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Le malattie

Le malattie del PassatoQuesto capitolo vuoi riferirsi al periodo che va dal 1816 al 1871, durante il quale nei Registri dei Morti delle parrocchie si specificava la causa della morte, ciò che in seguito non si riscontra più.

E’ certo che la parte più diseredata dal popolo fu sempre maggiormente colpita dalle malattie e la vita grama di quei tempi lo conferma.

Il cumulo degli stenti, delle oscure rinunce, del lavoro pesante ed incontrollato, delle miserande condizioni economiche ed igieniche, della carenza di medici e di medicine, causavano inesorabilmente numerose morti premature.

La notevolissima mortalità infantile costituiva un fatto normale. Nonostante il consapevole stato di povertà le famiglie erano assai prolifiche accrescendo così lo stato di indigenza. Non pochi bambini partoriti dopo gravidanze laboriose e nati perciò deboli e deperiti, decedevano per la nèssaLa parola «nèssa» ha due significati ben diversi nel dialetto nostro:

nèssa, nel senso di denutrizione (es.: morir da la nèssa);

nèssa, nel senso di nipote femmina, forse derivata dal francese   «nièce»  o   dall’inglese «niece», vocaboli che entrambi deriverebbero dal latino «neptis». La voce «nèssa», in città,  è  sostituita dalla voce più  evoluta «nevòda»  che al maschile fa «nevbdo».
. Al posto delle medi” cine usavano erbe medicinali ed altre risorse della natura (decotti, impacchi, ecc.). Nella generalità mancavano i mezzi finanziari per pagare le prestazioni mediche e per acquistare le medicine o, comunque, per provvedere alle cure consigliate Le famiglie contadine pagavano le prestazioni mediche dopo i raccolti dei bozzoli o dei prodotti della terra; queste erano le due occasioni principali in cui potevano vendere i prodotti e realizzare denaro. Le famiglie dichiarate dal Municipio «miserabili» ottenevano gratuitamente l’assistenza medica e la somministrazione delle medicine. . Enti assistenziali non ne esistevano.

In certe famiglie anche agiate difettava poi la sensibilità del capo-famiglia che, restìo a sborsare denaro, non si lasciava impietosire dalla malattia o dalla morte d’una creatura e giustificava la sua ottusità attribuendo la morte al destino o alla volontà di Dio.

Chi si ammalava o non reggeva alla dura vita agricola, provocava brontolìi, commenti negativi e dissapori in famiglia. Un ammalato era un peso morto, specie nei tempi a cui ci riferiamo, nei quali la terra reclamava braccia vigorose, resistenti ed instancabili, mancando altri mezzi validi per lavorarla. Anche nelle famiglie degli operai l’ammalato causava seri problemi.

Passiamo ora a parlare delle malattie che Bevano le nostre popolazioni.

Le più importanti malattie dell’infanzia erano la «spasmodìa» (detta volgarmente spàzemo) e la «eclampsìa infantile».

Da accertamenti eseguiti è risultato che nel periodo che va dal 1816 al 1871 i bambini morti di «spasmodìa» furono 311 in Merlengo, 285 in Paderno e 340 in Ponzano, per un totale di 936 vittime. Seguiva 1’ «eclampsìa infantile» con 63 morti in Merlengo, nessuno in Paderno e 5 in Ponzano Giova ricordare che il numero degli abitanti è sempre stato maggiore a Merlengo a cui   seguiva Paderno ed infine Ponzano. 4bi!. La malattia miliara (o miliare o miliaria) è un genere particolare, che è accompagnata da un’eruzione cutanea di piccole vescichette della forma e grossezza d’un grano di miglio; è assai pericolosa.
.  Le malattie degli adulti, sempre nel periodo citato, appaiono più equilibrate nelle tre frazioni, eccettuando la pellagra che ha mietuto 71 vittime in Merlengo, 27 in Paderno ed 8 in Ponzano. Il numero dei morti per vecchiaia, consunzione e malattie croniche, è risultato maggiore in Ponzano, il che confermerebbe le migliori condizioni di vita di questa frazione rispetto alle altre due. Pronunciato il numero dei morti per malattie tifiche: Merlengo 32 casi, Paderno 14, Ponzano 18. Anche l’idropsìa cirrosi epatica) mietè un numero piuttosto elevato di vite umane: Merlengo 31, Paderno 18 e Ponzano 25. La polmonite: 28 casi a Merlengo, 9 a Paderno e 12 a Ponzano. La tisi: 21 a Merlengo, 44 a Paderno, 28 a Ponzano. Seguiva la apoplessia con 9 casi in Merlengo, 20 in Paderno e 27 in Ponzano. Altre malattie notevoli furono la diarrea, la pleurite, la febbre perniciosa, l’asma, l’itterizia, la miliara, ecc.4 bis

