Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi
EVOLUZIONE ECONOMICA DEL TERRITORIO COMUNALE
L'economia del Comune fino alla conclusione della seconda guerra mondiale si era sostenuta principalmente sui quattro mestieri di biblica memoria: falegname, fabbro, muratore e contadino.
Si rammenta con legittima soddisfazione che le nostre frazioni ebbero lavoratori assaiabili: basti ricordare il falegname Pietro Bianchin (detto Mancio), l'artista in ferro-battuto Cesare Bianchin (detto Mariano Mancio), i calzolai Durante e Giovanni Cecchetto, tutti di Merlengo; i muratori Visentin, Pretotto, Povegliano (detti Capòssoli) e Paronetto, di Paderno; Sartori e De Mattia di Ponzano Veneto.
Gli operai si recavano al lavoro a piedi. Partivano alle primissime luci dell'alba, con sottobraccio l'involto del magro pasto di mezzogiorno: polenta, formaggio ed una fetta di salame.
Ritornavano stanchi, a tarda sera, con le ossa rotte per il duro lavoro della giornata, svolto sotto rigida sorveglianza, e per la lunga trasferta a piedi, talorà con il maltempo imprevedibile.
La bicicletta, in quegli anni, era un lusso riservato solo a pochi fortunati che l'acquistavano con grossi sacrificiSi rammenta che la bicicletta primitiva era costituita da una grandissima ruota anteriore al cui centro v'erano i pedali e da una piccola ruota posteriore, rimpiazzata successivamente da un'altra più grande, ma sempre con i pedali sulla ruota anteriore; più tardi comparve il tipo avente la pedivella con la catena di trasmissione collegata alla ruota posteriore. Il sig. Giacinto Moro di Paderno possedeva un triciclo con il differenziale per le ruote posteriori..
L'alba li rivedeva nuovamente in cammino verso il posto di lavoro.
Le attività artigiane, malgrado qualche eccezione, difettavano assai. C'era qualche bottega: di carradore, di falegname, di fabbro, di calzolaio e di tessitura su telaio a mano. Dal 1910 al 1914 circa, in Merlengo, il barone Franz Niessner, nuovo proprietario della villa Pavan, di origine boema, realizzò una modesta officina meccanica ove svolgeva la propria attivitàFranz Niessner era rappresentante generale per l'Italia della fabbrica «Fenomobili» G. Killer Zittau e di altre case estere. La «Fenomobile» era un veicolo a tre ruote azionato da un motore a scoppio. Gli anziani di Merlengo ben ricordano il singolare mezzo di trasporto capace di muoversi ad una discreta velocità.. L'occupazione si limitava a pochi operai. In Paderno dal 1920 al 1967 fu attivo un mulino a palmenti del sig. Lorenzo Serena, che offriva lavoro ad un solo dipendente. Sempre in Paderno, dal 1927 al 1931 circa, un altro mulino venne attivato dal sig. Ettore Pretotto, pur questo con un solo operaio. Durante la seconda guerra mondiale, in Merlengo, in una rimessa della villa Pavan, si insediò la Ditta «Frigonubex», per la costruzione di motori a carbonella per veicoli, con un esiguo numero di dipendenti.
Durante la parabola invernale la disoccupazione per molti si presentava regolarmente. Talorà il Comune interveniva con l'istituzione di lavori e riattamenti stradali. Altre risorse valide non esistevano.
Le figliole degli operai e dei contadini trovavano occupazione come domestiche; altre donne facevano le lavandaie, quasi sempre a domicilio. In quei tempi, che possiamo chiamare eroici, espletavano il compito molto ingrato di lavare notevoli quantità di panni di famiglie signorili, impiegando talorà giornate intere, per guadagnare qualcosa. D'inverno poi, con il freddo intenso, e l'acqua gelida, ancora più cruciale si rendeva tale attività.
Non erano rare le donne che aiutavano i contadini nel lavoro dei campi, certamente dietro un po' di compenso in natura. Altre cercavano legna lungo le siepi o coglievano erbe mangerecce. Parecchie famiglie allevavano animali da cortile.
