Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi

VILLA MINELLI (ora BENETTON)
Via Chiesa - Ponzano Veneto

E’ noto che i famosi monaci Nonantolani iniziarono il loro apostolato nel trevigiano attorno al 780. In Treviso eressero il monastero di Santa Fosca, nelle vicinanze della attuale Chiesa di Santa Maria Maggiore. Essi provenivano dall’Abbazia di Nonantola (Modena)Nonàntola, comune in provincia di Modena. E’ particolarmente importante per la celebre abbazia, prima benedettina poi cistercense, di San Silvestre, fondatavi nel 753 dal longobardo Anselmo su terreno donatogli dal re Astolfo, suo cognato. L’abbazia divenne un focolare di cultura e uno dei più importanti scrittorii del Medioevo. Per doni di sovrani e di principi, raggiunse grande opulenza e fama, possedendo chiese, castelli e terre in parecchie località dell’Italia settentrionale e centrale.  (V.  GIROLAMO TIRABOSCHI,  Storia   dell’augusta Badia di Nonàntola, Modena, 1784). .

Detti frati, oltre che in Treviso, si insediarono anche nel ponzanese in epoca non ben precisata. Ciò è da correlare agli eventi che si susseguirono dall’898 in poi, allorché, dopo il crollo della dominazione carolingia, giunsero nel Veneto le orde unghere a razziare ed a saccheggiare con furia rapinosa. Anche i nostri paesi ne subirono le conseguenze ed in tali circostanze i Nonantolani furono costretti a fuggire.

Passata la terribile bufera i mònaci Nonantolani, come pure altri ordini religiosi, ritornarono e ripresero la loro alacre attività nel territorio trevigiano. Riferisce G. Bonifacio nella sua «Istoria di Trivigi» che nel 1077 i predetti Nonantolani avevano un possedimento in Ponzano, nonostante risulti che il loro ritorno sia avvenuto nel 1115. Quivi, come presume don Antonio Dal Colle D. ANTONIO DAL COLLE, op. cit., p. 8 , i frati avrebbero eretto un monastero-ospizio per l’assistenza ai malati, ai poveri ed ai pellegrini. A pag. 9 egli scrive: «Quando si pensi alla celebre Postumia, strada romana, che hanno battuta non solo le milizie romane e barbare, ma i pellegrini, e tutte le persone costrette a mettersi in viaggio dal Norico al Genovesato, non si troverà eccedente l’Ospedale di San Leonardo di Ponzano, benché non sia molto lontano da quello di San Vito di Merlengo, né da altri nominati; esigenze dei tempi, che noi non possiamo né vogliamo apprezzare, come pure si dovrebbe».

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Villa Minelli ora Benetton a Ponzano

Sappiamo che tutti i grandi Ordini Monastici dell’alto medioevo, oltre che formare i propri religiosi alla vita di pietà e di contemplazione, promuovevano pure la cultura, divenendo centri di scienza e di arte; i monaci inoltre si dedicavano alla coltivazione delle terre di loro proprietà, mettendo in pratica il motto «ora et labora», cioè prega e lavora, del grande patriarca del monachesimo occidentale, San Benedetto da Norcia. Svolgevano pure una preziosa opera di assistenza verso gli ammalati, i lebbrosi, i poveri, i pellegrini, i viandanti, accogliendoli nelle loro ospederie ed asili. In quei tempi erano gli unici enti che si dedicassero a quest’opera di pubblica carità.

Don Antonio Dal Colle avanza l’ipotesi che il monastero e l’ospedale di San Leonardo di Ponzano siano sorti sul terreno occupato in seguito dagli edifici della Villa Minelli. Tale monastero si chiamò di San Leonardo, in onore di San Leonardo di Noblat, che, come detto, è patrono di PonzanoV. capitolo «Memorie storiche di Ponzano Veneto»..

L’ipotesi del Dal Colle venne convalidata dagli scavi eseguiti dalla ditta Antonio Crema di Ponzano dal 1971 in poi, durante l’opera di restauro integrale della suddetta villa; emersero in quella circostanza i resti di fondamenta di edifici (celle di monaci, un complesso di fabbricati usati come adiacenze e perfino tre pozzi) i quali inducono a ritenere che in quel luogo sia esistito un monastero. Un’altra conferma è stata data verso la fine della prima guerra mondiale (1915-1918), allorché alcuni militari, scavando nel terreno a tergo dell’oratorio di San Giovanni, avevano riesumato numerose ossa umane, prova sicura che i religiosi avevano usato quello spazio come loro cimitero.