Non possiamo trascurare qualche notizia relativa ai secoli passati nel corso dei quali la più temuta, la più terribile era la malattia della peste che anche nei nostri territori dilagò in forma gravissima nel 1345 e nel 1350; meno micidiali furono le epidemie del 1348 e del 1363. Detta calamità si ripresentò dal 1478 al 1486, indi nel 1502, 1510, 1525, 1575-1578 e 1630-16315.

E’ importante ricordare che nel Medioevo tutto il territorio europeo fu colpito da epidemie e morbi mortali. E’ in relazione alla morte nera, così era chiamata la peste a quei tempi, che a Ponzano venne aggiunto al patrono San Leonardo anche San Rocco, specificamente invocato contro tale malattia fin dall’inizio del secolo XV «San Rocco era nato a Montpellier (Francia)  verso la fine del tredicesimo secolo, peregrinò in tutta Europa, dedicandosi alla cura dei viandanti e degli ammalati colpiti di peste, morbo allora molto frequente. Contagiato egli pure dall’epidemia (presso Piacenza) e allontanato da tutti,  visse per lungo tempo in compagnia d’un misterioso cane, che gli procurava un tozzo di pane. Guarito infine, se ne tornò  a Montpellier ma non fu   riconosciuto,  anzi finì  in   prigione come spia e qui morì il giorno dell’Assunta del 1327. Le sue reliquie   furono   portate   a   Venezia».  (‘Dal   periodico   «Famiglia Cristiana», nr. 33 del 16-23 agosto 1981, p.  8). Sembra che S. Rocco, secondo la tradizione, sia stato a Roma per il Giubileo del 1300, a cui parteciparono anche Dante e Ciotto. Più tardi si incontrò con il successore di Bonifacio Vili, il nostro Nicolo Boccasino, eletto pontefice nel 1303 con il nome di Benedetto XI. San Rocco fu ammesso in udienza dal Papa al quale chiese la benedizione, ma questi, che andava distinto per la sua grande umiltà, esclamò: «Non sono io, o Rocco, che devo benedirvi, ma siete voi che dovete benedir me». (Mons. G. PATRIZIO.«Il tempio Monumentale di San Nicolo», Treviso 1962, Tip. Turazza, p. 8).
Il culto a San Rocco ebbe una considerevole diffusione nella nostra diocesi per merito del Vescovo di Treviso Nicolo Franco (1486-1499). Su San Rocco vedi anche: KENNETH WALKER; «La storia detta medicina», A. Martello editore, Milano, 1957, p. 111.
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Nel secolo scorso le malattie più micidiali furono il colera, la spasmodìa e la pellagra.

La prima di queste malattie e più contagiosa e mortale fu chiamata nel passato «Cholera asiatico», perché giunse dall’Asia ove tuttora è attiva o comunque allo stato latente.

L’Europa soffrì ripetute epidemie di colera di vaste proporzioni ed anche le nostre frazioni non ne andarono esenti.

Dai documenti del Comune si apprende che nel 1831, 1835 e 1836 il morbo si diffuse in tutto il regno Lombardo-Veneto.

La malattia si insedia nell’intestino e può presentarsi in tre forme: fulminante, acuta e subacuta.

Il colera fece una vittima a Merlengo nel 1824 e 27 nel 1855. A Paderno un caso nel 1854 e 24 nel 1855; infine 13 casi a Ponzano nel 1855 e 2 nel 1866. L’epidemia del 1886 mietè 24 morti in tutte e tre le frazioni.