La popolazione però, per la maggior parte, traeva sostentamento dal lavoro della terra seppure le risorse agricole fossero scarse, sia per deficienza di mezzi, sia a causa del terreno sassoso ed alluvionale, sia per la ancora persistente forma di conduzione antiquata dei padroni.
Prima della divulgazione dei mezzi motorizzati nell'attività agricola e prima dell'uso dei concimi chimici, si ottenevano soltanto quattro quintali circa di frumento da un campo trevigianoIl campo trevigiano corrisponde a 5204 metri quadrati. contro gli attuali diciotto quintali. Su questa scarsa produzione incidevano altresì le inevitabili grandinate e siccità; pertanto s'imponeva, per tutte le famiglie, la necessità di risparmiare in previsione di anni avari di messi. Solo verso il 1920 giunsero dall'Austria aratri di ferro; nello stesso anno, negli Stati Uniti, Henry Ford costruì l'aratro a motore di grande potenza che si diffuse però nelle nostre zone solo dopo il secondo conflitto mondiale. Pertanto, in precedenza, il lavoro nei campi veniva svolto con sistemi ed attrezzi arcaici: buoi, mucche, cavalli ed asini, come nell'antichità, compivano le grandi fatiche del lavoro agreste.
Con l'avvento dei mezzi meccanici e motorizzati, migliorarono notevolmente le condizioni degli agricoltori ed aumentarono la quantità e la bontà dei prodotti.
Per quanto riguarda la concimazione, bisogna rammentare che lo stallatico risultava sempre insufficiente. Con grande ritardo rispetto a taluni paesi stranieri più progrediti, i nostri agricoltori si decisero ad impiegare i fertilizzanti chimici indispensabili per integrare efficacemente il concime naturale offerto dagli animali della stalla. Così pure la lotta contro i parassiti e le malattie delle piante iniziò qui con notevole indugio.
E' da tener presente che il bestiame impegnato nei lavori dei campi veniva nutrito insufficientemente e, per rimediare a questa scarsità, una parte di dette bestie veniva condotta a pascolare, nelle ore serali, lungo i sentieri ed i fossati. Altra iniziativa escogitata per sopperire alla carenza di foraggio era quella di recarsi a raccogliere erba nelle plaghe umide del basso trevigiano.
Assai lentamente vennero a formarsi piccole proprietà realizzate con i sudati risparmi di coraggiosi emigranti in terra d'Austria, di Germania, di Francia e d'America. Essi tornavano dopo anni di oscuri sacrifici ed acquistavano il poderetto, diventando contadini in proprio.
Parliamo dell'epoca in cui la maggior parte della terra risultava di proprietà di pochi signori, quali i Conti Persico, i Giacomelli, i Liberali, i Gobbato, i Cicogna, ed enti, quali le prebende parrocchiali, l'Istituto degli Esposti di Venezia e l'Ospedale Civile di Treviso.
Conducevano i terreni di predetti padroni famiglie patriarcali di trenta o quaranta persone che convivevano sul fondo padronale. Si possono qui annoverare le famiglie Zanatta, Benetton, Gagno e Michelin, che faticavano sulle terre dei Liberali; le famiglie Faccin e Mestriner che lavoravano sulle proprietà dell'Istituto degli Esposti; le famiglie Bortoletto e Mattiazzo, su quelle dell'Ospedale Civile; gli Allegro ed i Gola, su quelle dei Persico; i Paronetto, i Piovesan ed i Buffolo, su quelle dei Cicogna; i Piovesan, i Baseggio, i Durante ed i Bianchin (Mancio), su quelle dei Giacomelli.
Le terre delle prebende parrocchiali erano frazionatissime e date a piccoli fittavoli, le cui condizioni di vita, unitamente a quelle dei mezzadri, erano tali che mai riuscivano a sollevarsi dalle angustie.
