Ponzano : Note Storiche
FATTI STORICI DI PADERNO E MERLENGO
Primi documenti su Paderno
Paderno, che si chiamava pure “di campagna di sotto”, per distinguerlo da Paderno del Grappa, nella sua origine forse è più recente delle frazioni di Merlengo e di Ponzano ma è altrettanto ricco di riferimenti storici. Nell’ultimo periodo è andato sviluppandosi fino a diventare la frazione più popolosa e dove ha sede il Municipio.
Le prime notizie si hanno dai registri dei dazi, dove si annotava, nel 1282, “Paderno de prope Ponzanum”. L’Agnoletti, che si rivela sempre attendibile, anche se non riporta le fonti delle sue ricerche, parla delle antiche origini di questa “villa” (villaggio). Nel 1170 risulta che il “beneficio” (=asse patrimoniale ecclesiale) aveva il patronato dell’Abbazia di Busco, in diocesi di Ceneda, per conto del Monastero di Pomposa, nel Ferrarese. Ancora nel 1455 il vicario di quell’Abbazia visitava la parrocchia, che ne era “membro manuale”. Quando Paderno nel 1536 propose al vescovo Paolo Giustiniani di abbandonare il patronato di Busco a favore di quello della Madonna Grande di Treviso, il vescovo, che di Busco era commendatore, impose a quel parroco l’antica obbedienza e di ritirare gli “oli santi” non già da Postioma, antica matrice e di cui era 4ᵃ cappella, ma ogni anno da Busco, e ciò avveniva ancora nel 1662; finalmente nel 1730 tra il vescovo di Treviso e l’abate di Pomposa venne fatto l’accordo che Paderno passasse “iure pieno” alla diocesi di Treviso.
Lo “jus” di Busco cessò realmente nel 1778.
I beni furono acquistati da Jacogna nel 1784 e il patronato passò poi ad Accurti (il diritto cioè di eleggere il parroco). Nel 1837, nella visita del vescovo Soldati, detto patronato viene esercitato dal co. Giacomo Jacogna, per conto delle sorelle Elisa Galvani-Onigo e Adriana Galvani, ancora troppo giovani.
Festa degli anziani, celebrata a Ponzano il 30 novembre 1980 per iniziativa della Amministrazione Comunale.
In alto: nella parrocchiale di san Leonardo sono riconoscibili molte persone che hanno partecipato alla festa.
In basso: nella mensa della Maglieria Benetton il sig. Dino Bonesso, sindaco, porge il saluto ai trecento invitati.
La parrocchia di S. Maria Assunta
II beneficio della parrocchia rendeva nel 1339 lire 15 con il quartese; nel 1470 era valutato 30 ducati, moneta veneziana d’oro fino del peso di grammi 3,55. Un certo “Mio” (Bartolomio di Paderno) nel 1500 regalò alla chiesa 43 campi, con l’onere che venisse onorato il fondatore dei Minimi, cioè san Francesco di Paola; la festa, che ricorre il 2 aprile, viene celebrata tutt’ora.
Per i nostri paesi i tempi erano ben tristi; come è stato notato nella prima parte di questo volume, la gente mangiava, vestiva ed alloggiava male. Venezia aveva consolidato il proprio dominio sulla terraferma (1339-1389); le proprietà fondiarie erano in gran parte nelle mani dei patrizi e parecchie erano in possesso di enti religiosi. Le popolazioni vivevano in squallida miseria. Questa povertà doveva riflettersi anche sugli abitanti di Paderno; nel 1501 al parroco viene comandato di fare la cantina e nel 1502 un inventario ci dice che le botti erano conservate nella sacristia.
Non mancano episodi di generosità: nel 1437 ilparroco Sigismondo aveva lasciato la metà del raccolto alla povera popolazione e nel 1535 il parroco Castiglioni aveva donato 700 lire alla chiesa. Questo lascito diede occasione a un delitto sacrilego. Il triste episodio viene annotato in occasione dei lavori per la visita del vescovo Luigi Molin, nel 1597. Il parroco Sabbadini, da Pesaro, fu derubato, percosso, legato alla lettiera del suo letto e ammazzato: veniva incolpato di aver fatto sparire il lascito del suo predecessore.
Anche in rapporto alla fede, non tutto correva liscio. Le eresie protestantiche serpeggiavano anche nei nostri paesi, sempre mescolate a superstizioni e sortilegi. Verso la fine del secolo XVI, a Paderno, vivevano degli usurai. I familiari di Centure, veneziano, che erano stati a Ginevra, tenevano libri dove si leggeva “il prete non aver autorità di far transustanziazione (= di celebrare la messa e di consacrare il Corpo e il Sangue di Cristo)”Tutte notizie desunte da: C. AGNOLETTI. Treviso e le sue pievi. Treviso 1898. (II v„ pagg. 610-618). (cfr. Agnoletti, op. cit. II, 618).
