Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi
MEMORIE STORICHE DI MERLENGO
PREMESSA
Dalle bolle papali e dai placiti imperiali risulta che Merlengo e San Vito sono sempre stati accomunati. Per quanto riguarda la nascita del paese di Merlengo si è propensi a credere che detta frazione abbia preceduto quella di Ponzano e di Paderno e che i suoi primi abitanti siano stati di origine longobarda; tuttavia non esisterebbero prove a sostegno di tali ipotesi.
Citiamo i suddetti documenti per poi esporre la storia di Merlengo. In merito a San Vito invece parleremo in maniera abbastanza diffusa nel capitolo «Gli Oratori».
Il Marchesan nella sua opera «Treviso Medievale» accenna al «placito di Enrico I dell’anno 1021 tenuto in solario proprio beatissimi S. Zenonis, presso Verona».
Nel placito l’imperatore stabilisce che «sono aggiudicate alla Badia di S. Zeno sei chiese del Comitato Tarvisiano, contro le pretese dei conti di Treviso», la sesta delle quali è così descritta: «Sexta ecclesia que est constructa in honore S. Viti in Postoima, non multum longe a loco ubi dicitur Marlengo».
Poi nel diploma di Federico I del 6 dicembre 1163, concesso alla stessa Badia di S. Zeno, sono ricordate «in Comitato Tarvisiano» alcune chiese tra le quali «in Postoima ecclesiam S. Viti’, et duos mansos juxta planum in Palumbo» (A Postioma la chiesa di S. Vito e due appezzamenti nella zona di Palumbo).
Inoltre, nella Bolla con la quale papa Urbano III in data 15 ottobre 1187 concede privilegi alla Badia di S. Zeno, è precisato: «in Posteuma ecclesiam S. Viti, in Merlengo ecclesiam S. Bartholomei».
«E finalmente l’Imperatore Federico II, riconfermando tutti gli antichi privilegi concessi alla badia zeniana dai suoi antecessori, ricorda pure nel Contado trivigiano tutte le suddette chiese» MARCHESANA Treviso Medievale, voi. I, pp. 374-375-376 , tra cui «In Postormio (Postioma) ecclesiam S. Viti et Marlengo ecclesiam S. Bartholomei cum suis pertinentiis et duos mansos juxta planum in Palumbo... Anche oggi la chiesa parrocchiale di Merlengo continua ad intitolarsi a S. Bartolomeo apostolo; e nel suo territorio v’era pure (e continua ad esserci) L’ecclesia S. Viti de Postoima MARCHESAN, in Treviso Medievale, p. 275, voi. IL Quanto poi alla determinazione in Palumbo, l’Agnoletti in Treviso e le sue Pievi, voi. I. pp. 686 e seguenti, ritiene che quella località corrispondesse al colmello, oggi appartenente a Castagnole, detto Malzago o Malzaghello (quasi bosco cattivo), e che nella voce Palumbo, vi fosse accenno a colombaia. Per la sua appartenenza vi furono più volte questioni fra Postioma e Merlengo. ».
Pur dopo tanta vicenda di secoli, il titolo di S. Bartolomeo resta anche oggi alla chiesa di Merlengo, filiale di Postioma, e, dall’abbazia di S. Zeno, passata come le altre ai templari, poi ai gerosolimitani, successivamente in commendaCommenda: assegnazione d’un beneficio ecclesiastico dato a godere ad un prete od un cavaliere. La commenda in argomento è quella di San Giovanni del Tempio la cui sede era presso la chiesa omonima, chiamata più tardi San Gaetano, situata all’angolo tra via Carlo Alberto e via Commenda in Treviso città, tuttora aperta al culto. Aveva il convento- ospedale che poi è andato distrutto o demolito ai CornerCirca la famiglia Corner, vedere nota (1) nell’argomento di Villa Corner nel capitolo «Le ville del nostro Comune». indi ai MocenigoMocenigo: illustre famiglia veneziana, proveniente da Musestre, che diede i natali a sette dogi: Tommaso (1414-1423), Pietro (1474-76), Giovanni 1478-85), Alvise I (1570-77), Alvise II (1700-09), Alvise III (1722-32), Alvise IV (1774-78). ed infine divenuta di collazione vescovileLa Commenda dei Mocenigo cessò il 10 agosto 1911 per la esplicita rinuncia di Alvise Vili Mocenigo e le chiese di Merlengo e di S. Vito passarono sotto il governo diretto della Curia Vescovile di Treviso (collazione ordinaria)..