Il fittavolo, se l'annata si concludeva negativamente a causa della tempesta, della siccità e d'altre calamità atmosferiche, era costretto a vendere un animale della stalla per far fronte a tutte le necessità ed obblighi. Il mezzadro doveva superare forse difficoltà ancora maggiori, in quanto sempre vigilato dal padrone ed ancor più dal «castaido» con visite inaspettate. Ogni eventuale iniziativa inoltre doveva essere approvata dal proprietario del fondo. Vigeva per lui l'obbligo delle «onoranze» al padrone, servitù di origine medioevale, oltre a quello della consegna della metà dei raccolti. Le «onoranze» avevano luogo a Pasqua con il dono delle uova, a San Pietro con i capponi ed a Natale con il tacchino. Inoltre vigeva l'obbligo del quarteseQuartese: onere reale che ogni agricoltore deve al parroco, corrispondente alla quarantesima parte dei frutti raccolti. .
I principali prodotti della terra erano il frumento, il granoturco, l'erba medica, il trifoglio, il ravizzone, la segala, l'avena, l'orzo ed il gelso. La vite era piuttosto trascurata, mentre, con grande cura, ogni famiglia badava all'orto, a volte ricavato anche da ritagli di terra demaniale.
Il terreno, si ripete, rendeva poco ed oltre alla accennata lavorazione effettuata con carenza di mezzi e di concimi bisognava fare i conti con le inclemenze del tempoE' da notare che quando, con il trascorrere del tempo, si perfezionarono gli attrezzi agricoli, quasi tutti i contadini, ancorati ai vecchi sistemi di lavoro, diffidavano delle nuove tecniche, che tra l'altro prevedevano un notevole impegno finanziario iniziale. Inoltre il rischio di incappare in annate rovinose dava loro il reale motivo per non impegnarsi in debiti consistenti..
Le stalle erano proverbialmente insufficienti; raramente arrivavano a fornire i quattro quintali di peso vivo per ettaro e quasi mai producevano la necessaria quantità di stallatico per una più redditizia coltivazione.
Per superare in qualche modo questo stato di disagio del mondo agricolo fu costruito, dopo la prima guerra mondiale, il Canale della Vittoria, grande opera di irrigazione che rianimò la nostra gente contadina.
Un buon prodotto di bozzoli sanava spesso la disastrata situazione rurale. Quando negli anni favorevoli (1924-1928) venivano pagati a trenta lire al chilo, ricavo più che remunerati vo, il contadino si dimostrava palesemente confortato e sereno, ma quando il prezzo cominciò a scendere sino ad arrivare a lire due nel 1932, l'allevamento del baco da seta declinò. I fattori negativi principali furono: la concorrenza massiccia cino-giapponese, le varie malattie del baco, come il giallume, la flaccidezza, il calcino, dovute alle razze non opportunamente incrociate, l'avvento del rayon e delle altre fibre sintetiche.
Venne così a mancare agli agricoltori una delle principali fonti di guadagno.
Risale a questo periodo inoltre il cambiamento dei patti di affitto. Si passò dal fitto a danaro al fitto misto. A seconda della feracità del terreno i fittavoli dovevano al padrone da 3,50 a 4 quintali di frumento per ettaro e da 1,50 a 2 quintali di granoturco. Il raccolto dell'uva e dei bozzoli veniva diviso a metà con il padrone, come a metà era stabilito il pagamento del canone dell'irrigazione. Le condizioni pertanto si rivelavano sempre più gravose tanto che spesso costringevano all'emigrazione, decisione questa sempre dolorosa, peraltro ostacolata dalla politica del governo di quei tempi; il fatto tuttavia non era nuovo, giacché assai diffuso anche in tempi precedenti (v. il capitolo «L'Emigrazione»).
A peggiorare le difficoltà della vita, sulla testa del contadino pendeva sempre il gravame delle tasse: tassa di famiglia, tassa sul bestiame, la citata quota parte del canone d'irrigazione, ecc. Pur tuttavia il contadino conservò sempre la sua dignitosa calma e, nonostante le ristrettezze, non negò mai un pugno di farina ai mendicanti che numerosi bussavano alla sua porta.