Gravi sanzioni colpivano i medici che si fossero rifiutati di visitare e curare i colerosi In un documento del 22 novembre 1830 il Regio Governo di Venezia trasmise la copia d’un concorso istituito dal governo russo che metteva a disposizione un premio di venticinquemila   rubli   all’autore   della   migliore   opera   sulla natura del colera. La Russia infatti era particolarmente interessata a debellare il morbo in questione in quanto confinante con i territori asiatici focolai del colera. A ricordo delle funeste epidemie vennero murate tre lapidi, ciascuna per ogni frazione, due delle quali esistono tuttora e precisamente una sul muro di cinta di Villa Gosetti a Merlengo e l’altra sulla parete esterna della casa Tornaseli! in Ponzano. La terza si trovava in Paderno in un luogo ignoto come ignota è la data di sparizione. Il testo delle lapidi è il seguente:
Jesus Christus Rex venit in pace Deus homo factus est verbum caro factum est. Vincit regnai   imperai. Ab omni malo nos defendat Amen.
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La spasmodìa o meglio «spasmofilìa» («mal del spàzemo») causò la maggior mortalità fra i neonati, come si è visto. Spasmofilìa significa «propensione allo spasmo». Si tratta dello spasmo costituzionale proprio della prima infanzia che consiste in una supereccitabilità neuro-muscolare a stimoli meccanici ed elettrici. La malattia colpisce maggiormente i bambini affetti da rachitismo a causa di deficiente secrezione ormonica delle ghiandole paratiroidi Da «Enciclopedia Medica», a cura della Redazione della Rivista «Guarire»,  Ponzoni Editore, Milano. .

La malattia della pellagra, che nel secolo scorso era chiamata «morbus miseriae», è dovuta ad insufficienza prolungata di vitamina PP ed avrebbe avuto inizio nella seconda metà del 1700.

La parola «pellagra» significa pelle malata ed affligge le persone che si nutrono in prevalenza di polenta In seguilo alla scoperta dell’America, avvenula, come è nolo, nel 1492 ‘per opera di Crisloforo Colombo, venne   importalo   il   seme   di   granolurco   (Zea-mais)  chiamalo «sorgolurco»,  la   cui   diffusione prese piede   anche   nel   nostro territorio. Nel 1858 durante la Visita Pastorale del Vescovo Giorgio Corner (1564-1577) viene segnalata la coltivazione di predetto cereale in parecchi campi delle nostre parrocchie. Con l’avvento di questo nuovo tipo di alimento ha avuto origine la nuova malattia della «pellagra»..

Nei tempi decorsi, sino ad alcune decine di anni fa, colpiva principalmente chi lavorava la terra perché spesso si cibava di farina alterata o addirittura guasta.

Nei documenti d’archivio risulta che essa era una malattia preoccupante e notevolmente divulgata nel territorio del Comune.

Si rivela in maggior parte con macchie sulla faccia, sul collo e sulle mani, cioè nelle parti più esposte al sole. La pelle si arrossa con intensità, presentando screpolature e macchie. Il malato accusa inoltre disturbi viscerali, conati di vomito e vomito vero e proprio, seguiti da periodi di stitichezza e crisi depressiva, nota questa come «manìa pellagrosa».  I maniaci pellagrosi, nei quali si intensificava maggiormente l’ira del male, venivano ricoverati negli ospedali psichiatrici dove inevitabilmente finivano i loro giorni Un villico, certo Giuseppe De Matila, affello da pellagra, il 10 dicembre 1855 si tolse la vila gellandosi nel pozzo. Un allro doloroso caso accadde in Ponzano nel 1878 allorché  una donna si gettò  nel pozzo dopo aver strangolato un figlio di tre anni. Nel 1901-1902 e seguenti, la malattìa si estese ed il governo allarmato propose una legge per debellarla. Incideva in quel tempo anche la scarsezza del sale comune di cui venne disposta la distribuzione graluila alle famiglie povere.. Non erano pochi i casi, posti in chiara evidenza dai medici condotti e dai parroci, per i quali si sollecitava l’intervento dell’autorità.

I malati non gravi trovavano ricovero nel Pellagrosario di Mogliano Veneto ove erano curati ed alimentati in base ad una dieta adeguata.

Passiamo ora a considerare le epidemie influenzali, malattie di natura contagiosa, note da migliaia d’anni. Non è noto che nome avessero nel passato.

Il termine «influenza» ebbe origine nel sec. XVIII (1743-1748) poiché ritenevasi che la malattia fosse causata da una malefica «influenza» degli astri e delle costellazioni sulla vita umana, secondo una delle innumerevoli superstizioni ereditate dal medioevo durante il quale la epidemia influenzale venne confusa con la peste.