Precisa ulteriormente il Marchesan: «Quanto poi alla chiesa di San Vito di Postioma, diremo che apparteneva essa pure a Merlengo, ed era situata sulla strada Postumia o Postioma, e quando all’Abbazia di S. Zeno di Verona, cui essa apparteneva, successero i Templari e quindi i Gerosolimitani, il parroco di Merlengo si diceva rettore di S. Bartolomeo e di S. Vito di Merlengo; anzi i beni dotali della sua prebenda erano più presso S. Vito che presso S. Bartolomeo. Col tempo però essa finì col divenire chiesa campestre, ed oggi, dopo tante vicende, appartiene alla parrocchia A. MARCHESAN, Treviso Medievale, op. cit., pp. 374-375-376. Si reputa utile parlare brevemente dei monaci Templari e Gerosolimitani.
I Templari costituivano un’associazione la quale ai doveri ascetici della vita monacale aggiungeva quelli militari di cavaliere. Si occupavano della sicurezza dei pellegrini. Saldovino II rilasciò loro una parte del suo palazzo in Gerusalemme che si chiamava tempio di Salomone; di qui il nome di Templari. Il regolamento dell’Ordine era quasi identico a quello dei Cavalieri di S. Giovanni, di cui parliamo appresso. Con il tempo i Templari divennero assai potenti, tanto che nel 1312, per gravi motivi, vennero soppressi da Papa Clemente V.
II loro Ordine era stato fondato nel 1118 in Gerusalemme da Ugone di Payens, Goffredo di St. Omer ed altri sette cavalieri.
I Gerosolimitani, o Cavalieri di San Giovanni, precedono i Templari in quanto iniziarono la loro attività nel 1048 per opera dei mercanti di Amalfi in Gerusalemme con la fondazione di un ospedale per i pellegrini infermi. Goffredo di Buglione li provvide di molti beni. Essi si chiamavano Frati Ospedalieri di S. Giovanni Battista e sotto questo nome vennero uniti in congregazione da papa Pasquale II (1113). Raymondo del Puy, secondo gran maestro dell’Ordine, impose loro di combattere contro gli infedeli ed innalzò così l’istituzione al grado di Ordine Militare (1120) che, approvato da Innocenzo II (1130), venne arricchito di molti privilegi da Anastasio IV. I Cavalieri dì S. Giovanni vestivano un abito rosso con una croce bianca sul petto; una croce rossa fregiava il loro stendardo. Questo Ordine si distinse nella difesa della Palestina e nella lotta contro i Turchi. Alla caduta di Gerusalemme i Gerosolimitani trovarono sede in San Giovanni d’Acri e successivamete a Cipro ed a Rodi, dove rimasero due secoli e cioè sino al 1522, anno in cui l’isola fu conquistata dai Turchi. I cavalieri si rifugiarono allora in Italia finché nel 1530 ottennero da Carlo V l’isola di Malta, donde il loro nome di Cavalieri di Malta. Rimasero nell’isola, partecipando a gloriose imprese militari, sino alla conquista di Napoleone (1798). Infine, nel 1834, l’Qrdine si stabilì a Roma. Oggi sussiste come «Associazione dei cavalieri del sovrano militare ordine di Malta per il servizio sanitario in guerra».
* * *
Nel capitolo «Sguardo generale dalle origini al 1865» abbiamo accennato al rinvenimento di reperti archeologici anche nel territorio di Merlengo.