A sostegno del contadino e dell'operaio funzionava la Cassa Rurale, fondata per l'iniziativa energica di don Giuseppe Geròn, parroco di Paderno, nel 1982, che nello stesso anno ebbe il riconoscimento ufficiale dell'organo di tutela, la Banca d'Italia, e la denominazione: «Società cooperativa in nome collettivo Cassa Rurale di prestiti di Paderno Merlengo Ponzano Veneto». Non mancò perciò l'adesione dei parroci delle altre due frazioni.
Questa Cassa fu tra le prime a sorgere in provincia ed anche nei momenti difficili fu all'altezza della sua funzione assolvendo i compiti per cui era stata fondata. Aderirono alla sua istituzione piccoli coltivatori, sottoscrivendo azioni di modesto importo ragguagliate alle loro disponibilità. I depositi a risparmio venivano per lo più forniti da esercenti locali e da contadini abbienti. La sede rimase attiva sino al 1958, anno di rifondazione, presso la canonica di Paderno, ove si conserva ancor oggi tutta la documentazione delle operazioni compiute, relative a depositi e prestiti, e con esse la bandiera della societàIl promotore, Don Giuseppe Geròn, nativo di Villa del Conte (Padova), fu parroco di Paderno dall'll aprile 1885 al 7 marzo 1935, data della sua morte (V. Capitolo: «Persone da ricordare»). La Cassa Rurale ebbe come economo per mdlti anni don Angelo Callegarin, parroco di Ponzano..
Era gestita da un Consiglio di Amministrazione, da un Presidente eletto fra i soci, da un Segretario e da alcuni Revisori dei Conti. Il Consiglio si riuniva per approvare o negarela concessione di prestiti o per l'approvazione del bilancio. Ricorrevano alla Cassa per ottenere prestiti principalmente i contadini per le loro svariate necessità (reintegro di bestiame per la stalla, necessità familiari, risoluzioni di debiti, pagamento di imposte erariali piuttosto pesanti, ed altro). Venivano concessi prestiti anche a non soci purché muniti dei requisiti richiesti dal regolamento.
Gli interessi tanto positivi che negativi erano modesti.
Tuttavia la vera utilità risiedeva nel sistema di credito concesso. Esso permetteva ai contraenti una notevole diluizione dei pagamenti in base a clausole di reciproco favore.
E' risultato che tutti i debitori hanno sempre assolto i loro impegni.
La Cassa perse un po' alla volta la sua credibilità ed utilità dopo la scomparsa del suo fondatore avvenuta nel 1935. Tuttavia resse alle mutate condizioni economiche del secondo dopo guerra fino al 1958, anno in cui sopravvenne uno stato di crisi dei depositi e degli impieghi.
Quando fu previsto un intervento dell'Organo di Controllo, la Banca d'Italia, per l'eventuale soppressione dell'Istituto a causa della sua ridotta attività, più persone ritennero doveroso conservarlo, a patto che si adeguasse alle esigenze dei tempi, poiché l'economia del Comune si stava trasformando da rurale in industriale.
Allorché l'Amministrazione Comunale riuscì a far includere il Comune di Ponzano fra i comuni dichiarati zone depresse, si insediarono con facilità nel territorio numerose piccole industrie, quali le Officine Perissinotto, la Vetreria La Valle, le Industrie di Dolciumi De Nardo, le Officine Meccaniche STAM e Mestriner, il Maglificio Benetton, le Officine Meccaniche OM, le Confezioni San Remo, ed altre attività.
A seguito dell'incremento industriale ed artigianale si evidenziò una considerevole lacuna: Ponzano non disponeva di alcuno sportello bancario e tutti perciò dovevano ricorrere alle agenzie del capoluogo, piuttosto lontane. Si rendeva pertanto indispensabile in loco un servizio bancario efficiente ed in grado di svolgere tutte le operazioni creditizie.
