Ponzano : Note Storiche
LE DUE GRANDI GUERRE
La prima guerra mondiale (1915/1918)
La prima guerra mondiale provò duramente anche Ponzano, soprattutto negli ultimi due anni. Treviso, già prima di Caporetto, era sede di comando generale, bersaglio d i aerei austriaci, centro ospedaliero di primo ordine per feriti di guerra. Più tardi, dopo il 1917, divenne oggetto di bombardamenti improvvisi e paurosi. Vi si stabilì il comando supremo. Nel palazzo Revedin il Re con Cadorna prese la decisione di resistere lungo il Piave.
La vicinanza del fronte, attestato a est sul Piave e a nord sul Montello, la disponibilità della rete stradale fecero della nostra frazione un viavai continuo di reggimenti, anche alleati, inglesi in particolare: questo nei primi tre mesi del 1918. Molti ricordano gli scozzesi con il kilt (le gonnelline) e le gambe scoperte: tra i nostri alcuni li consideravano barbari, altri più civili di noi.
Trepidazione maggiore, vera paura, ed anche pericolo ci fu nel giugno 1918, durante l’offensiva scatenata sul Piave dagli austriaci. Qualche granata cadde anche da noi, i rimasti non si decidevano a lasciare le povere case temendo d i perdere ogni cosa. Furono per prudenza allontanati i bambini e le donne, che per qualche giorno sfollarono a S.Cristina di Quinto. Alcuni adulti rimasero per custodire le proprietà.
Dopo il fallimento dell’offensiva austriaca, i soldati non se ne andarono dalle case; anche la canonica venne occupata; la villa Minelli ospitava almeno 100 soldati; le abitazioni più capaci davano spazio a 20, 30 persone. Donne e vecchi, privi degli uomini validi alle armi, erano costretti al lavoro dei campi, con poco profitto.
Come sempre in tempi di guerra, le campagne, compresa la zona di Ponzano, furono prese di mira da bande di ladri e delinquenti che, privi di ogni umanità, commisero molti atti di banditismo, violenze e ruberie.
I caduti
I caduti che Ponzano pianse, non morirono tutti sul fronte, alcuni tornarono minati nella salute e persero la vita poco dopo per causa di guerra. Una lapide modesta, posta nel 1919 in facciata alla chiesa, ricordava i 15 morti e vi rimase fino alla inaugurazione del nuovo monumento, nel 1958. Nell’elenco, che segue, non è ricordato il piccolo Felice Benetton, vittima di un petardo trovato presso casa: aveva 12 anni.
1. BENETTON PIETRO
2. MATTIAZZO LUIGI
3. FRIGO LUIGI
4. PIOVESAN VIRGINIO
5. CERVI FERDINANDO
6. CERVI LUIGI
7. GIURIATO VALENTINO
8. DE MARCHI GIOVANNI
9. BORTOLETTO ANTONIO
10. MARCHETTO ANTONIO
11. DE MARCHI AUGUSTO
12. BORTOLETTO IGNAZIO
13. ROVERE ANTONIO
14. GOBBATO PIETRO
15. SCHIEVEN SANTE
Una poesia, in dialetto, esprime tutte le speranze degli ultimi giorni di guerra:
Dopo un ano de tormenti
xe la fede compensada.
Chi ricorda i patimenti?
0 Signor, che respirada!
I xe in fuga; i va, sicuro
No se sente più ‘l tamburo.
Fantacini, deghe drento!
Deghe drento, bersalieri!
No ne porta ormai più ‘l vento
la canzon dei canonieri.
Tuto el fronte se ga roto.
I tedeschi fa fagoto.
Forza, Italia benedeta!
Coi tedeschi femo i conti.
Sora el Carso i morti aspeta,
torna nostri i nostri monti…
Sior Carleto, no gh’è scuse,
el so impero se descuse.
O che zorni, che conforti!
Se li semo meritai.
Ma che debito coi morti,
e co quei che xe restai.
Se penar ancora ocore,
semo qua, nissun discore.
Benedeti! Pel Teragio
anderemo in sin la Piave,
come in gran pelegrinagio;
co’ saremo su le grave,
puzaremo zo i zenoci,
co le lagreme sui oci.