Secondo alcune fonti le origini di tale frazione risalirebbero all’epoca degli Ottoni di Germania mentre altri le attribuiscono a quella dei Longobardi; S. Vito poi apparterrebbe a quella’ antecedente dei Franchi. Il nome stesso Merlengo potrebbe derivare dal germanico «Merling» e non da merli canori nei legni (rozzamente pronunciati leng) o da vico dei merli come propone L’AgnolettiC. AGNOLETTI, «Memorie storiche delle chiese e delle parrocchie della Diocesi di Treviso», pp. 147-148. .
Già nell’anno 710 la famosa Badia di San Zeno (o San Zenone) di Verona possedeva nel trevigiano il Convento di Casier, a cui più tardi furono annesse la chiesa ed il Monastero di San Martino di Treviso, le chiese di Merlengo, Visnadello, Bonisiolo, Breda e CendonG. DE PIERI, «Casier e Dosson, ieri e oggi», Tip. EDAV, Mogliano Veneto, 2/a ediz., p. 6..
Nell’occasione della tragica distruzione della famiglia degli Ezzelini da Romano avvenuta il 24 agosto 1260, il vescovo di Treviso Alberto Ricco, come ringraziamento a Dio per la liberazione ottenuta, dedicava alcune chiese allora in costruzione, a San Bartolomeo, perché come detto in precedenza, nella festa di tale santo tutta la diocesi riacquistò la libertà. Pertanto, con la benedizione episcopale del 1261, la chiesa di Merlengo ebbe riconfermato il proprio titolare.
Nell’anno , 1297 troviamo precisato: «Capella S. Bartholomei de Merlengo: Juravit et non solvit decimam. Presbiter Nicolaus»; così apprendiamo anche un primo nome di prete in MerlengoIn «Studi e Testi», op. cit..
Nella Biblioteca Capitolare di Treviso esistono numerose pergamene che riguardano Merlengo (rapporti di affari, cessioni, testamenti, ecc.) risalenti agli anni 1157, 1169, 1181, 1182, 1196, 1197,1201,1207 e 1221.
Ad aver cura e a dare una fisionomia alla nascente comunità del paese in argomento, si alternarono monaci appartenenti a vari ordini. I documenti cominciano con gli Zeniani, mentre chi scrive è del parere che precedentemente a questi altri frati benedettini abbiano iniziato l’opera evangelizzatrice e civilizzatrice. E ciò in base al fatto che, al momento del crollo dell’impero romano, la religione cristiana si era diffusa nel Veneto principalmente grazie all’opera di San Benedetto, vissuto dal 480 al 547 circa, il cui ordine monastico si sparse in quei tempi non solo in Italia ma in tutta l’Europa.
Per quanto concerne la chiesa attuale, essa fu iniziata nel 1707 durante la cura di don Francesco Pollicini (1706-1736) «ma fu compiuta a riprese e con diverso disegno; il coro d’ordine composito, vi venne aggiunto dopo il 1800»C. AGNOLETTI, Treviso e le sue Pievi, voi. II, p. 613. Prem. Stab. Tip. Istituto Turazza, Treviso, 1897-98..
Detto coro venne poi riedificato negli anni 1842-1844 sotto il parroco don Bartolomeo Dal Pozzo, curato dal 1825-1844.
Il campanile venne eretto durante il periodo di don Pollicini e perfezionato nel 1734.
La consacrazione della chiesa non è ancora stata effettuata; essa è così intitolata: «Ecclesia parochialis s. Bartholomei ap. de Merulenico».
Nel 1714, perciò durante la cura del predetto parroco don Pollicini, venne restaurata la canonica, intervento resosi indilazionabile.
Le vicende storiche della frazione dagli inizi, qui appena accennati, all’epoca moderna, seguono praticamente quelle del Comune di Ponzano in particolare e quelle di Treviso in generale. Non vi sono stati eventi intermedi meritevoli di menzione. D’ora in avanti per-tanto si citeranno solo degli episodi particolari,
a partire dall’epoca risorgimentale.