A tale scopo, più persone, alla guida del cav. Luigi Martini, sindaco del Comune, si riunirono e decisero di portare avanti la Cassa Rurale con nuovi intenti, ritenendo validi i principi su cui si fondavano le Casse Rurali Italiane, collegate alla Artigiancassa di Roma.
Furono versate nuove quote sociali di cinquecento lire cadauna, si ricominciò con i depositi a risparmio e con la concessione di prestiti. Presidente fu eletto il cav. Luigi Martini e segretario il signor Costantino Dalla Toffola. La sede era in un locale della ex Casa del Popolo in Paderno.
Nell'anno 1960 i depositi ammontavano ad oltre otto milioni, nel 1961 a circa trenta milioni, nel 1962 a ben settanta milioni e più; nel 1964 la cifra raggiunse i 350 milioni. Gli impieghi erano tuttavia limitati in quanto la Cassa non poteva, a norma dello Statuto, operare oltre il terzo dei depositi. A questo periodo risale l'apertura dei conti correnti ed il primo correntista fu il sig. Ettore Frigo, esercente del luogo.
Per un servizio più agile e completo la sede si trasferì poi in un locale di via Pioppe ove fu dotata di un conveniente mobilio e di cassaforte.
Le prestazioni della Cassa trovarono nella popolazione il totale gradimento e la massima fiducia.
Fu nel 1963 che il Consiglio assunse due dipendenti a tempo pieno, sempre sotto la guida del Segretario sig. Costantino Dalla Toffola, il quale prestava la sua opera gratuitamente.
Ben presto l'entità dei risparmi aumentò oltre ogni previsione e si ottenne dall'organo superiore di controllo l'autorizzazione a concedere prestiti in misura superiore ad un terzo dei depositi, determinando in tal modo un incremento preoccupante della responsabilità.
Si rese così indispensabile un serio esame sul come affrontare e risolvere la situazione. Venne allora deciso di declinare la responsabilità maturatasi e proporre il subentro, al posto della lodevole e benefica Cassa Rurale, di un istituto che ereditasse le finalità della Cassa medesima ed in grado di soddisfare le molteplici esigenze di un Comune avviato ormai ad un incalzante sviluppo industriale.
Il 1° aprile 1967 in una assemblea straordinaria di tutti i soci venne optato per la incorporazione della Cassa Rurale nella Banca Popolare di Asolo e Montebelluna. L'attività della Cassa Rurale terminò il 30 novembre 1967 ed il 1° dicembre successivo iniziò il regolare servizio della Banca Popolare suddetta.
La sede fu collocata in via Cicogna in un confortevole locale del condominio Torresan (piazzetta dell'ex Municipio), in Paderno. Ne beneficiò soprattutto il mondo rurale che malgrado il profondo cambiamento potè ricorrere alle prestazioni della Banca Popolare quasi alle condizioni di prima.
Le azioni da lire 500 dei vecchi soci furono elevate dalla subentrante Banca a lire 5.000.
Con la fusione dei due istituti la Banca Popolare dispose un contributo generoso per le Scuole Materne Parrocchiali e diede la possibilità ai ragazzi della scuola dell'obbligo di concorrere a borse di studio annuali. Furono assegnati inoltre premi ad Enti vari, quali le unioni sportive locali, mentre le richieste di vario genere venivano e vengono tuttora esaminate sempre positivamente.
Un'altro sodalizio merita d'essere qui menzionato, anche se svolse un'attività più modesta e più limitata nel tempo e nelle possibilità. Si tratta della Società Operaia Cattolica di Mutuo Soccorso fra i parrocchiani di Merlengo, ch'ebbe inizio nel 1910 per merito dell'allora parroco don Edoardo Lanzarini e che aveva lo scopo di aiutare finanziariamente i soci in caso di malattia o di invalidità per infortuni sul lavoro. Tale sodalizio si estinse però verso il 1920.