Si ricorda che nei tempi ormai lontani vari enti religiosi e persone private, tra cui i monaci di S. Maria Maggiore, possedevano in Ponzano beni in varia misura. Detti monaci in data 20 aprile 1621 cedettero ai nobili Minelli di Venezia terre ed edifici siti in detto PonzanoArchivio di Stato di Treviso. Fondo Archivio di S. Maria Maggiore di Treviso Busta 19 Carta 22.. I Minelli demolirono il complesso del convento-ospedale andato in decadenza ed eressero la villa, le barchesse e l’OratorioI Minelli erano di origine bergamasca e furono aggregati all’ordine patrizio Veneto nel   1650.  Cristoforo Minelli ospitò il Vescovo Bartolomeo Gradenigo il 13 maggio 1678 in occasione della Visita Pastorale in Ponzano..

Rivolgiamo ora la nostra attenzione all’argomento della villa costruita dai Minelli

Il Mazzetti così descrive gli edifici che costituiscono il complesso monumentale di questa villa: questa è «del principio del secolo XVII, di forma quadrata, a tre piani, di classico stile veneziano. Sale centrali al piano terreno ed al primo piano, camere laterali, soffitti con travature alla sansovina. Bellissimi cancelli d’ingresso con pilastri e vasi; in alcune finestre della villa pregevoli inferriate in ferro battuto. Grande barchessa di bello stile, un tempo adibita anche a foresteria. Un’altra adiacenza, verso la strada, un tempo con quattro sale da gioco e soggiorno, stupendamente affrescate, è in stato di gravissimo deperimento. Attigua ad essa è una chiesetta con soffitto intagliato e pala dello Zanchi, firmata. Tutto il complesso di queste costruzioni è di grande interesse storico ed artistico. Il corpo centrale della villa è ancora in condizioni abbastanza buone; quelle della barchessa in condizioni piuttosto cattive. Pessime poi quelle delle quattro sale affrescate, ora destinate ad artigiani, con soffitti cadenti e parte caduti e pareti dipinte a calce. Meritevole di radicale restauro»G. MAZZOTTI, «Le Ville Venete», Treviso, Zoppelli, Ediz. 1952, p. 653..

La Soprintendenza ai Monumenti medioevali e moderni di Venezia la giudica: «Stupenda villa del secolo XVII a pianta quadrata a tre piani, di classico tipo veneziano. Sulla facciata principale eleganti fori, finestre archivoltate e bella trifora con poggiolo e balaustrini al centro del secondo piano. Una grande barchessa, chiesetta ed altre adiacenze, costituiscono tutto un complesso di grande interesse architettonico».

Così ne parla lo storico F.S. Fapanni: «Torreggia a Ponzano il palazzo Minelli, pregevole non per l’architettura, ma per la mole maestosa. Ha un oratorio di belle proporzioni, con buona pala di Antonio Zanchi. Ora il palazzo è divenuto proprietà della Pia Casa degli Esposti alla Pietà di Venezia». E continua lamentando lo stato deplorevole in cui l’edificio si trovava: «Faccia Iddio che gli odierni pigmei, vergognosi dei confronti, non lo facciano crollare a terra!»F. S. FAPANNI, «Memorie storiche della Congregazione di Quinto», (anno 1860), Treviso, Tip. Andreola-Medesin, p. XXIX..

Lo stesso senso di amarezza si ricava dalla descrizione che fa della villa don Antonio Dal Colle: «La bellissima villa, con l’oratorio, fu lasciata dai Minelli in eredità alla Congregazione degli Esposti di Venezia, ma tutto va miseramente in rovina, basti dire che le grandi sale, decorate nel seicento e nel settecento, sono ridotte a botteghe di fabbri e falegnami. La cornice interna dell’Oratorio — buona fattura in legno dorato — va deperendo…»A. DAL COLLE, op. cit., p. 33..

Passata in proprietà della suddetta Congregazione di Carità, nel 1836, la villa non migliorò, anzi, peggiorarono le sue condizioni, benché vi fossero presenti opere d’arte veramente stupende.

Risulta che fu affrescata verso la metà del secolo XVII dal pittore Pietro LiberiPietro Liberi (Padova   1614   Venezia   1687)  lavorò nella sacrestia della Basilica del Santo a Padova (1655) e nell’ultima cappella a destra della Chiesa degli Scalzi a Venezia (Cfr.  Thieme-Becker   «Allgemeines.  Lexicon   der   Bildenden Kiinstler», Leipzig, Seeman,  1907-1950, voi. XXIII, pp.  185-186).  Vedi pure:  F.  FLORES   D’ARCAIS,  «La formazione di Pietro Liberi», in «Critica d’Arte», anno XIV (1967), pp. 58-68, dove precisa: «la tonalità dominante della decorazione è ocra, alleggerita tuttavia dal colore azzurro chiaro del soffitto e rialzato dalla vivacità di tocco dei mantelli e delle vesti. Così le figure che s’affacciano alla balaustrata del soffitto (su di un lato è disteso un tappeto verde e giallo) hanno vesti chiare e lucenti e manti marezzati sull’azzurro e il lillà»..