In riferimento a quest’ultima il parroco don Angelo Miani ha lasciato scritto: «14 giugno 1848 - In questo giorno le armi austria che entravano vittoriose in Treviso ed i parrocchiani di Merlengo dopo 33 giorni di patimento e di affanno ritornavano alle loro case che avevano abbandonate per rifugiarsi nel bosco e ripigliavano i loro campestri lavori interrotti pei casi terribili della guerra»Archivio Parrocchiale di Merlengo - Documenti trascritti da don Angelo Panziera.
La costruzione del cimitero parrocchiale di via Colombera venne iniziata verso la fine del parrocato di don Angelo Miani e terminata nel 1856 durante il vicariato di don Luigi Pamio; la benedizione ebbe luogo, nel 1858 da parte di don Massimiliano Donati. Tra il 1863 ed il 1867 il fabbricato della chiesa venne alzato di qualche metro. Nel 1876 il prof. Giuseppe De Lorenzi vi dipinse il soffitto rappresentandovi la gloria di San Bartolomeo mentre il pittore Nàtale Cagnin di Piombino Deseraffigurò attorno a detto soffitto sei medaglioni: i quattro Evangelisti, la Speranza e la Carità.
Nel 1910 il parroco don Edoardo Lanzarini ebbe l’iniziativa di costituire una «Società Operaia Cattolica di Mutuo Soccorso fra i parrocchiani di Merlengo sotto gli auspici di Sant’Antonio di Padova». Detto sodalizio durò una decina d’anni.
Don Lanzarini, malgrado distolto dalla sua salute cagionevole, affettuò varie opere importanti, quali l’acquisto delle nuove campane, il restauro e la tinteggiatura della chiesa, il restauro del campanile e della chiesetta di San Vito. Nella’ guerra 1915-1918 le famiglie di Merlengo, a seguito dell’infausta vicenda di Caporetto, offrirono generosa ospitalità ai profughi del Friuli e del Piave incalzati dall’avanzata delle truppe austriacheDurante la guerra 1915-18 era parroco don Edoardo Lanzarini, purtroppo in cattive condizioni di salute. Venne come vicario parrocchiale don Ferdinando Orti il quale fu il braccio destro del parroco. Egli dedicò tutto se stesso in maniera davvero dinamica alla erogazione, sotto varie forme, dei sussidi, trovando ospitalità e lavoro per i profughi, i quali assommavano a trecento circa. Sostituì inoltre il parroco in ogni altra circostanza in cui si fosse trovato in difficoltà fisica.. Fu un gesto di grande carità cristiana che si ripetè nel 1944 allorché gli anglo-americani bombardarono Treviso e costrinsero i cittadini a cercare ospitalità presso le case di campagna.
Grande impressione e memoria ha lasciato la prima guerra mondiale.
Gli anziani ricordano l’occupazione delle ville da parte dei Comandi Militari impegnati a dirigere le operazioni difensive sul Piave, sul Montello e sul Grappa, ove l’avversario aveva concentrato il suo sforzo bellico per sfondare ed invadere la pianura. I vecchi rammentano altresì le ripetute visite del Re Vittorio Emanuele III, in semplice divisa grigio-verde, a Villa Folco-Zambelli, sede dell’8° Corpo d’Armata, comandato dal Generale Gandolfo, ed alla villa Pavan, sede del Comando della Terza Armata, diretta dal Duca Emanuele Filiberto d’Aosta.
Erano accampati nei dintorni i soldati del 73° Reggimento Fanteria ed altri reparti in attesa di raggiungere la zona di combattimento. Numerose trincee solcavano la zona agricola e parecchie casematte sorgevano quale argine di difesa per la temuta invasione nemica.
Avvenne qualche fatto di guerra.
In data imprecisata un apparecchio nemico, forse un ricognitore od un caccia, sorvolò il territorio. Si levò in volo un caccia italiano dall’aeroporto provvisorio di Istrana che affrontò l’audace incursore e lo abbattè. Il pilota italiano era il maggiore Francesco Baracca. L’aviatore nemico si salvò con l’uso del paracadute scendendo in località Cai di Campagna. Baracca, rientrato alla base, con un automezzo ritornò a Merlengo per vedere l’aereo da lui abbattuto.