Benedì, Signor, dal Cielo
questa Italia portentosa.
L’Austria vinta va in sfacelo,
la virtù xe vitoriosa.
Pase ai morti, gloria ai vivi…
Che lezion per i cativi!
1° novembre 1918 - E. Bogno.
La seconda guerra mondiale (1940-1945)
Storia recente… peri vecchi! Troppi ricordano le carte annonarie, la ricerca disperata di cibo presso i contadini, il mercato nero di pane, di alimentari, di vestiti, di un copertone per bicicletta. Era grande la gioia di vedersi regalata una zucca, una patata americana da portare a casa. Quante corse in bicicletta per ottenere un pò di sale grigio e sporco, zucchero, olio, sapone: cose spesso irreperibili! Pasti magri, da carestia: mezzo uovo, radicchio condito con lardo (quando c’era), latte spesso annacquato e una fettina di “musetto e polenta”...
Due grandinate rendono più difficile il primo inverno. Un freddo glaciale con nevicate in gennaio e febbraio da far morire le piante e con il frumento da riseminare in marzo. A i primi entusiasmi di piccole vittorie sul fronte di guerra, dal 1942 si succedono bollettini neri, con disastri che si fanno via via catastrofici.
L’occupazione tedesca
Il 25 luglio 1943 cade il Duce: un’esplosione di contentezza in tutti gli italiani, ma ha la durata di un respiro; l’immediata occupazione nazista significa l’inizio dell’odio, dell’Italia divisa in fazioni, delle rappresaglie e delle vendette, dei rastrellamenti e delle interminabili deportazioni nei lager.
Si formano i gruppi partigiani. Nelle campagne si ripete il fenomeno del banditismo con assassini da strada che di notte assaltano le case sparse nei paesi, con urla di terrore che chi scrive ha tutt’ora nelle orecchie. Spavento per tetri allarmi aerei che mettono paura e angoscia in tutti. Chi non ricorda “Pipo” (pipistrello)?
Il bombardamento del 7 aprile 1944
È il venerdì santo del 1944, 7 aprile, ore 14.20: a Treviso. Pare un allarme abituale, da non farci più caso. Invece il capoluogo patisce il suo venerdì santo con morte e distruzione dovunque: la città storica sventrata, donne ferite che corrono impazzite con il volto rigato di sangue, lamenti disperati di persone sepolte sotto le macerie, un odore acre di ozono sparso dovunque, il polverone che resta sospeso a mezz’aria per ore e ore e interminabili giornate di soccorso prestato con mezzi improvvisati… Molti paesi ebbero i loro morti: amici, conoscenti o familiari. Ponzano pianse Piovesan Emma che si trovava in un rifugio della città: una innocente ragazza di vent’anni.
Come scorreva la vita a Ponzano
La situazione in paese si presentava incerta, come dovunque. Gli uomini che ne avevano l’età erano sotto le armi, o prigionieri, o in quella che si chiamava, scherzando nella sventura, la “divisione lepre” (ben nascosti nelle case e nei campi). Don Sernagiotto aveva una buona corrispondenza epistolare con i soldati. Ogni giovedì celebrava una messa per quanti erano al fronte e per la pace.
Dopo il bombardamento del 7 aprile cominciarono ad arrivare in paese gli sfollati. Questa era una delle località preferite perchè non troppo lontana dalla città e, quindi, comoda per chi in quella aveva interessi. Nello stesso tempo non vi erano obiettivi militari nè strade di grande comunicazione, ne ferrovie, nè ponti, nè stabilimenti. Gli sfollati che trovarono ospitalità in Ponzano superarono gli ottocento.
I bisognosi venivano aiutati dalla “conferenza di san Vincenzo”. In paese vi erano giovani dell’Italia meridionale, sbandati dell’esercito dopo l’armistizio: trovarono accoglienza, pane e rifugio nelle case della frazione e ne conservarono un grato ricordo. Molti di essi poterono mettersi in comunicazione con le famiglie attraverso l’ufficio informazioni del Vaticano.
