Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi

ERNESTO GASTALDO

Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna.
U. FOSCOLO, I sepolcri, vv. 41-42

II dott. Ernesto Castaldo nacque il 9 gennaio 1897 a Selva del Montello, primogenito di una numerosa famiglia di contadini; iniziò gli studi ginnasiali presso i Padri Redentoristi, poi, costretto dal bisogno, lavorò come impiegato presso il Comune di Volpago. Conseguì da privatista la licenza liceale e si iscrisse alla Facoltà di Medicina presso l’Università di Padova dove si recava compiendo il percorso dal suo paese in bicicletta. Durante la guerra del 1915-1918 prestò servizio come sergente medico nei pressi di Cavazuccherina (attuale Jesolo). Con grandi sacrifici continuò, finita la guerra, gli studi universitari e si laureò a pieni voti nel 1921. Poco dopo vinse il concorso come Ufficiale Sanitario del Comune di Ponzano Veneto dove fu assunto in ruolo dal 1° gennaio 1923.

Nei primissimi anni di condotta, riuscì a diagnosticare precocemente alcuni casi di vajolo scoppiati nel paese di Villorba (anche contro il parere di più famosi colleghi), a delimitare l’epidemia ed a stroncarla. Durante i quarantanni in cui prestò servizio come medico condotto ed in seguito, quando continuò ad esercitare la professione per integrare la modesta pensione, fu sempre sollecito nell ‘accorrere dove si richiedeva la sua assistenza, sia di giorno che di notte, in tempi in cui era «abitudine» nascere e morire in casa propria e quando erano rarissimi i casi di ricovero in ospedale.

A cavallo prima di una bicicletta militare «a gomma piena», poi di una moto, in seguito guidando malconce automobili che rombando preannunciavano il suo arrivo, percorreva le stradine ed i viottoli del Comune a volte impantanandosi in qualche fossato, a volte cercando con difficoltà i limiti della strada nel paesaggio immerso nella nebbia.

E la gente ricorreva a lui non solo per prestazioni mediche, sempre gratuite quando il paziente aveva una situazione finanziaria disagiata (era chiamato infatti «il medico dei poveri»), ma anche per consigli o per aiuto quando si trattava di lottare contro i soprusi e contro la cieca burocrazia.

Si può ad esempio ricordare quando Egli riuscì ad ottenere che il lascito dell’On. Cicogna al Comune (a. 1948 villa con circa 97 ettari di terreno) fosse considerato a scopo assistenziale; il mancato esonero dalle tasse di successione avrebbe obbligato l’amministrazione comunale alla vendita della quasi totalità dei beni.

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Dott. Ernesto GASTALDO


La fronte ampia, gli occhi vivaci, la barba incolta, il sorriso arguto e la battuta pronta; la trascuratezza nell’abbigliamento, la giacca sbottonata, senza cappello né cappotto neppure nel più rigido inverno, le tasche piene di scartoffie e ricettarii così egli era, personaggio caratteristico conosciuto da molti anche in provincia. Ma la sua libertà di parola non era sempre gradita, specie nei periodi in cui dire la verità poteva essere considerato un reato e costare il posto di lavoro; fu richiamato infatti più volte e deferito per «atti di indisciplina» alla competente Commissione della Segreteria Federale del Fascio di Treviso, questo medico sgradito ed un po’ ribelle, che si permetteva, caso inaudito, non solo di non presenziare al «Te Deum» di ringraziamento per la conquista di Addis Abeba, ma di non inviare neppure alla cerimonia la bandiera dei «Combattenti» di cui era Presidente! Durante la seconda guerra mise a repentaglio la sua vita pur di salvare qualche persona o di curare chi ne avesse bisogno: favorì, ad esempio, la fuga della marchesa Bourbon del Monte, nata De Morpurgo, ricercata come ebrea; soccorse e curò a lungo di nascosto il partigiano Enrico Gobbato ferito gravemente in un incidente occorsogli davanti alla Canonica di Ponzano; ospitò altri due partigiani feriti in una notte in cui le truppe tedesche erano in movimento nel paese; si recò spesso a visitare altri partigiani nel loro occasionale rifugio, rifiutando sempre le scorte armate; alcune volte il Comitato di Liberazione provinciale si riunì nella sua casa.

La popolazione non mancò di esternare in vario modo al suo medico la propria gratitudine; ricordiamo quelle commoventi collette per riattivare un’automobile che si era bruciata o per comprarne una che sostituisse quella vecchia ormai inutilizzabile.

Queste forme di stima e di affetto popolari gli erano certo più gradite dei riconoscimenti ufficiali che pure non gli mancarono: ricordiamo in particolare che, su decisione del Consiglio Comunale, nella seduta del 21 dicembre 1952 gli venne assegnata la Medaglia d’Oro al Merito Civile.