Nell’inverno 1917-1918 la contraerea appostata ad Istrana colpì un apparecchio da bombardamento austriaco sul terreno dei Panziera che cadde su una trincea. Portava a bordo quattro uomini di cui uno, lanciatosi con il paracadute, si sfracellò al suolo per il mancato funzionamento del congegno di salvataggio. Gli altri tre caddero con il velivolo e tutto finì in un rogo impressionante. Alcuni vicini subito intervenuti nulla poterono fare per soccorrere gli aviatori nemici.
Sempre tra il 1917-1918 precipitò un aereo Caproni, per cause sconosciute, il cui equipaggio però uscì incolume, L’episodio avvenne nei pressi dell’Oratorio di San Vito. Infine una granata cadde vicino all’Asilo Vecchio di Merlengo, in via Beliate, ed in tale circostanza fu ferito a morte un militare meridionale.
E passiamo alla seconda guerra mondiale durante la quale, in Merlengo, si registrò un suicidio accidentale nell’inverno 1943-1944.Un giovane partigiano, la cui identità non è nota allo scrivente, sbucando da un pagliaio ove si trovava nascosto, si ferì mortalmente con il mitra che aveva in dotazione. Il cadavere ebbe sepoltura provvisoria nel cimitero locale. Successivamente le spoglie vennero riesumate e portate dai familiari a Monago della Battaglia, paese natale del caduto.
Come detto altrove, le ville di Merlengo, verso la fine della guerra 1940-1945, ospitavano comandi tedeschi che rendevano assai precaria la vita dei giovani renitenti ed in particolare quella dei partigiani. Nello stesso periodo, alcuni soldati nemici, fuggiti dai campi di prigionia, venivano tenuti nascosti nei casolari sperduti nella campagna.
Terminata la seconda guerra, come accadde anche dopo la prima, sopravvenne la disoccupazione, fenomeno penoso, che costrinse non poche persone ad emigrare in paesi europei ed oltre oceano; di ciò si parla più ampiamente nel capitolo «L’emigrazione».
E’ opportuno qui non dimenticare l’attività spirituale e civica svolta dai parroci che si sono alternati nel governo religioso del paese. E ciò sia detto anche per Paderno e Ponzano, specie nelle lontane epoche in cui mancava una amministrazione civile ed in cui la vita del popolo faceva capo al parroco, alla chiesa. Come è noto infatti, le municipalità hanno avuto inizio solo nel 1807 per disposizione napoleonica.
Molto tempo addietro ebbero grande fioritura le confraternite religiose e successivamente le associazioni cattoliche che ebbero il periodo più florido con don Pietro Filippetto.
Don Pietro Filippetto, come i suoi predecessori, svolse un’attività instancabile, generosa, realizzando ogni esigenza della parrocchia e della chiesaV. Capitolo: «Persone da ricordare». La sua tenacia divenne proverbiale. L’opera di questo attivo sacerdote ebbe una flessione con don Narciso Caon e con don Danilo Bovo, quest’ultimo a causa del- la grave malattia che lo portò alla morte prematuraV. Capitolo: «Persone da ricordare». Le attività ripresero vigore con don Odorino Bragagnolo, il quale, favorito dalla proverbiale generosità dei fedeli, riuscì a compiere un numero cospicuo di opere che qui appresso vogliamo ricordare:
— la nuova artistica cappella del cimitero parrocchiale, progettata dall’ing. Giorgio Pizzinato (1978);
— il restauro del tetto della chiesa, eseguito dalla ditta Fratelli Paccagnan di Merlengo (1978);
— il restauro della chiesa diretto dal prof. Giuseppe Gatto di Santa Cristina di Quinto;
— il restauro e l’opportuna modifica interna della canonica (1979);
— il tanto atteso restauro fondamentale dell’Oratorio di San Vito (1980).