Personaggi del passato di Paderno
Alle “Ca’ Nove” nel 1630 troviamo il medico, canonico suddiacono, Paolo Aproini, coadiutore del celebre Galileo Galilei, che trascorre la sua villeggiatura.
Nel 1763 nella villa Barbaro, Gianantonio Maria Zantoni, “abate mitrato in Irlanda”, trascorre un periodo di riposo e lascia un legato per le ragazze del luogo, sia nubende, sia che avessero in animo di entrare in convento.
Un altro celebre personaggio è Alessandro Paravia, che troviamo a trascorrere le vacanze nella sua villa (ora Serena) in borgo Ruga. Pier Alessandro era nato a Zara nel 1797; da pubblico impiegato a Venezia, divenne insegnante di letteratura italiana all’Università di Torino succedendo al Biamonti. Tradusse le “Lettere” di Plinio il Giovane, compose molte necrologie, sermoni, orazioni e lezioni accademiche, epigrafi, sonetti e versi di argomento sacro e profano. Notevoli, per il valore documentario, le sue “Memorie veneziane di letteratura e di storia” (1850) e le “Memorie piemontesi di letteratura e storia” (1853). Moriva a Torino nel 1857Enciclopedia Pomba. Torino, 1947. Cfr. Per la inaugurazione della “Biblioteca Comunale Paravia” di Zara. Zara, 1857, pagg. 50-53..
Il Paravia, molto vicino a tutta la famiglia Savoia, soprattutto nel periodo del re Carlo Alberto, contava moltissimi amici nel campo degli studi, come Silvio Pellico (di cui conservava carissima una “Imitazione di Cristo”), Nicolò Tommaseo, Vincenzo Gioberti. Antonio Rosminipoi lo considerava il discepolo più caro, dai tempi dell’insegnamento all’Università di Padova.
Il nostro letterato visse celibe, sempre vicinissimo alla madre e alla sorella Manetta, cui legò ogni suo bene.
La sua religiosità appare dal senso di attesa e di pietà con cui volle rice- vere il Viatico, prima della morte. Quando era più giovane fece apparire a Treviso un sonetto in onore del SS. Sacramento. I due documenti sono riprodotti nella pagina precedente.
Un benefattore insigne del Comune è stato l’ultimo rampollo dei Cicogna, Giovanni Battista, professore di Diritto Romano all’Università di Siena e che per tre legislazioni fu deputato nel Parlamento Italiano, per il Partito Popolare. Moriva il 13 maggio 1948 e lasciava ogni suo bene, compresa la villa (ora sede municipale), al Comune di Ponzano Veneto. È sepolto nell’oratorio S. Gaetano, annesso alla villa e nel Municipio si conserva un busto bronzeo con una epigrafe marmoreaIl Cicogna viveva solo, tutto dedito allo studio, al quale si applicava per intere giornate, parchissimo di cibo. . Un cenno a parte merita Paolina Rubbi, i cui resti riposano nell’oratorio Paravia, edificato nel 1731.
A sii.: l’altare dell’oratorio Serena: la pala raffigura lo sposalizio della Madonna.
A dx.: busto marmoreo di Paolina Rubbi. L a esecuzione delle vesti è un particolare da ammirare. Si avanza l’ipotesi che il busto possa essere opera del Torretti, che lavorò per la Chiesa di Merlengo..
Ricordo di Paolina Rubbi
La famiglia nobile dei Rubbi villeggiava nella grande villa in borgo Ruga dal nome del notaio Ruga. Nell’oratorio dello Sposalizio della Vergine, eretto nel 1731, splendido di marmi e barocco nello stile, venne sepolta Paolina Rubbi, morta di tisi a Paderno il 12 agosto 1749, giovane sposa e giovane mamma.
Il marito Gian Rinaldo Carli, le dedicò un libro di memorie dal titolo “Private disavventure d’una vera donna di spirito o sia vita della signora Paolina Rubbi contessa Carli-Rubbi”. Lo sposo volle esternare tutto l’affetto verso la giovane moglie che l’aveva anche materialmente arricchito, mentre egli era un uomo di povere condizioni venuto dall’Istria. Aveva conosciuto Paolina, sposandola nel 1747. La malattia colpì presto la giovane donna; il Carli, celebre letterato illuminista, fece di tutto per salvarla, dapprima a Padova, poi a Paderno, dove fu assistita da Vitaliano Donati, egli pure celebre come medico, naturalista e viaggiatore (1717-1762), ma Paolina non resistette alla violenza di un male allora inguaribile. Il Carli, che era nato nel 1720 a Capodistria, morirà a Milano nel 1795.
