Nelle nostre frazioni non esistevano mercerie per la vendita di articoli al dettaglio e tanto meno negozi. Provvedevano a questo donne provenienti dal Bellunese, dal Trentino o dal Friuli. Esse giungevano ordinariamente durante la buona stagione, tirando un pesante carretto a due ruote grandi ed equipaggiate delle caratteristiche gerle.

Avevano il capo coperto da un fazzoletto nero od a fiori, annodato dietro la nuca. Ottenevano ospitalità presso qualche famiglia contadina. Solitamente una donna anziana guidava altre due più giovani, figlie o parenti. Compitissime, pulite sino allo scrupolo, serie nei loro discorsi, dimostravano tuttavia una grande affabilità e cortesia. Giravano di casa in casa, con la gerla sulla schiena carica di oggetti da vendere: mestoli, cucchiai, forchettoni, pitòche per il sale, mortai e pestelli per frangere il sale, galosce del corno, càndoe (spine per le botti), ciotole, attrezzi per filare la lana ed il lino come la ròca, la córletta, il naspo ed il fuso^{Ròca (rocca): canna ‘lunga che sosteneva la massa della fibra da filare; corletta (filatoio): attrezzo per avvolgere
il filo; naspo: anche questo per avvolgere il filo, ma di costruzione più  semplice della corletta,  perciò  meno costoso fuso: per avvolgere il filo appena filato.}, utensili tutti in legno; inoltre avevano pantofole (papùsse), aghi, filo da cucire, merletti, fettuccia, bottoni, ecc. A sera tornavano dal giro e trovavano riposo in un giaciglio di paglia nella stalla.

Quasi sempre la famiglia ospite offriva loro anche del cibo ed esse gliene erano senz’ai tro grate.

Esaurita tutta la mercé, col denaro ricavato normalmente acquistavano grano, indi tornavano al loro paese, trainando il pesante e scomodissimo veicolo.

Altre donne friulane scendevano in autunno, verso l’epoca di San Martino, all’inizio del mese di novembre, con un carretto ben carico di pere. Vendevano questo frutto nei nostri paesi e col ricavato procuravano grano da portare in famiglia.