Quattro sono le sale dipinte da questo artista; in esse sono rappresentate divinità pagane femminili, giganti mitologici, paesaggi, allegorie della Pittura, della Poesia, della Musica e della Scultura. Lavorò pure nella affresca tura della barchessa il pittore Antonio Bellucci o per lo menò a lui si attribuiscono quei dipintiAntonio Bellucci, di Pieve di Soligo (1654-1726).

A cominciare dal 26 marzo 1844 furono pubblicate numerose aste disposte dalla Congregazione degli Esposti di Venezia, per la vendita delle statue del giardino. L’esito di tali aste non ci è noto, né si è potuto conoscere il destino delle statue stesseI dati circa le aste pubbliche si possono reperire presso l’archivio del Comune di Ponzano..

Nel gennaio del 1849, la villa fu requisita per alloggiare truppe austro-ungariche in transito nei nostri territori. In epoca ignota parte delle artistiche inferriate in ferro battuto furono rimosse e non si sa dove finirono; un’altra parte, nel 1917, fu prelevata e inviata a Firenze per salvarla da una eventuale invasione del nemico. Dopo il termine della guerra queste inferriate ritornarono al loro posto.

Nel periodo tra le due grandi guerre le condizioni della villa giunsero ad un limite di degradazione tale da far temere ad una inevitabile perdita. I locali della barchessa, sulla destra della strada provinciale per chi giunge da Treviso, furono adibiti a botteghe di fabbri, di falegnami ed a negozio di macelleria. Gli affreschi soffrirono perché coperti da tinte ed intonaci sovrapposti. Un altro locale servì per l’incubazione dei bachi da seta.

Molto aveva sofferto la villa anche verso la fine della prima guerra mondiale quando in essa furono alloggiati un reparto di soldati inglesi (scozzesi), un reparto italiano, una sezione di sussistenza con un macello militare, una scuderia con relativa maniscalcìa e un reparto per curare quadrupedi malati o feriti. Nelle colonne della barchessa maggiore esistono ancora gli anelli a cui venivano legati i quadrupedi. Alcuni locali della villa furono adibiti a granai militari; la soffitta ospitò molti operai addetti alla costruzione delle trincee e delle casematte per una nuova linea difensiva in vista di un possibile cedimento della linea del Piave.

A seguito dei bombardamenti scatenatisi su Treviso, a partire da quello più massiccio e rovinoso del 7 aprile 1944, molti cittadini, circa 115, fuggiti dalla città, ripararono nei locali della villa. Un episodio spiacevole e detestabile si ebbe a lamentare la sera del 5 gennaio 1945, alla vigilia dell’Epifania, quando alcuni elementi mascherati ed armati penetrarono nei locali e rapinarono gli sfollati del denaro e dei preziosi che erano riusciti a salvare dal bombardamento e dall’incendio delle loro case.

L’avvenimento suscitò viva deplorazione e unanime condanna, ma, con tutto ciò, i banditi non furono mai individuati.

Il restauro 

Stando così le condizioni di vita della villa, che pure era catalogata tra le Ville Venete come monumento di altissimo interesse, e quindi vincolata alla Sovrintendenza ai Monumenti, si giunse al 18 settembre 1970, quando l’Istituto Provinciale per l’Infanzia di Venezia (ex Congregazione degli Esposti della Pietà) vendette gli immobili (villa, terreni adiacenti e casa colonica) alla società «Maglierie Benetton» di Ponzano. La medesima ha portato a termine recentemente una imponente opera di restauro, encomiabile sotto ogni aspetto, con l’assistenza della Sovrintendenza ai Monumenti del Veneto.

Dalla reciproca intesa e dallo spirito di collaborazione dei predetti enti, è derivata un’opera di ripristino davvero notevole, motivo di orgoglio per i Benetton e per tutti i collaboratori ed artisti che si sono prodigati nel delicato lavoro di restauro.

Durante la sua esecuzione si è sempre cercato di rispettare lo stile originale dell’opera, pur adattando gli interni alle esigenze attuali. Le stesse tecniche adoperate erano le medesime del tempo in cui fu eretta la villa.

Gli artisti scelti non hanno deluso per capacità e pazienza, sostenuti dal giusto orgoglio e dall’ambizione di contribuire con la loro opera alla rinascita di un monumento di grande valore.

Anche l’antichissima casa colonica adiacente è stata oggetto di rifacimento. Particolare elogio meritano gli interventi nel restauro delle parti affrescate e decorate, eseguiti con estremo impegno e perizia dagli artisti Giovanni Cappeller e Guido Bassanello. Il primo ha restaurato inoltre la grande pala dell’Ultima Cena di Palma il Giovane, recente acquisto dei signori Benetton inserito nella Villa, che ha strappato l’ammirazione degli intenditoriV. Allegato nr. 10: «Restauro della villa Minelli-Benetton»..


Note:

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