Il conte Carli non appena stampato il libro nel 1750 a Lucca, da Filippo Maria Benadini, fece di tutto perchè non venisse divulgato, pagò di propria tasca le spese di stampa e fece pertanto ritirare tutte le copie esistenti. Un esemplare soltanto sfuggì alla distruzione ed oggi è prezioso perché unico e si conserva nella Biblioteca Governativa di Lucca, con una nota dell’arcivescovo Gian Domenico Mauri (1764-1763), allegata al volume. Da notare che i Rubbi erano diventati conti nel 1716 e furono riconfermati nobili con sovrana risoluzione del 17.7.1817, con cui l’imperatore d’Austria ribadiva il titolo di conte ad Agostino Giovanni, commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro, figlio del conte Rinaldo e della contessa Paolina Rubbi, nato il 25 giugno 1748Busta conservata in Arch. parr. di Ponzano. La Rubbi è ricordata anche nel “Manuel de Bibliographie Biographique Et d’Iconographie des Femmes Célèbres”. Turin-Paris, rue Nilsson 1892 (p. 690). Per i titoli nobiliari cfr. F. SCHRODER. Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle province venete. Venezia 1831 (vol. 1, pagg. 208-209)..
TRADUZIONE DELL’EPIGRAFE MARMOREA DI PAOLINA RUBBI
- A PAOLINA RUBBI
FIGLIA DI AGOSTINO CITTADINO VENEZIANO
DI ANNI 25, MESI 8, GIORNI 2
INCOMPARABILE
PER SOAVITÀ DI COSTUMI, FORZA D’ANIMO,
EQUILIBRIO E COSTANZA DI VITA
GIOVANNI RINALDO CARLI RUBBI
CONTE DI CAPODISTRIA
CHE CON LEI VISSE FELICEMENTE
PER ANNI 2, MESI 4, GIORNI 2
INFELICISSIMO
DEDICA QUESTO MONUMENTO NON ABBASTANZA DEGNO
ALLA DOLCISSIMA CONSORTE
OTTIMAMENTE MERITEVOLE PER SE STESSA E PER LO SPOSO
NELL’ANNO 1749
M.N.H.N.S.
Passaggio di eserciti Austriaci e Napoleonici
Gli strascichi delle guerre sono stati sempre nefasti e il trambusto di eserciti in marcia fu grave per i nostri paesi alla fine del ‘700 e per quasi tutto l’800. Una breve sintesi descritta in un ciclostilato presso l’Archivio Comunale di Ponzano così dipinge la situazione del Veneto nell’ultimo quarto del settecento: “Nel secolo XVIII: neutralità politica all’estero, opposizione ad ogni idea innovatrice ed illuminante, languire dell’esercito, della marina, del commercio e delle finanze sono i sostanziali caratteri della politica di Venezia. E anche attorno al 1792, quando tutta l’Europa è in armi e l’Austria mira alla conquista del Veneto, gli ambasciatori dell’entroterra ammoniscono il senato di “stare in guardia e a premunirsi per far fronte alla fiumana rivoluzionaria irrompente”, la risposta dei parrucconi resta l’indifferenza. La prima calata di Napoleone del 1796 e i conflitti poi austro-francesi devastano la regione veneta: nel 1797 Napoleone prende possesso di tutte le terre circostanti Venezia e il 17 ottobre dello stesso anno col trattato di Campoformio cede all’Austria il Veneto, l’Istria e la Dalmazia. I comandanti austriaci emanarono subito una serie di ordinanze per sopprimere scandali, mode, libri, idee giacobine che circolavano. Alle Municipalità e Comitati vengono sostituiti i Consigli ed i Collegi consultivi di tipo austriaco. Si restaurano tutte le disposizioni antifrancesi e reazionarie: si ridanno i titoli nobiliari a chi ne era stato privato, si sottopone ogni attività pubblica all’approvazione di un Regio Capitano Provinciale”Ponzano ed il suo territorio. Arch. Comunale di Ponzano, 1973..
Merita di essere segnalato un altro documento ricavato da un cultore di storia di casa nostra: “Nell’archivio parrocchiale di Postioma è conservato un manoscritto, opera del parroco di quel tempo, che descrive, sorpreso e stupito, il mutamento iniziato nel 1796 in Europa, a cui segue un ventennio di guerre. Crolla la Repubblica e scompare un mondo ormai incapace di opporsi alla dinamica del nuovo secolo. Il termine dell’anno 1796 — scrive il parroco — rappresenta al mondo tutto un’epoca, che sarà memorabile all’Europa non solo, ma all’Universo tutto per tutti i secoli avvenire. Il dì 3 novembre passarono per di qua (per la Postumia), per Trivigi, e per le parti montuose una quantità di truppe Austriache al n. di 80.000, quali si portavano contro i Francesi, che avevano invasa la Lombardia Austriaca, e si erano inoltrati sino a Verona, Bassano, Castelfranco, e i picchetti avanzati fino Istrana e S. Florian… L’oscuro prete di Postioma aveva visto giusto; il 1796 rappresentò “al Mondo tutto un’epoca memorabile” e, per il Veneto, un mutamento storicoBusta in Arch. parr. di Ponzano, p. 34..