Un tragico episodio
Don Sernagiotto ha lasciato una relazione sul tragico episodio che costò la vita a due partigiani ed ilferimento del sacrestano: “Il giorno 8 settembre 1944, verso le 5.30 il parroco venne svegliato da persona entrata nel cortile della canonica che lo chiamava con insistenza. Richiesto chi fosse, e saputolo (si trattava del sig. Ignazio Gobbato), aprì la finestra e domandò se ci fosse qualcuno che avesse bisogno del suo ministero. Ebbe risposta negativa, ma che voleva parlare con lui, che scendesse immediatamente. Quel tale era armato e poi si unirono a lui altri cinque individui, pure armati di moschetto, che prima si erano nascosti. Il giovane era irritatissimo, agitava le armi e minacciava il parroco, se non fosse sceso.
Il parroco reputò più prudente chiudere la finestra e ritirarsi. Poco dopo si udì una detonazione. Era sfuggita di mano a quel partigiano, capo della spedizione, una bomba a mano che teneva con sè e che lo ferì gravemente, tanto che gli si dovette amputare una gamba. Anche il sacrestano, sig. Riccardo Rossi, appena giunto per i l suono dell’Ave Maria, rimase leggermente ferito dallo scoppio.
Il giorno 9 settembre vi furono in parrocchia i funerali di un partigiano del paese ucciso la notte dal 7 all’8 settembre presso la chiesa vecchia di Fontane (Luigi Valentino Rossi). Il giorno 12 settembre altro solenne funerale di un maresciallo, pure di Ponzano, capo di partigiani, ucciso il mattino dell’8 settembre, in località “alle Corti” di S.M. del Rovere (Piero Gobbato, fratello di Ignazio).
L’inverno 1944-45 passò mentre in paese si era in continua trepidazione. Un giorno di sabato venne dal Municipio l’ordine tassativo di sgomberare immediatamente il centro della parrocchia, per alcune ore, perchè i tedeschi dovevano provare nuove armi da fuoco ed i proiettili avrebbero attraversato il paese. Così, quasi fino a sera, le case del centro rimasero vuote; qualche persona restò per la custodia.
Cinque bombe, pochi giorni prima della cessazione delle ostilità, e precisamente la sera del 25 aprile 1945, vennero gettate dall’apparecchio che girava di notte e veniva chiamato “Pipo”, nei pressi di una casa dove si festeggiavano le nozze di due giovani sposi, Andrea e Natalina Benetton. Forse qualcuno imprudentemente non aveva osservato le norme dell’oscuramento. Non vi furono per fortuna nè danni rilevanti nè vittime.
Il 29 aprile 1945, mentre il bambino Pivato Angelo di Luigi, di anni 9, stava giocando sulla strada nei pressi di casa sua, venne colpito da una pallottola dei tedeschi in fuga. Portato all’Ospedale di Treviso e poi riportato a casa, creduto fuori pericolo, moriva i l 23 maggio 1945. La piccola salma ebbe solenni onoranze funebri”.
Settecento chilometri sulla neve in dodici giorni
Accenniamo ad un episodio dell’ultimo conflitto, vissuto da un nostro compaesano vivente, quasi a riassumere altre innumerevoli e anonime storie di guerra, sepolte nel cuore dei nostri combattenti e reduci.
Ruggero StolfoStolto Ruggero fu Antonio e fu Zanatta America, n. Ponzano 1.7.1920 residente in via Pola. ha consegnato ad un quadernetto di memorie, scritte nei rifugi, sotto la neve, o nelle isbe, la tragedia di quei 50 giorni. Apparteneva alla Divisione JuliaIl corpo d’armata alpino era formato dalle Divisioni “Julia”, “Tridentina” e “Cosseria”, battaglione Conegliano. Il 16 dicembre 1942 inizia sull’ansa del Don una offensiva contro i Russi che dura quattro settimane a 35-40 gradi sotto zero. Le truppe sono mal equipaggiate e malnutrite. I morti, i feriti e gli assiderati non si contanoLa Julia venne spostata precipitosamente su questo fronte in aiuto alla “Cossiera” in difficoltà. .