Famosa è stata la gravissima epidemia influenzale del 1918, chiamata «spagnola» perché il focolaio si era formato e sviluppato in Spagna, da dove con sorprendente rapidità si estese a tutta l’Europa e ad altri paesi extra-europei, causando una mortalità molto elevata.

Tutti i nostri paesetti n’ebbero a soffrire e si lamentarono parecchie vittime.

Un’altra epidemia, senza però la gravita della «spagnola», è stata la «febbre asiatica» del 1957-1958, sviluppatasi dapprima in Cina, poi ad Hong-Kong ed a Singapore, nel marzo del 1957. Si propagò velocemente in tutto il mondo, colpendo milioni di individui causando fortunatamente poche vittime sebbene la forma fosse contagiosissima.

Essa si diffuse anche nel nostro Comune.

“L’ALCOLISMO
«Non fare il bravo con il vino peicbè ha mandato molti in rovina». (SIRACIDE: 31,25)

Da quanto sopra riportato si può comprendere quanto antica sia la piaga dell’alcoolismo. Numerose sono le citazioni bibliche del Vecchio e del Nuovo Testamento, oltre alla vasta letteratura medica, che confermano la dannosità dell’alcool in genere Informa   opporlunamenie   la   scienza   medica   che l’abuso delle bevande alcooliche causa una grave intossicazione   cronica,  che,  lentamente   ed   inesorabilmente   avanza senza risparmiare alcun tessuto ed organo. Il quadro dello sfacelo generale fisico, psichico e morale è impressionante. Esso inizia con maialile alla gola, indi allo stomaco, al fegato, al cuore, ai polmoni ed ai bronchi, ai reni, agli occhi, per proseguire con alterazioni neuropsichiche di varia natura e gravila, le quali per lo più sfociano nel «delirium iremens» e nella follia.

Anche nelle nostre frazioni non sono mancate e non mancano tuttora persone dedite alle bevande inebrianti. In una statistica desunta dai registri parrocchiali dei defunti nel periodo che va dal 1816 al 1871, si è notato una preoccupante mortalità prematura per malattie senz’altro collegate all’azione deleteria dell’alcool.

E’ ben noto che l’inclinazione al bere non è mai scomparsa e nel nostro territorio infatti esistono tuttora casi di stati morbosi per abuso di bevande alcooliche, taluni dei quali risultano abbastanza preoccupanti ed oggetto di particolare attenzione da parte del competente Ufficio Assistenza Sanitaria Comunale.

Le cause che possono condurre una persona all’alcoolismo sono varie: tare ereditarie, amarezze, delusioni, disagi e difficoltà opprimenti di varia specie, l’ambiente e le circostanze di vita, unitamente alla mancanza di volontà di reagire a tale vizio, sono le più frequenti.

L’ubriaco, pur destando una curiosità allegra in chi lo osserva ma con il quale non ha nessun vincolo, causa gravi problemi oltre che a sé stesso anche alla propria famiglia, che viene coinvolta e compromessa di fronte alla comunità. Il bevitore inoltre rovina progressivamente la propria salute nonché quella della eventuale figliolanza, che ne eredita sempre le dannose coseguenze.

LE MALATTIE DEGLI ANIMALI E DELLE PIANTE

Tali malattie erano motivo di grave preoccupazione per gli agricoltori, giacché i bovini, i cavalli, gli asini ed i muli erano bestie preziose e costose. La morte di uno d’essi rappresentava una perdita non certo trascurabile, quasi un lutto!

Durante il governo austriaco, troviamo nei documenti d’Archivio varie notizie e disposizioni circa le malattie degli animali.

Nel 1823 si era manifestata la malattia del «cancro volante della lingua», presentatasi più volte nel trevigiano e nel Friuli, e nel 1852 la malattia del «moccio dei cavalli».

Nel 1834 delle notizie allarmanti erano giunte dalla Lombardia ove era apparsa la malattia del «carbonchio».

Allorquando per predette malattie morivano gli animali, questi dovevano essere
sepolti:
per Ponzano:  alla Croserona;
per Pàderno:  alla Cai Munàra o Munèra;
per Merlengo:  al’Antiga.

Durante il governo austriaco venivano emanate in merito disposizioni severissime dai competenti uffici della Sanità, che vietavano di cibarsi di carni d’animali morti di malattia, ma purtroppo, sia per ignoranza, sia per faciloneria od altro, le disposizioni venivano spesso ignorate e di quando in quando qualche individuo pagava con la vita la propria negligenza.