Saccheggi e distruzioni
Si può immaginare come questo passaggio di truppe bisognose di foraggi per i cavalli e di vettovagliamento per sè stesse, dovette nuocere ai nostri paesi, già poveri per le condizioni di inedia in cui da secoli vivevano. Basterà citare i l ricordo dell’orribile saccheggio toccato a Spresiano nel gennaio del 1801, in occasione della ritirata dell’esercito austriaco comandato dal generale Melas e dell’avanzata delle truppe francesi. I soldati di Napoleone che dovevano raggiungere il Livenza, nuova linea di demarcazione, passarono per Spresiano, ebbri di vittoria, tra il 14 e il 18. Il parroco del paese, Bartolomeo Varaschini (1798-1822), ha lasciato un racconto che fa raccapriccio: “Per tre giorni, il paese di Spresiano e i dintorni, furono orribilmente saccheggiati dalle vandaliche truppe, gli abitanti spogliati dei loro averi, buona parte delle case distrutte od incendiate, e parimenti distrutte, o maltrattate con sacrilegi od altre infamità, tutte le chiese e le canoniche dei dintorni. Solo la chiesa e la casa del parroco di Spresiano, furono risparmiate da quella furia devastatrice; e questo, per un atto di clemenza e generosità del generale Compan, che, avendo preso alloggio, col suo seguito, nella canonica spresianese, fu per quattro giorni, oggetto di ogni premura da parte dell’arciprete”Arch. parr. di Spresiano. .
I 280 abitanti del luogo, in completa rovina, con le case bruciate e la perdita di ogni bene, trovarono rifugio nella chiesa e nella canonica e poterono ottenere conforto e pane. Fu tale la distruzione che in giugno la farina era inaccessibile e il povero prete aggiungeva: “E un continuo miracolo della Provvidenza non vedere in questa parrocchia perir di fame i poveri abitanti, i quali veramente mi opprimono il cuore”. E fu un saccheggio le cui conseguenze in malattie e povertà pesarono negativamente nella già stentata economia rurale della zona per decenni.
Non fa meraviglia quanto riporta Dal Colle sulla scarsità dei generi alimentari in quegli anni: “Nel mese di maggio del 1803 il “formento” fu venduto a L.80 lo staro trevisano, e il sorgoturco a L.75, e ciò per memoria ho registrato io Pietro Brunetta parroco”A. D A L COLLE. Ponzano e la sua chiesa. Treviso, 1922 (p. 30)..
Il 31 dicembre 1805 i Francesi subentrano agli Austriaci nel possesso del Veneto e vi rimangono fino al 1813. L a nostra regione viene divisa in sette dipartimenti e Treviso diventa capo-dipartimento del Tagliamento. Nel 1810 vengono soppresse le corporazioni religiose, i conventi vengono trasformati in caserme o in magazzini; vasi sacri, preziosi libri antichi e paramenti liturgici vengono posti all’asta. Ponzano era diventato comune il 22 dicembre 1807, viene riconfermato tale nel 1816, abbracciando le frazioni di Merlengo e Paderno; l’anno prima era nata la provincia di Treviso e il nostro Comune, il 1° gennaio 1819, viene configurato nei confini attuali. Nel 1867 avrà l’aggiunta di “Veneto” a distinguerlo da altri comuni italiani.
Nell’anno della fame, il 1817, come si è visto nella prima parte del volume, che fu assai triste per tutta la provincia, fece grande impressione nella zona aver trovato morto di fame nei pressi della Giavera un certo Angelo Pavan, come si ricava dal Registro dei morti dell’Archivio di Ponzano, al 22 giugno di quell’anno. Elementi di miseria e di malavita segnavano la vita dei nostri paesi. Così si ha notizia, per il 1822, di frequenti ruberie nelle chiese e di contrabbando di tabacco. La miseria imperversava ed era mala consigliera.
Grave danno qua e là subirono non solo i luoghi sacri ma anche gli archivi. A Paderno al passaggio dei francesi, che avvenne nel 1848, fu distrutto l’archivio parrocchiale: fortunatamente gran parte dei registri e dei documenti era stata salvata in tempo.
Paderno al tempo della visita del vescovo Sebastiano Soldati (1837)
Nella visita del vescovo Soldati, con la relazione del 28 settembre 1837, appare che la chiesa, iniziata nel 1806, non è ancora finita: il presule incoraggia parroco e fedeli a portare a compimento la fabbrica; gli altari sono sempre tre; gli oratori esistenti sono di S. Giovanni Battista; del nob. Giacomazzi (prima Fabris) denominato del Rosario nel 1763; della nob. fam. Boldù; e in costruzione l’oratorio Cicogna dedicato a san Gaetano, con la tela del Carrer.
