Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi

Usanze varie

EL FIO (il filò)

Innanzi tutto la parola «filò», che in lingua italiana non esiste, deriva dal termine latino «filatura», vocabolo che fu soggetto a dialettizzazione e deformato in filò, cioè fio.

Durante la stagione invernale non esistevano stufe per la povera gente. Uniche risorse di calore erano il focolare e la stalla. Gli anziani usavano el scaldìn di terracotta o le manìsse di lana per proteggere le mani dal freddo. Per riscaldare il letto serviva lo scaldaletto di rame o la mónega.

Il freddo affliggeva in particolare i vecchi ed i bambini. Questi ultimi, dopo aver cenato in anticipo sugli altri familiari ed aver recitato ad alta voce le preghiere della sera, venivano messi a pajòn, ossia a letto.

Le stalle, durante la giornata, accoglievano gli anziani ed i fanciulli del vicinato. Alla sera, invece, ospitavano le altre persone dando così luogo al filò. Sotto la luce del lume ad olio od a petrolio si giocava a carte, alla tombola, alla trio, ed ai pegni con la relativa «penitenza». Durante la serata passava qualche giovane con un rustico cesto per vendere fave lesse, bagtgi, castagne secche (stracaganàsse), caragòiMolluschi marini (gasteròpodi) di piccole dimensioni, chiamati in italiano «trochi».., onde guadagnare qualcosa.

Le donne sferruzzavano, eseguivano indumenti di lana o di cotone, rattoppavano quelli logori e le ragazze apprendevano l’arte. Filavano anche la canapa, la lana ed il lino ed il prodotto risultante finiva nel laboratorio di Gigio Partòto (Luigi Pretotto) in Paderno, ovvero in quello dei Carnièl di MerlengoI Carnièl, così detti perché originari dalla Gamia, per l’esattezza si chiamavano Migòt; lavoravano i filati su telai di legno messi in azione dalla persona addetta.  Si tramandavano l’arte di padre in figlio. Un altro tessitore era Nando Beàco di Santa Bona Nuova, abitante in Borgo Biscari;  pur questo disponeva di telaio di legno... Le figliole novìsse (novizie), così erano chiamate le fidanzate ufficiali, badavano a ricamare la dote. I nonni narravano le vicende passate. Un’altra persona, solitamente di età matura, dotata di buona memoria ed estro, rallegrava i «fioladori» o «filadori», raccontando favole o vecchie storie tramandate di generazione in generazione.

Talora venivano lette da persona capace le gesta cavalieresche di qualche personaggio eroico narrate nei libri allora in voga come i «Reali di Francia» ed il «Guerrin Meschino», ovvero le trovate burlesche e divertenti di «Bertoldo, Bertoldino e Caceasenno», le fiabe fantastiche di «Mille ed una notte» e la com-movente vita di «Genoveffa». I presenti ascollavano con viva attenzione

Venivano riportate le novità liete e tristi del colmello o del paese. Si parlava pure delle attività campestri, dell’andamento e delle previsioni del tempo; si commentavano i sistemi di lavoro agricolo con il relativo scambio di pareri, di idee e di proposte.

Talora la veglia veniva allietata da qualche canto strapaesano durante il quale si rivelavano elementi dotati di buone possibilità canore.

Non mancava, in certe famiglie contadine, l’uomo ingegnoso che durante la serata, sistemato in un angolo della stalla, si dedicava alle riparazioni di piccoli attrezzi agricoli.

In qualche stalla, un anziano alquanto istruito insegnava a leggere ed a scrivere a chi desiderava uscire dall’analfabetismo allora assai diffuso. Tale anziano godeva perciò di molta reputazione.

Il filò era un’occasione propizia per l’incontro dei giovani, per gli approcci amorosi. La ragazza corteggiata riservava ed offriva la sedia al suo favorito. Allorché il rapporto di"ventava cosa seria, i genitori dei due figlioli, se propensi a tale incontro, davano la loro adesione ed il fidanzamento diveniva ufficialeBisogna rammentare che a quei tempi le giovani erano molto sorvegliate; dovevano mantenersi de sèsto e sposarsi col so ónór, altrimenti cadevano in disgrazia delle rispettive famiglie e la scandalosa notizia si divulgava rapidamente nel paese. Nessuna indulgenza era ammessa!  Una tale colpa distruggeva il buon nome e l’orgoglio dele due famiglie. Il rito matrimoniale veniva così  accelerato ed effettuato in forma riservata e dimessa nelle ore mattutine o serali, senza invitati, né suono di campane, né altro segno di allegria, né pranzo di nozze, né dote. Successivamente, ogni occasione serviva per rinfacciare alla sposa lo sbaglio commesso e per mortificarla. Vorremmo citare, in riferimento al rigore morale preteso in quei tempi, un atto assai mordace, allorché nel paese una donna dava adito a critiche sul suo contegno e sulla sua modestia. Ignoti, di notte, toglievano il cancello della di lei abitazione, oppure davanti alla stessa gettavano manciate d’erba o fieno: erano queste due offese gravissime!.

Pur essendo molto diffuso nei ceti popolari, si rammenta che il filò in genere non era ben visto dai parroci perché giudicato occasione di promiscuità, di pettegolezzi e di mormorazioni; ancor più si dimostravano contrari i medici che lo condannavano decisamente perché l’aria della stalla, umida e malsana, era spesso infetta per la presenza di animali tubercolotici o colpiti da altre malattie contagiose.

Si citerà ora una consuetudine che vigeva in quei tempi nei filò.

«Un giovane che discorreva con una ragazza, salvo non fosse il fidanzato ufficiale, all’entrata d’una compagnia, doveva cavalierescamente cedere il posto all’ultimo entrato perché si mettesse al fianco della ragazza stessa. Se ciò non avveniva, allo spirare press’a poco d’una mezz’ora, erano botte da orbi; si faceva uso, purtroppo, del coltello»ATTILIO LAZZARI, «San Pelagio nel suburbio di Treviso nel passato e nel presente» Tip.  Crivellari,  Treviso, 1944...

Non pochi erano i casi in cui i nuovi venuti, trascorsa la mezz’ora consentita dall’usanza, ad un segnale, si avvicinavano, alzavano di peso la carèga (sedia) con il giovane e lo portavano nella corte (concimaia)!

Lo spirito campanilistico accendeva nei giovani la gelosia per le ragazze del proprio paese. Se elementi di altre frazioni si presentavano a corteggiare predette figliole, accadevano storie spiacevoli, come litigi, sassaiole, imboscate, lotte a non finire. I giovani dei paesi limitrofi che si ostinavano a cercare la morósa nei nostri paraggi, dovevano farsi accompagnare da una buona scorta di amici coetanei, onde poter reagire contro chi intendeva contrastare questa loro aspirazione. Tuttavia quésti erano avvenimenti comuni a molti paesi di campagna. Questa usanza a Porcellengo, Postioma e paesi vicini si è conservata sino ad una quindicina d’anni fa. Tali consuetudini, che ora fanno sorridere e paiono incredibili, accadevano in tutta la regione veneta e sono lentamente scomparse solo dopo la seconda guerra mondiale.

Ed è infine da rilevare che nelle epoche passate, a causa delle ostilità sopra ricordate, la maggioranza dei matrimoni avveniva quasi sempre tra paesani e non di rado tra consanguinei, nonostante l’autorevole disapprovazione dei medici e dei sacerdoti.


Note:

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