Nel passato era assai diffuso l’allevamento dei bachi da seta. Essi si nutrivano delle foglie dei gelsi disposti in filar i nella campagna. Scopo di tale coltura era l’ottenimento della seta ricavata dai bozzoli.

Gli agricoltori accudivano in maniera intensiva a questa attività che fu assai redditizia sino a quando giunsero sul mercato le fibre tessili artificiali. I coltivatori allora ne risentirono enormemente dal lato economico anche perché non potevano attingere ad altre risorse.

Varie malattie insidiavano la salute del baco da seta, e cioè: Vatrofia o pebrina, causata da un parassita che passava dall’animale nell’uovo, e da questo nel nuovo individuo; incalcino, pur questa dovuta ad un parassita: una muffa invadeva il corpo del baco, sviluppandosi abbondantemente, cosicché l’animaletto assumeva l’aspetto di un pezzo di calce; la placidezza o negrone, morbo che impediva al baco di costruirsi il bozzolo. Il prezioso filugello era inoltre minacciato dalle formiche che spesso lo assalivano causandone la morte.

Sino a quando la scienza non riuscì a trovare i rimedi adatti, i bachicultori rimasero impotenti dinanzi all’ira delle malattie, che, sempre nel passato, tentavano di fermare con rimedi empirici (fumigazioni), oppure innalzando preghiere, facendo dare benedizioni deprecatorie dai sacerdoti e bruciando l’ulivo pasquale come forma propiziatoria.

Altro nemico era la malattia del gelso, dovuta alla diaspis pentagona, che colpiva le foglie della pianta.

La situazione dell’agricoltura, da sempre difficile, divenne ancor più preoccupante in seguito all’arrivo della malattia della fillossera, distruttrice delle viti, che comprometteva il raccolto dell’uva, prodotto questo assai necessario al sostentamento delle famiglie per il reddito non trascurabile che produceva. Dopo vari trattamenti ed esperimenti venne trovato un rimedio decisivo, quello cioè di innestare le viti nostrane con varietà di viti americane resistentissime all’attacco del parassita La maialila della fillossera giunse dall’America nel 1879..

Altre malattie della vite erano la peronospora e l’oidio. La prima era provocata da un fungo che colpiva le foglie ed il grappolo ed il cui rimedio consisteva nell’irrorazione di solfato di rame; la seconda era dovuta all’azione di un altro fungo che minacciava la salute dei grappoli e che si manifestava sotto forma di una muffa biancastra, pur questa combattuta con solforazioni od altri prodotti chimici a base di zolfo.

Comprometteva e compromette pure attualmente la vita dei medicai (campi di erba medica conosciuta meglio in dialetto col nome di «spagna») la terribile cuscuta (erba «oa»), pianta parassita diffusa in tutto il mondo, filiforme, di color giallo sbiadito, che avvolge lo stelo di varie piante, quali il trifoglio, il lino, l’erba medica, ecc., e che finisce con l’ucciderle. Detto parassita viene combattuto con la selezione dei semi dei principali foraggi.

Altre malattie inoltre colpivano le piante del frumento e del granoturco. Fra queste ricordiamo in particolare la malattia del «carbone», dovuta pur questa ad un fungo o meglio a certi funghi parassiti che nel periodo della riproduzione erompono dai tessuti della pianta sotto forma di polvere nerastra costituita dalle spore. Oltre al frumento tali funghi danneggiano le colture dell’orzo, dell’avena e del granoturco.

La «ruggine» è un’altra malattia causata da alcune specie di funghi che colpisce il frumento, le colture ortensi e foraggere ed altre piante. Si presenta con macchie pustiliformi bruno-rossicce sulle foglie, che assumono così un aspetto rugginoso. E’ combattuta con l’utilizzazione di sali di rame ovvero coltivando razze di grano resistenti.

Il «mal bianco» è determinato da un altro fungo che colpisce le foglie facendole ingiallire e cadere; come rimedio vengono usate le solforazioni come per la malattia dell’oidio.

Infine è da ricordare anche la «pirabile»: è un verme che nasce da uova deposte da un microlepidottero, ma che da tempo sembra ormai sconfitto. Esso corrode le radici, le foglie e talvolta anche i frutti delle piante.


Note:

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