In quel tempo i redditi per la chiesa erano discreti: 46 campi e 10.000 ducati di rendita; invece il reddito del Beneficio è di lire venete 700. È parroco Giovanni Roi, di 35 anni, da Venezia; il suo cappellano è Pietro Maria Bianza. La relazione ci fa sapere che non tutti a Paderno si accostano alla confessione annuale; “fra gli artigiani si notano abusi nel lavoro di festa; altri scandali non esistono; mancano maestri e maestre per la dottrina perché non si trova fra gli adulti chi sappia leggere”. Le anime sono 600 e le scuole sono due: del Rosario e di san Francesco di PaolaL. PESCE. La visita pastorale di Sebastiano Soldati. Roma, 1975..
Paderno apparteneva alla forania di Cusignana e ad essa farà capo fino al 1869, quando si aggregherà a quella di Ponzano. Quest’ultima frazione era stata fatta capo-comune e capo-forania nel 1867. In precedenza, Ponzano era appartenuto a Lancenigo fino al 1627 e a San Cassiano di Quinto fino al 1867.
Negli ultimi decenni del secolo XIX ci fu tutto un risveglio di opere sociali cattoliche, al tempo soprattutto del vescovo Apollonio: tra tutte ricordiamo il sorgere della Cassa Rurale per merito dei parroci delle tre frazioni ed in particolare di don Giuseppe Geron; per molti anni il parroco Callegarin, di Ponzano, ne fu economo. Alla Cassa Rurale è poi subentrata una filiale della Banca Popolare di Asolo e Montebelluna. Alla memoria di questo degno parroco di Paderno, Giuseppe Geron, ultimamente è stata dedicata una via comunale. Nella prima guerra mondiale, per più di un anno, la villa Serena divenne sede del gen. Gandolfo Asclepia, comandante dell’VIII Corpo d’Armata. Dal 15 al 21 giugno 1918 il bombardamento fu talmente intenso, la linea del Montello così paurosamente rossa di fiamme e di fuoco che molti abitanti di Paderno e delle due frazioni si allontanarono per più giorni dalle case. Parecchie bombe caddero nel nostro territorio, ma non ci furono vittime.
San Vito di Merlengo
San Vito di Merlengo trae origine dal tempo dei Carolingi. Agnoletti fa derivare giustamente dai Franchi San Vito, al Baston. Questo oratorio dovette sorgere accanto ad un piccolo monastero e ad un ospizio, che serviva da rifugio ai pellegrini che si recavano a Roma o a Compostella provenienti dal Nord Europa attraverso Cividale ed Aquileia. La via Postumia univa in quel tempo i paesi nordici con Genova.
I primi documenti che si riferiscono a San Vito sono degli anni 1021 e 1037 e attribuiscono la chiesa all’Abbazia di San Zeno di Verona. A questa succede nel patronato la “Religione di Malta” e più tardi la Commenda di San Giovanni del Tempio (così era chiamato S. Gaetano di Treviso). Tutt’ora il beneficio di Merlengo è soprattutto legato ai terreni di San Vito. L’oratorio doveva essere cadente nel secolo XVI. Fu restaurato diverse volte in questi secoli, quando divenne chiesa campestre: chiesa tuttavia non priva di interesse religioso, se nel 1551 e nel 1597 viene ricordata come luogo di pellegrinaggi e se, “ab immemorabili”, si celebrava la festa della Madonna della Mercede (24 settembre). Aveva addirittura il suo cimitero. Fu pure causa di contese, nel 1519, quando gli abitanti di Paderno avanzarono pretese di riscuotere il quartese sui terreni che lavoravano in quella zona. Anche precedentemente ci fu lite per la noncuranza di versare i proventi materiali alla matrice di Postioma e la chiesa venne interdetta fin quando non si giunse ad un concordatoC. AGNOLETTI, op. c..
Si sa che l’attuale facciata di San Vito è del 1500, addossata ad una parete precedente. Anche il pavimento, a 40 cm. dall’attuale, doveva essere molto anticoBusta sac. Angelo Panziera: Arch. parr. di Ponzano. . La chiesetta possedeva tre altarini. Il tetto, completamente rovinato, ebbe un restauro nel 1828. Un lavoro radicale, per la generosità dei fedeli, il concorso di molti benefattori e un contributo del Comune di Ponzano, è stato eseguito nel 1980. Oggi si può ammirare un autentico gioiello di oratorio antico, risalente a prima del Mille nella bimillenaria via Postumia, a ricordo dei primi insediamenti nel nostro territorio di Ponzano.
Il centro attuale di Merlengo
Nel tempo prevalse su San Vito il centro storico che fa capo alla parrocchiale di San Bartolomeo, il quale risale al tempo degli Ottoni, cioè dalla deposizione di Carlo il Grosso (887) alla proclamazione di Ottone di Sassonia (961), come imperatore. Afferma in un suo manoscritto il sac. Angelo Panziera: “Sono gli anni che portano il nome di Regno Italico indipendente; ed è sotto Ottone I che furono vinti gli Ungheri di razza mongolica, liberando l’Italia dalle loro incursioni, i cui ricordi restano nel nome della strada Schiavonesca…”.
