnativa che richiedeva occhio e destrezza, notoriamente legata all'andamento della stagione ed alla luna, come è risaputo dagli agricoltori.
La semina, nel tempo addietro, appariva come una specie di rito, al quale il contadino dedicava la massima cura.
Il seminatore, durante la sua nobile opera, assumeva un aspetto quasi ieratico: la grande borsa a tracolla contenente il grano, il suo procedere a passo cadenzato con il busto eretto e la fronte alta, il movimento calcolato del braccio e della mano distributrice del seme, tutto contribuiva a dargli un tono di grande solennità.
Ma con la citata adozione delle macchine agricole, pure l'arcaico sistema della semina è stato sostituito da metodi e mezzi più razionali; in tal modo però anch'esso ha finito per perdere il suo antico fascino e l'alone di poesia che lò circondava.
Il sistema tradizionale dell'aratura, della semina e delle altre attività che seguivano a queste, da alcuni decenni è ormai tramontato.
Rimane il ricordo dell'uso secolare degli animali della stalla e degli attrezzi la cui età si perde nella notte dei tempi, come l'aratro (el vassór) con lo scheletro di legno, il vomere (el gumièr) in ferro e l'erpice (a grapa). La consistenza del terreno esigeva talora l'impiego di varie coppie d'animali precedute dall'asino o dal cavallo, se disponibili. Era allora un fatto normale che tra agricoltori ci si prestasse una o due coppie di buoi o di mucche per rendere possibile una aratura più profonda. Manovrava l'aratro un adulto capace, mentre un secondo guidava gli animali. Queste operazioni venivano eseguite con molta competenza. Risuonano ancora all'orecchio le grida di esortazione che il contadino lanciava agli animali per ottenere da essi il massimo rendimento. E come non ricordare il respiro affannoso delle povere bestie accoppiate sotto il giogo (el dogo)?
Dopo l'aratura seguiva la semina, operazione impegnativa che richiedeva occhio e destrezza, notoriamente legata all'andamento della stagione ed alla luna, come è risaputo dagli agricoltori.
La semina, nel tempo addietro, appariva come una specie di rito, al quale il contadino dedicava la massima cura.
Il seminatore, durante la sua nobile opera, assumeva un aspetto quasi ieratico: la grande borsa a tracolla contenente il grano, il suo procedere a passo cadenzato con il busto eretto e la fronte alta, il movimento calcolato del braccio e della mano distributrice del seme, tutto contribuiva a dargli un tono di grande solennità.
Ma con la citata adozione delle macchine agricole, pure l'arcaico sistema della semina è stato sostituito da metodi e mezzi più razionali; in tal modo però anch'esso ha finito per perdere il suo antico fascino e l'alone di poesia che lò circondava.
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