E’ qui da ricordare che don Bragagnolo in data 31 marzo 1982 ha rinunciato al Beneficio Parrocchiale di Merlengo che aveva assunto il 4 ottobre 1977. Il vescovo di Treviso, in seguito a tale decisione, ha delegato don Angelo Martini a reggere la parrocchia sino al 13 maggio 1982 in cui è stato nominato parroco don Umberto Cargnelli proveniente da Spresiano, nato a Signoressa il 28 settembre 1939 ed ordinato sacerdote il 1° settembre 1963.Don Odorino Bragagnolo, n. a Ramon di Loria (TV) il 14-10-1934, ordinato sacerdote il 4-9-1960.
Nell’estate del 1982, nel presbiterio della chiesa parrocchiale sono stati eseguiti alcuni lavori di restauro e di ristrutturazione:
1) II ciborio dell’altare maggiore è stato ricondotto alla primitiva condizione, com’era quando fu trasportato dalla chiesa di S. Caterina di Treviso, al tempo di Napoleone.
2) Sono stati levati, sempre dall’altare maggiore, due pilastrini laterali cinquecenteschi, residuo dell’altare precedente ed utilizzati per la formazione di due leggii fissi per la liturgia della parola.
3) E’ stata rimossa e riadattata la balaustrata, utilizzando parte del materiale per costruire l’altarino centrale per la celebrazione della S. Messa.
4) Sono state smontate, restaurate a regola d’arte e rimontate le due «cantorie» laterali in noce.
5) Sono state sistemate le «sedi» dei celebranti e collocato il fonte battesimale secondo le vigenti norme liturgiche.
6) Sono state restaurate le gradinate e sistemato il pavimento in marmo.
Il presbiterio è risultato più armonico, con più razionale distribuzione degli spazi per i cantori, per le cerimonie, per i celebranti, per l’amministrazione del battesimo, senza occupare lo spazio riservato ai fedeli.
I lavori, sentito il parere ed i consigli del presidente della Commissione Diocesana di Arte Sacra, sono stati eseguiti da artigiani locali, utilizzando esclusivamente materiale esistente, con l’assistenza del delegato vescovile, don Angelo Martini.
Le vicende della Pala di Sant’Osvaldo
Questa «vaghissima tela», come la definisce il FapanniF. S. FAPANNI, «Memorie stanche della Congregazione di Quinto», p. XXVI, Tip. Andreola-Medesin, Treviso, 1860., è un’opera pregevole di Gian Domenico Tiepolo, figlio del grande Giambattista; fu dipinta nel 1750 allorché il padre lavorava presso la Villa Corner (ora Di Blasi) di Merlengo.
Tale opera, che fu sempre tanto cara al popolo di Merlengo, venne restaurata nel 1857 dall’artista Tagliapietra, dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, per interessamento del parroco don Massimiliano Donati.
Verso la fine del secondo conflitto mondiale, le frequenti incursioni aeree anglo-americane, nonché la presenza di truppe tedesche in questo territorio, preoccuparono le autorità circa la sorte di tutte le opere d’arte, tra le quali figurava anche quella in argomento.
Di questa si occupò personalmente il cav. Mario Botter di Treviso che nel pomeriggio del 13 marzo 1945 la tolse dall’altare dove era stata collocata e la trasferì nella cripta del Duomo di Treviso assieme ad altre opere destinate in un secondo tempo ad essere custodite a Venezia, considerata «città franca».
Senonchè il bombardamento aereo effettuato alla sera di quello stesso giorno, indusse il Botter ad accelerare i tempi.
Il 15 marzo, con l’aiuto dell’Assistente alla Regia Soprintendenza ai Monumenti Romano Bastianello, trasportò in bicicletta a Venezia detta pala, non avendo egli a disposizione altri mezzi più idonei, ed il giorno successivo la consegnò al Regio Soprintendente alle Gallerie dott. Vittorio Meschini.
Il dipinto venne restituito alla chiesa di Merlengo il 23 marzo 1946, sempre a cura della Regia Soprintendenza di Venezia, in ottimo stato di conservazione, anzi pulito e sapientemente restaurato.