Anche la chiesa di S. Bartolomeo dipendeva dall’Abbazia di S. Zeno e, dopo di questa, dai Gerosolimitani e più tardi ancora dai Templari. Viene ricordata in documenti del 1330, del 1409 e del 1420. Nel 1427 venne istituito un fondo per la illuminazione della chiesa dalla sera del sabato a terminate le funzioni sacre della domenica.
Ci fu un periodo difficile per Merlengo che non dipendeva direttamente dal vescovo di Treviso e doveva pertanto essere trascurata dai Cavalieri di S. Giovanni del Tempio. Il vescovo Luigi Molin, nella visita del 1597, riscontra inconvenienti ed abusi, come riporta l’Agnoletti: “Vi dominava la bugia, viveva un usuraio, si facevano sortilegi, una donna segnava dei strangirioni, un prete in tre anni una sola volta aveva predicato, e la gente accorreva piuttosto alla funzione di Paderno, che se il prete di Merlengo cominciava a sermonizzare, ‘pareva di stranio’ e si voltava a recitare ‘Pater, Ave, Credo’”. Risultava un “santuario” di fronte al battistero nel 1607 e fu ordinato di demolirlo. Il vescovo comandò pure che il cimitero fosse difeso da una gradinata” perchè gli animali disumavano”, e che la pila dell’acqua santa fosse portata nell’interno della chiesaC. AGNOLETTI, op. c..
La chiesa di S. Bartolomeo
La chiesa attuale, con artistica facciata palladiana, risale al 1707, costruita per iniziativa del parroco Francesco Pollicini (1706-1736), che dovette dare l’avvio anche alla fabbrica del bel campanile di stile classico barocco, ultimato verso il 1793. Le due costruzioni trovarono entusiasmo tra i fedeli che si obbligarono per un periodo a versare doppio quartese.
Lo stesso Pollicini fece porre una scritta sopra la porta che dava adito alla scala della vecchia canonica; essa diceva:
-
J.H.S.
i7 i4
A gloria di Dio, di Maria sempre Vergine e di san Bartolomio
nostro protettore D:Francesco Pollicini
dottor di sacra teologia, rettor di questa chiesa
eletto per gratia dello eminentissimo sig. sig. cardinal
Giorgio Cornaro
gran commendator, ha ampliato et accomodato
questa canonica
ad uso decente de’ sacerdoti di Dio.
Fu don Pietro Filippetto a trovare detta scritta il 30 agosto 1933, qualche giorno prima della demolizione della vecchia casa parrocchialeBusta Panziera: ut supra.. Il coro della chiesa fu costruito verso il 1800. Ancora nel 1607 l’Orioli aveva dipinto la pala di san Bartolomeo, restaurata dalla sig.na Tognana nel 1937. Domenico Tiepolo, figlio di Gianbattista, fece la pala di S. Osvaldo nel 1750, poi restaurata dal Tagliapietra; recentemente il quadro èstato esposto in una mostra a Venezia. Anche la pala del Carmine, a firma del pittore Pietro Mera, viene lodata dal Coletti. Molto belle le due teste di Gesù e della Vergine del Torretti, maestro del Canova. L a croce astile, di fattura gotico-bizantina, venne ammirata nel 1900 dal CostantiniBusta in Arch. parr. di Ponzano..
La visita a Merlengo del vescovo Sebastiano Soldati (1836).
Il vescovo, in data 29 aprile 1837, trova la chiesa con il giuspatronato del commendatario Mocenigo, restaurata in quello stesso anno e con cinque altari: s. Bartolomeo (ilmaggiore), s. Osvaldo, s. Croce, s. Teresa e il Carmine. La fabbriceria è detta povera, le sue rendite vengono da cinque campi di terra e da alcune questue; anche il parroco ha entrate magre: lire venete 424 (in quel tempo cinque lire formavano un ducato). Il parroco è proveniente da Zoppe di Conegliano, si trova a Merlengo dal 1826 e ha 62 anni, si chiama Bartolomeo Dal Pozzo; spiega il Vangelo e predica la dottrina agli adulti ogni domenica.
In parrocchia le scuole sono due: del SS.mo e del Carmine; di quest’ultimo la devozione è sempre molto sentita.Viene praticata anche la ViaCrucis, soprattutto in quaresima e nella settimana santa.
Il parroco si loda dei fedeli che sono assidui alle funzioni e onorano particolarmente la Madonna nelle sue feste… “Non vi sono inconfessi, né scandali, né matrimoni separati”; tuttavia “vi sono dei mormoratori, specialmente nei cosidetti filò”. Non si lavora di festa, l’ostetrica di 55 anni, sa amministrare il battesimo; il viatico viene portato agli infermi con frequenza di popolo L. PESCE, op. c, pagg. 319-320..