Quest’uomo semplice e buono era anche uno studioso, un appassionato ricercatore e costruttore di apparecchi ortopedici ed ostetrici; certamente la motivazione a tali ricerche deve essergli nata dal frequente contatto con i pazienti che avevano subito delle fratture e con partorienti che presentavano travagli drammatici. Sobbarcandosi interamente l’onere passivo, per lungo tempo, riuscì a mantenere un’officina meccanica per la realizzazione dei modelli sperimentali. Nel 1936 aveva già messo a punto un apparecchio a tipo esoscheletro per la cura incruenta della lussazione congenita dell’anca e delle fratture, in sostituzione degli apparecchi gessati, che permetteva una mobilità articolare fisiologica su un numero illimitato di assi di rotazioneDR. ERNESTO GASTALDO, «Su di un apparecchio per la cura delle lesioni degli arti inferiori», (Estratto dal voi. Ili, P. II, del Bollettino della Società Medico Chirurgica Trevi- giana, S. A., Ed. Tipografica Treviso, 1936).. Questo apparecchio fu realizzato anche in una versione che permetteva a delle persone a cui erano stati amputati gli arti inferiori di mantenersi in equilibrio e di camminare da sole. Tali apparecchi presentati al Congresso di ortopedia di Bari nel 1939 gli procurarono ampi riconoscimenti, ma non gli fu concesso il brevetto italiano; ottenne invece immediatamente quello tedesco, quello inglese e in seguito anche l’internazionale. Stipulò un contratto con ditte tedesche per la produzione in serie dell’apparecchio.

Durante la guerra però tutti i modelli furono distrutti in un bombardamento aereo di Berlino. Nel dopoguerra chiese, ma non ottenne mai, il risarcimento dei danni; per questioni economiche dovette perciò rinunciare a questa realizzazione. In seguito costruì lo «Speculum vaginale quadri vai ve autofissatore» e infine lo «Speculum tocacetàbolo» che il professore Lexvy Solai, primario della clinica «Baudelocque» dell’Università di Parigi, definì «strumento rivoluzionario dell’ostetricia»; il «tocacetàbolo» non era infatti un’ennesima modificazione del forcipe, ma era ispirato al concetto di influenzare, durante i parti difficili e distocici, le forze naturali conservandone il meccanismoDR. ERNESTO GASTALDO, «Nuovo metodo e strumento per facilitare il parto», Estratto da Minerva Gineco- logica, Anno III, nr.  11 (suppl.  al nr. di settembre 1951, Edizione Minerva Medica)..

Il brevetto italiano, negato in un primo tempo, fu concesso diversi anni dopo; la ricerca di modelli più perfezionati e la sperimentazione continuarono a lungo tra difficoltà economiche, l’indifferenza e l’ostracismo di istituti di ricerca e degli Organi dello Stato, finché il lavoro alla fine si poteva considerare quasi ultimato.

Il 18 luglio 1969, di ritorno da una breve gita a Ca’ Savio, sulla Jesolana nei pressi di Quarto d’Aitino, il dottor Ernesto Castaido trovò la morte assieme alla moglie Maria Miatello, mentre alla guida della sua auto probabilmente fu colto da improvviso malore. Aveva passato la giornata serenamente in compagnia dei familiari e dei nipotini che amava moltissimo; seduto bonariamente sulla spiaggia aveva intavolato con degli interlocutori occasionali una animata discussione su quella Fede a cui si era sempre ispirato, sostenendo che soltanto Dio poteva giudicare gli uomini e ripetendo a tratti, come un ritornello, l’affermazione di Gesù: «Io sono la Via, la Verità e la Vita».

Chi scrive questo lavoro ha conosciuto il dott. Ernesto Gastaldo e ben ricorda come la sua fama fosse diffusa nel Comune e fuori di esso, come le sue doti di cuore, di mente e di spirito lo avessero reso assai caro e stimato. La popolazione ne aveva ampiamente riconosciuto la profonda vocazione di medico. La sua grandezza d’animo, la cristallina fede nei valori della vita, l’obiettività nei giudizi e la forza del pensiero furono gli elementi dominanti della sua feconda esistenza, della sua instancabile e multiforme attività.

Egli era il tipo di medico che concepiva la professione come un’autentica missione e di ciò ha dato, nel corso della vita intensamente vissuta, inconfondibile prova, non venendo mai meno ai principi ispiratori della nobilissima arte della Medicina e mai dimenticando «quan- ta sacra parte di umanità vi sia nella più umile creatura che c’implora soccorso»A. AMILE, «La salute del Pensiero», Laterza, Bari, 1917..


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