La popolazione di Merlengo accolse giubilante il ritorno di questa meravigliosa opera, della quale è sempre stata orgogliosa.
E’ il caso di ricordare che questo capolavoro venne esposto alla Mostra di Pittura Italiana del 1600-1700 a Firenze nel marzo 1922, nonché alla Mostra dei due Tiepolo, tenuta a Venezia dal 15 giugno al settembre 1951.
Opere d’arte della chiesa di Merlengo
La chiesa in titolo comprende le seguenti
opere:
— Pala di S. Bartolomeo dell’Orioli (anno 1607) restaurata da Rachele Tognana nel 1937BARTOLOMEO ORIGLI (od ORIOLO) citato in «Memorie stanche di Paderno». .
— Pala di S, Osvaldo di Giandomenico Tiepolo (anno 1750)Gian Domenico Tiepolo, figlio del grande Giambattista, è nato a Venezia il 30 agosto 1727. Ha lavorato anche nella chiesa di Casale sul Sile (1763) e nello stesso anno, assieme al padre, pure in Germania per decorare la famosa «Residenza» del principe-vescovo di Wiirzburg. Taluni critici presumono che il padre abbia collaborato nella esecuzione della pala di S. Osvaldo sopra citata. .
— Pala del Crocefisso con ai piedi genuflessi S. Antonio Abate, S. Antonio di Padova e S. Francesco di Paola, di Paolo Lorenzi di Pieve di Soligo (anno 1803
— Pala di S. Teresa di Paulo Padoan (anno 1750).
— Pala della B.V. del Carmine di Pietro Mera (anno 1634 )Pietro Mera, fiammingo, vissuto tra la seconda metà del 1500 e la prima del 1600. .
— Soffitto dipinto a fresco raffigurante la gloria di S. Bartolomeo, del prof. Giuseppe De Lorenzi (anno 1876).
— Attorno al soffitto: sei medaglioni a fresco del pittore Natale Cagnin di Piombino Dese, rappresentanti i Quattro Evangelisti, la Speranza e la Carità (anno 1876).
— Due affreschi sulle pareti ai lati del coro: la Deposizione di Gesù e la visita dei Re Magi alla Capanna di Betlemme del pittore trevigiano Luigi Pavan-Beninato (anno 1893).
— Due teste in marmo di Carrara di Gesù e di Maria attribuite al Torretti, maestro del Canova.
— Statue in legno di due angeli, della B.V. del Carmine, di S. Sebastiano e di S. Agnese, tutte della scuola di Ferdinando Demetz di Ortisei (Valgardena, Bolzano).
Opere custodite nella canonica di Merlengo
In detta canonica sono presenti:
— Una tela mezzo ovale (1,15x0,85) rappresentante la Madonna con il Bambino, lavoro molto bello. Fu rinvenuta in un sottoscala della vecchia canonica demolita nel 1933. Venne restaurata da Rachele Tognana. Il prof. L. Coletti la attribuisce a Gaspare Diziani (1750 circa) oppure a Jacopo Maneschi (1550 circa). Nel marzo 1957 fu collocata sopra l’altare della Cappellina del nuovo Asilo (Memorie di don Pietro Filippetto).
— Un quadro (1,03x0,80) raffigurante il Martirio di S. Bartolomeo, di autore sconosciuto.
La chiesa possedeva una croce parrocchiale d’argento, opera in stile gotico-bizantino, restaurata nel 1937 dall’artista Antonio Gentilin di Treviso. Tale croce venne asportata da ignoti ladri tra l’1 ed il 2 giugno 1981 mentre stava esposta nell’interno della chiesa. Essa era stata giudicata, un cimelio originale e preziosissimo del sec. XII o XIII, più preziosa della croce della Cattedrale di Treviso e di quelle pur belle e pregevoli di Loreggia, Albaredo, S. Agnese in Santi Quaranta e di Montebelluna. Nel 1917-1918 temendo un’invasione delle truppe austriache fu spedita in Vaticano ed ivi custodita sino ali’11 giugno 1919.
Note:
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