La sepoltura dei morti
Le parrocchie di Paderno e Ponzano hanno conservato i cimiteri attorno alla chiesa fino al 1961. Le leggi napoleoniche disponevano che le salme fossero sepellite almeno a 200 m. di distanza dai centri abitati, a valle delle falde acquifere e sotto vento: erano saggi provvedimenti per impedire l’inquinamento del suolo e delle acque. Tanto meno i cadaveri potevano essere posti all’interno delle chiese, come generalmente avveniva per i parroci o per persone nobili; così si era fatto con Paolina Rubbi, nel suo oratorio, a Paderno, nel 1747.
La parrocchia di Merlengo, pertanto, nel 1849, progettò di farsi un cimitero lontano dall’abitato, sulla strada che conduceva a Treviso e il camposanto veniva inaugurato nel 1856, detto anche l’anno del colera.
In quella triste circostanza le tre frazioni dedicarono alla santa Croce tre lapidi che si trovavano: la prima sulla mura della villa Gosetti a Merlengo, la seconda sulla mura della casa Tornasela (tutt’ora ben leggibile) a Ponzano, e la terza a Paderno; di quest’ultima però non si conosce l’ubicazioneBusta Panziera: ut supra. . La lapide diceva:
- Jesus Christus Rex
venit in pace Deus,
homo factus est,
Verbum caro factum est.
Vincit regnat imperat.
Ab omni malo nos defendat
Amen.
Nuovi lavori a Merlengo
Nel 1921 inizia l’attività dell’Asilo Infantile a Merlengo, nella villa Gosetti (collegio Ciliotta), tenuto con amore straordinario dalle suore di Maria Bambina. Basterebbe ricordare fra tutte sr. Giuseppina Lazzaretto, che per quasi mezzo secolo ha dato esempio di vita umile, apostolica e santa.
Il parroco Filippetto negli anni 1930-31 amplia la chiesa con le due nuove spaziose navate laterali e nel 1937 la arricchisce con un ottimo organo della ditta Tamburini. Nel 1933 costruisce la nuova casa canonica. Subito dopo la guerra, con la prestazione di mano d’opera gratuita di tutta la frazione, il parroco avvia e compie l’opera della nuova Scuola Materna, che viene inaugurata nel 1955. Più recentemente altri lavori sono stati eseguiti: il restauro del campanile, l’arredamento della chiesa, la costruzione di un grande salone per teatro e conferenze nella Scuola Materna.
La parrocchia di Merlengo con queste opere è sufficientemente provvista di strutture per la propria attività educativa e pastorale. Agli ultimi due parroci defunti sono state dedicate due vie comunali nella nuova toponomastica stradale, a don Pietro Filippetto e a don Danilo Bovo. Un gradito riconoscimento alla vita e alla pietà dei due ottimi sacerdoti, il primo dei quali per 46 anni guidò la comunità dei SS. Bartolomeo e Vito.
Considerazioni demografiche sulle tre frazioni
I dati anagrafici, quando vengono letti in modo superficiale o troppo frettoloso, sembrano aridi e freddi. Realmente i nostri paesi, nei secoli passati, erano poco abitati. L’aumento demografico veniva reso difficile per le guerre, la denutrizione, le malattie, la mortalità infantile elevatissima e per le epidemie ricorrenti e paurose, come la peste e il colera. Non sarebbe possibile spiegare diversamente, ad esempio, il caso di Merlengo dove nel 1335 risultano 620 abitanti, che scendono a 300 nel 1597. Anche a Ponzano contiamo 440 abitanti nel 1335, che scendono a 260 nel 1575. Nel 1686, sempre a Ponzano, troviamo 510 anime e 435 nel 1780.
Lo spopolamento provocato intutto ilcontinente europeo dalla peste ne- ra nel sec. XV, che forse dimezzò o ridusse ad un terzo la popolazione, ebbe conseguenze inimmaginabili sulla cultura, la religiosità, il costume morale, il progresso agricolo ed economico di tutta l’Europa. Le pestilenze ebbero, ovviamente, effetti funesti nei nostri paesi come dovunque.
La “peste manzoniana” degli anni 1629-31 fa testo per Treviso, città e territorio. A Treviso le vittime furono 680, nel territorio si contarono 538 morti e 351 nei Lazzaretti. Gli abitanti in città sono 6043 nel 1631 e scendono a 1307 nel 1632: i l calo appare perfino esageratoA.A. MICHIELI. Echi e vittime della gran moria del 1629-31 in Treviso. In atti dell’Ist. Ven. di scienze,
lettere ed arti (To. CXII)..
