Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi

Usi, costumi e tradizioni

NOTE CIRCA LA PRONUNCIA DI TALUNE PAROLE DIALETTALI

Nel testo si citano voci dialettali I termini dialettali verranno riportati nel seguito mediante caratteri corsivi. Si precisa che il sistema di trascrizione dialettale adottato in questo lavoro è quello seguito anche dai principali dialettologi come si può controllare nella «Rivista italiana di dialettologia» alla voce Veneto nella relativa tavola comparativa Voi. IV anno III Capitolo «II problema della grafia dialettale» a cura di Luciano Giannelli e Glauco Sanga Sottosezione Veneto anno 1979-80. (Coop. Libraria Universitaria Editrice, via Marsala 24, Bologna).  di cui non è facile precisare tipograficamente la esatta pronuncia, la quale d’altro canto si può apprendere solo dalla viva voce delle persone nate e cresciute nell’ambiente trevigiano.

Ci si riferisce, in particolare, alla dizione della lettera «1» compresa fra due vocali, come per esempio in còtola; non è esatto infatti pronunciare còtoa, omettendo cioè completamente la consonante «1», e nemmeno còtola; in realtà tra le due vocali «o» ed «a» vi è una inflessione caratteristica, difficilmente spiegabile a parole, che non trova riscontro in nessun altro dialetto o lingua.

Si è pensato pertanto di rappresentare questo particolare suono mediante la lettera «1» sottolineata «1», intendendo con questo che essa va pronunciata nel modo particolare illustrato pocanzi. Citiamo alcune parole come esempio: colombo, gaio, sigàla (colombo, gallo, cicala).

Nel vecchio dialetto, inoltre, spesso la «s» e la «z» dei termini italiani venivano rese con il suono interdentale espresso graficamente con le consonanti «th» del «theta» greco, più o meno simile al «th» inglese sordo, ovvero alla «z» spagnola. Per esempio la parola italiana «Ponzano» nel vecchio dialetto si pronunciava Ponthan (la punta della lingua batte sulla estremità dei denti incisivi superiori); allo stesso modo la parola «pinza» (pintha) e «pancia» (pantha), ecc., oggidì tutte raddrizzate o meglio perfezionate in Ponsan, pinsa, pansa.

Nelle parole in cui la consonante «s» viene pronunciata dolce, come in «casa», «rosa», ecc., si sottolineerà la lettera con un trattino (s).

E’ da segnalare anche il gruppo consonatico «dh», come in tròdho (sentiero), tièdha (fienile), dhiòba (giovedì), il quale sottintende un suono caratteristico udibile dalla viva voce dei vecchi abitanti della zona (la lingua batte sul palato, vicino alla radice degli incisivi superiori) E’  da sottolineare che il suono «dh» va scomparendo perché sostituito dalla «s»;  perciò  si ha (róso,  tièsa, sioba. Ed ancora che la parola tièdha o tièsa è stata aggiornata in tèsa.

Per quanto riguarda la pronuncia delle vocali «o» ed «e», useremo l’accento acuto per indicare che essa è stretta (esempio: ónór, réde), grave per indicare che è aperta (esempio: òstrega, orno, mésa, tèsa).

Da notare infine la differenza tra sèsto (cesto) e sèsto (numero cardinale); quest’ultimo termine ha inoltre il significato di irreprensibilità od illibatezza (esempio: ‘na dona de sèsto = una donna di buoni costumi).

 


Note:

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