Ruggero Stolfo descrive la battaglia del 19.1.1943 tra Ssolowiew e Nowopostojalowka (Russia), “...abbiamo avuto un mitraliamento di un apparechio / lievi danni / nella nostra batteria nessuno, / l’imbronire si avanza / a meno di un centinaio di metri mi ariva diversi colpi di… lanciati da carri armati / sono rimasti parechi morti e feriti nel tereno / tre della nostra Batteria / durante la note qualche scarica di mitraglia / io tutta la notte sono rimasto col tenente medico in una casa e quella casa serviva da infermeria / ogni tanto portavano qualche ferito / poco dopo dell’alba un attaco accanato / comincia a portare feriti di tutti i reparti / gravi e legeri, / io li aiutavo al tenente medico di quello che pottevo perchè il mio coragio non è forte quando vedo sangue / ogni tanto andavo fuori a prendere aria e ero palido come una morte, / usivo fuori e fuori della porta era.
era sempre diversi feriti che aspetava di essere medicati, / li tocava rimanere fuori perchè la stanza era picola / dentro nella stanza sembrava un macello dal sangue che cadeva dai poveri feriti, e di fuori era losteso, io non so come ho fatto resistere in quelle condizioni e in mezo a quella disperazione / il doppo mezogiorno i comandanti dei singoli reparti mandavano li uomini l’asalto ai cari armati/ li era un macello di uomini/ sono stati feriti diversi della nostra batteria e diversi di morti/ li urli i pianti che si sentiva da quelli poveri disgraziatti facevano pietà / e nessun rimedio era per loro / noi eravamo senza medicinali e senza pachi di medicazione / nell’imbrunire si iniziava la marcia dinuovo riprendendo unal’tra via…”.
17 gennaio 1943, ore 15, ordine di ripiegamento I russi avevano sfondato il settore tedesco. ! I nostri soldati hanno davanti o la morte o 700 km. di neve. Con il coraggio della disperazione affrontano la ritirata; affondati nella neve e nel fango, in una morsa di freddo e di fame, tra le insidie degli aerei e dei carri armati partigiani, quasi privi di slitte e di muli, nella insonnia e nella mancanza di rifugi si mettono in cammino. Superati i villaggi di Popowka e Podgornoje, il 19 e 20 gennaio affrontano una cruentissima battaglia tra Ssolowiew e Nowopostojalowka, continuata per 30 ore, con furibondi attacchi all’arma bianca, mentre i carri armati nemici piombando nel folto dei nostri italiani schiacciano alpini e cannoni, disperatamente puntati a zero: si salvano i resti del Gruppo Conegliano e dell’8° Alpini. Con commovente solidarietà i l “Conegliano” si trascina dietro i feriti; a Scheljakino si aggancia alla Tridentina, e, liberandosi finalmente dall’accerchiamento russo, a Nikolajewka esce dalla sacca, arriva a Gomel, con un treno raggiunge Kiev e, successivamente, con una tradotta rientra in Italia. Il nostro Ruggero, a questo prezzo, è uno tra i pochi fortunati sfuggiti alla morte o alla prigionia. Sorte non toccata ad esempio, all’ufficiale medico Enrico Reginato, di S. Bona, medaglia d’oro al valor militareGazzetta Ufficiale, n. 119, 25.5.1954. , che solo dopo la crudele prigionia di 12 anni, nel 1954, ebbe la ventura di vedersi concessa, dalla Russia, la libertàCf. GIULIO BEDESCHI “Nikolajewka: c’ero anch’io”- MILANO 1972..
Il primo dopoguerra
Finiti i tempi tristi della guerra, nonostante la povertà, tornò in tutti la gioia di vivere e nei primi mesi l’Italia sembrava rinnovata. Combattenti e reduci si ritrovavano ogni anno per una messa, per un pranzo, per una cena, a ricordare e a rivivere tante amare esperienze. Don Giovanni Sernagiotto ci ha lasciato l’eco di queste care ricorrenze in alcuni versi.
1. ‘Na parola permeteme
che mi pur diga stasera,
che riunidi vedo insieme
d’ex-soldai ‘na fita schiera.
2. Sto raduno proprio belo
de ‘sti bravi ex-combatenti
che i se svoda un caretelo
tuti alegri e ben contenti,
3. ze ‘na prova che l’afeto
tra i soldai ze sempre grande
che i ricorda co’ dileto
la caserma e le so brande.