Molti avevano senza dubbio cercato rifugio nelle campagne, dove il contagio era meno facile. Con le predette considerazioni è più facile leggere la tabella delle tre frazioni:
ANNO | PONZANO | PADERNO | MERLENGO |
---|---|---|---|
1335 | 440 | — | 620 |
1575 | 260 | — | — |
1597 | 280 | 500 | 300 |
1609 | 250 | — | — |
1665 | 400 | — | — |
1686 | 510 | 300 | — |
1752 | — | 650 | — |
1780 | 435 | 424 | 544 |
1793 | 462 | — | 560 |
1817 | 500 | 600 | 600 |
1869 | 584 | 779 | 776 |
1898 | 760 | 800 | 1100 |
1933 | 1030 | 1500 | 1460 |
1943 | 1090 | 1500 | 1563 |
1957 | 1215 | 1607 | 1607 |
1959 | 1225 | 1609 | 1577 |
1961 | 1181 | 1674 | 1572 |
1971 | 1326 | 1877 | 1580 |
1976 | 1825 | 2475 | 1825 |
1980 | 2180 | 2740 | 2048Dati desunti da C. AGNOLETTI op. e; da Stato personale della dioc. di Treviso, anni citati; da G. NETTO. La provincia di Treviso 1815-1965. Treviso, 1966; da Arch. parr. di Ponzano. |
Si noti il progressivo aumento degli abitanti nelle tre frazioni. Tuttavia le migliorate condizioni economiche non evidenziano sufficientemente la crescita della popolazione, perchè bisogna fare attenzione al fenomeno emigratorio, molto forte sia nel primo decennio del nostro secolo, sia nel periodo 1947-60.
Un ruolo notevole per l’incremento demografico è giuocato dalle condizioni sanitarie in netto progresso. Il confronto delle tre frazioni mette in risalto Paderno che da molti decenni è la frazione più popolata. Se prendiamo in esame le famiglie, notiamo che non erano numerose fino a metà del secolo XIX. I progressi della medicina fanno diminuire la mortalità infantile e mettono al riparo dalle epidemie; in tal modo si formano le famiglie patriarcali della fine ‘800 e del periodo fino alle due guerre.
Se ci riferiamo alla frazione di Ponzano, nel 1929 gli abitanti sono 988 e le famiglie 135 (7,3 per ogni famiglia); nel 1943 troviamo una famiglia di 24 persone (Sante Benetton), una seconda di 22 (Luigi Bortoletto), due di 20 (Angelo Gagno, Ferdinando De Rossi), una di 19 (Giovanni Mattiazzo) e diverse altre di 17, 15, 14 membri; con 1090 abitanti, le famiglie erano 179 (6,1 di media). Nel 1976 non esistono più famiglie patriarcali: una famiglia è composta di undici persone, tre di 10, tre di 9, quattro di 8 e quindici di 7, su complessive 420 famiglie e 1825 abitanti (media 4,3). Nello stesso anno ben 30 persone vivono sole.
La civiltà rurale è finita; si fa avanti la famiglia monocellulare e a fisionomia stellare; il principio di autorità è del tutto scaduto; la stessa funzione della famiglia come cellula primaria della società è scossa da crisi profonde. Riemergono alcuni valori un tempo dimenticati, come l’attenzione al bambino, la dignità della donna e la dignità della persona. Rimangono insoluti altri problemi che sono sotto i nostri occhi e che viviamo giorno per giornoPer i pittori e in particolare Orioli, Tiepolo, Mera, Bambini, Santi, Zanchi, Bellucci, etc. Cfr. U. THIEME, F. BECKER. Allgemeines Lexicon der bildenden Kunstler. Leipzig, 1947. L. CRICO. Lettere sulle belle arti trevigiane. Treviso, 1833..
La chiesa parrocchiale di Merlengo
Dedicata a S. Bartolomeo apostolo, dopo i Templari, ebbe il patronato dei Cavalieri di Malta (Gerosolimitani), ai quali successe il Mocenigo, che aveva la commenda di San Gaetano in città. Il parroco, ancora nel 1500, si firmava “parroco di s. Bartolomeo e s. Vito di Merlengo”. Nella visita del vescovo Luigi Molin nel 1597 si nota che esistevano due altari, quello del SS.mo e quello della Madonna.
Nel 1606 Bartolomeo Orioli dipinse la pala del titolare. Un secolo dopo (1707) si diede inizio alla nuova chiesa e per il 1750 anche il bel campanile era quasi compiuto, per merito del parroco Francesco Pollicini (1706 - 1736).
Il cimitero venne tolto dall’area intorno alla chiesa nel 1856. Domenico Tiepolo nel 1750 dipinse la pala di s. Osvaldo. Pietro Mera poi, fiammingo, nato a Bruxelles, fece la Madonna del Carmine con ai piedi il paesaggio di Treviso come si vedeva da Merlengo. Assai pregevoli le due teste di Gesù e di Maria, dello scultore Torretti, che fu maestro del Canova.
Il vescovo Soldati nella sua visita del 1837 trovava 5 altari, il maggiore di s. Bartolomeo, s. Osvaldo, s. Croce, s. Teresa, B.V. del Carmine; le anime erano 600 di cui 400 da comunione. Don Piero Filippetto ampliava la chiesa con le due ali laterali nel 1930-31, per cui oggi si presenta bella e spaziosa, a tre navate.
Note:
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