Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi
LE FESTE IN FAMIGLIA
Le ricorrenze familiari che più rivestivano una certa solennità erano i battesimi, le cresime, le comunioni ed i matrimoni. Ognuna aveva una propria particolare importanza. Il compare era colui che teneva a battesimo ed a cresima un bambino e compare d’anèo (compare d’anello) quello del matrimonio.
L’usanza del comparatico nel passato era molto sentita ed il rapporto tra i compari e le comàri assumeva quasi un legame di parentela.
Allorché una creatura veniva alla luce, le donne amiche e la promessa comare rendevano visita alla puerpera recando ad essa alcune uova ancora tiepide, dello zucchero, caffè, biscotti, una gallina da brodo; questi donativi giungevano molto graditi alla partoriente in quegli anni di grande austerità.
Nel giorno del battesimo la famiglia del piccino offriva, nel limite delle possibilità, un pranzetto in cui il posto migliore a tavola era riservato sempre alla sióra comare (levatrice), ospite d’onoreLa levatrice era da tutti chiamata comunemente «comare»..
Per la cresima, il padrino, o sàntolo, se le disponibilità glielo consentivano, regalava al figlioccio, o fiòsso, el recìn (l’orecchino) d’oro che il cresimando metteva alla base del padiglione sinistro: dono questo non comune e che il fiòssoportava con orgoglio per tutta la vita. Ordinariamente il padrino regalava i bussolai ed i pearìni. Venne molto più tardi il costume di offrire el reòjo, cioè l’orologio, oltre alle paste e ai dolci. Immaginare quindi la gioia sconfinata del bambino cresimato.
Per la celebrazione della Prima Comunione si preparavano alla festa tutti i familiari. Si creava così una unione ed una atmosfera spirituale elevatissima che il comunicando avvertiva e che non avrebbe mai scordato, tanto da ritenere quel giorno il più importante della sua vita di adolescente.
L’avvenimento del matrimonio offriva l’occasione di una grande festa per le famiglie in buone condizioni economiche. Lo sposo provvedeva per tempo alla preparazione della camera nuziale, quasi sempre nella casa dei veci, secondo il costume patriarcale.
Con palese orgoglio, nei giorni precedenti il rito, la promessa sposa invitava le amiche ed i conoscenti ad ammirare i capi confezionati e ricamati quasi sempre con le proprie mani. Qualcuno recava un regalo d’occasione che faceva maggiormente esultare la sposaLa promessa sposa, se figlia di contadini, un mese e mezzo circa prima dell’evento nuziale, rimaneva libera dal lavoro dei campi per dedicarsi alla ultimazione della dote; se figlia di operai il periodo antecedente al matrimonio era ugualmente meno gravido di impegni..
Il giorno del matrimonio, sposi e relativo séguito del parentò raggiungevano la chiesa sulle loro carrette. Al collo dei cavalli veniva posta la sonagliera tintinnante.
Al passaggio del corteo nuziale, lungo il tragitto, tutti gli abitanti della contrada rivolgevano saluti augurali, mentre i bambini ed i ragazzi facevano sigalò (allegro vociare) per strappare i confetti agli sposi.
Il pranzo di nozze si effettuava nel solaio della casa dello sposo contadino, addobbato di piante, fiori, rami verdi e bandierine, onde rendere l’ambiente festoso e allegro.
Quasi sempre intervenivano i suonatori, apposta chiamati, con clarino o clarinetto e fisarmonica (generalmente erano Giuseppe Bellotto e Luigi Biscaro, detto Puìn, entrambi del borgo dei Biscari di Santa Bona Nuova e Anselmo Povegliano di Paderno). Così la festa veniva rallegrata dalla musica e dai canti strapaesaniNelle nozze dei massariòti veniva chiamato un cuoco capace, professionista. Venivano prelevati a noleggio piatti e bicchieri dal famoso negozio della Ceramica Fontebasso, che aveva sede, con la fabbrica, in città, in via Campana. V’era anche qualche paesano che si dedicava alla mansione di cuoco, equipaggiato di tutto il necessario (pentole, teglie, piatti, bicchieri, posate, tovaglie, ecc.). In Merlengo a questo proposito è ricordato Vittorio Durante, detto «el gaio»..
Al compimento d’una settimana dalle nozze, la famiglia della sposa, offriva un pranzo in casa propria, usanza questa chiamata el rabaltòn, ovvero el rabaltbn, per ricambiare quello delle nozze e confermare così la soddisfazione per l’avvenuto matrimonio.
Il giorno seguente ai due pranzi, gli uomini finivano i resti dei polli: teste, colli, fegati, durèi, ali e zampe, ponendo così fine ai festeggiamenti nuziali
Note:
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