4. Ghe ze zovani e vecioti
ne’ i se pensa de far guera
ma i tracana dei bei goti,
e la pase lunga i spera.
5. I ricorda volentieri
quando in Grapa o la’ sul Carso
i marciava baldi e fieri
co la piova o pur co l’arso.
6. Ai gran ris-ci sempre pronti
no badando a sacrifisi
par s-nidar da tuti i fronti
quei birbanti de nemisi.
7. Bravi alpini, bravi fanti,
artiglieri e bersaglieri
sempre uniti tuti quanti
nei ricordi più sinceri.
8. Su se beva a la salute
de sta bela compagnia,
no’ ste aver le boche sute!...
Viva Italia… e l’alegria!
Un monumento ai caduti (1958)
Anche i morti della seconda guerra meritavano in Ponzano un degno ricordo. Si pensò di onorare con un monumento i caduti delle due guerre. Il dr. Ernesto Gastaldo regalò il terreno all’incrocio tra via Chiesa e via Livello. Prestarono gratuitamente la mano d’opera Giovanni De Mattia, Alessandro Bortoletto, Felice Benetton ed altri, con la guida e l’iniziativa del maestro Tino Dalla Toffola e le libere offerte della frazione e in particolare degli ex combattenti. La ditta Curtolo donò i cipressi; i proiettili (veri) furono dati in omaggio dalla Marina; i fratelli Carlo ed Enrico Zanatta forgiarono i fucili, le corone d’alloro e ghiande. L’inaugurazione avvenne il 4 novembre 1958 e il sig. Giovanni Mattiazzo, ex sindaco, nel discorso potè dire: “Onoriamo i caduti, onoriamo l’Italia una d’arme, di lingua, d’altare… Viviamo uniti nella concordia, nell’amore di tanti ricordi…”. Ricorreva il 40° della vittoria! Vent’anni dopo la liberazione, il 16 maggio 1965, venne posta una lapide sulla casa “ex Toffoletto”, in via Sant’Andra, per ricordare i tanti incontriivi tenuti dal C.L.N. (comitato di liberazione nazionale) che preparò la resa dei tedeschi, che avvenne senza costi di sangue da parte della città e della provincia. Fu grande il merito di mons. Antonio Mantiero, vescovo di allora, che aveva come intermediario mons. Piero Pavan. Nel 1971, il 4 novembre, a Paderno ci fu la consegna di 28 onorificenze “alla memoria” con il titolo di “cavalieri di Vittorio Veneto”. Nel discorso commemorativo don Angelo Panziera auspicava “che non abbiano più a verificarsi episodi di guerra e che la sua triste esperienza possa essere sostituita dalla fratellanza fra i popoli”.
L’oratorio sacrario S. Gaetano a Paderno
L’oratorio di S. Gaetano, a Paderno, era la cappella della nobile famiglia veneziana Cicogna. L’ultimo discendente, G.B. Cicogna, deputato in tre legislature nel primo Novecento, lasciò in testamento la villa, l’oratorio e tutta la proprietà fondiaria al comune di Ponzano Veneto.
L’oratorio, ormai cadente, meritava di essere restaurato. Fu una buona scelta averlo trasformato in sacrario per i caduti in guerra. Le salme di alcune persone che ci sono care riposano in altrettante urne con la loro storia di dolore e di vita spezzata:
Marcello Pretotto e Rovere Antonio
caduti nelle battaglie del Piave nel 1918;
Uliana Luigi e De Longhi Pietro,
caduti, il primo in Grecia ed il secondo in
Jugoslavia nella seconda guerra mondiale;
Piovesan Giuseppe,
caduto in Sicilia, dopo lo sbarco
degli alleati;
Rossi Valentino,
caduto nella lotta partigiana assieme
a Piero Gobbato ed ai fratelli Bianchin;
Piovesan Emma
colpita nel bombardamento del 7 aprile 1944;
Zanatta Marcello, Rizzo Antonio,
Piovesan Luigi, Favretto Vittorio,
morti per ferite e malattie
contratte in guerra;
Alberto Alberti,
allievo ufficiale dell’aviazione.
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