Come si può ben comprendere, le predette iniziative avevano l'ammirevole intendimento di mitigare, se non addirittura di risolvere, situazioni economiche pesanti in tempi palesemente difficili. E' doveroso quindi un atto di riconoscenza verso i fondatori e gli amministratori di predette istituzioni i quali con coraggio ed abnegazione si prodigarono generosamente nell'affrontare problemi che preoccupavano una parte numerosa della popolazioneBuona parte delle notizie contenute in questo capitolo sono state fornite dal maestro Costantino Dalla Toffola al quale l'autore rivolge il proprio vivo ringraziamento..
Note:
Si rammenta con legittima soddisfazione che le nostre frazioni ebbero lavoratori assaiabili: basti ricordare il falegname Pietro Bianchin (detto Mancio), l'artista in ferro-battuto Cesare Bianchin (detto Mariano Mancio), i calzolai Durante e Giovanni Cecchetto, tutti di Merlengo; i muratori Visentin, Pretotto, Povegliano (detti Capòssoli) e Paronetto, di Paderno; Sartori e De Mattia di Ponzano Veneto.
Gli operai si recavano al lavoro a piedi. Partivano alle primissime luci dell'alba, con sottobraccio l'involto del magro pasto di mezzogiorno: polenta, formaggio ed una fetta di salame.
Ritornavano stanchi, a tarda sera, con le ossa rotte per il duro lavoro della giornata, svolto sotto rigida sorveglianza, e per la lunga trasferta a piedi, talorà con il maltempo imprevedibile.
La bicicletta, in quegli anni, era un lusso riservato solo a pochi fortunati che l'acquistavano con grossi sacrificiSi rammenta che la bicicletta primitiva era costituita da una grandissima ruota anteriore al cui centro v'erano i pedali e da una piccola ruota posteriore, rimpiazzata successivamente da un'altra più grande, ma sempre con i pedali sulla ruota anteriore; più tardi comparve il tipo avente la pedivella con la catena di trasmissione collegata alla ruota posteriore. Il sig. Giacinto Moro di Paderno possedeva un triciclo con il differenziale per le ruote posteriori..
L'alba li rivedeva nuovamente in cammino verso il posto di lavoro.
Le attività artigiane, malgrado qualche eccezione, difettavano assai. C'era qualche bottega: di carradore, di falegname, di fabbro, di calzolaio e di tessitura su telaio a mano. Dal 1910 al 1914 circa, in Merlengo, il barone Franz Niessner, nuovo proprietario della villa Pavan, di origine boema, realizzò una modesta officina meccanica ove svolgeva la propria attivitàFranz Niessner era rappresentante generale per l'Italia della fabbrica «Fenomobili» G. Killer Zittau e di altre case estere. La «Fenomobile» era un veicolo a tre ruote azionato da un motore a scoppio. Gli anziani di Merlengo ben ricordano il singolare mezzo di trasporto capace di muoversi ad una discreta velocità.. L'occupazione si limitava a pochi operai. In Paderno dal 1920 al 1967 fu attivo un mulino a palmenti del sig. Lorenzo Serena, che offriva lavoro ad un solo dipendente. Sempre in Paderno, dal 1927 al 1931 circa, un altro mulino venne attivato dal sig. Ettore Pretotto, pur questo con un solo operaio. Durante la seconda guerra mondiale, in Merlengo, in una rimessa della villa Pavan, si insediò la Ditta «Frigonubex», per la costruzione di motori a carbonella per veicoli, con un esiguo numero di dipendenti.
Durante la parabola invernale la disoccupazione per molti si presentava regolarmente. Talorà il Comune interveniva con l'istituzione di lavori e riattamenti stradali. Altre risorse valide non esistevano.
Le figliole degli operai e dei contadini trovavano occupazione come domestiche; altre donne facevano le lavandaie, quasi sempre a domicilio. In quei tempi, che possiamo chiamare eroici, espletavano il compito molto ingrato di lavare notevoli quantità di panni di famiglie signorili, impiegando talorà giornate intere, per guadagnare qualcosa. D'inverno poi, con il freddo intenso, e l'acqua gelida, ancora più cruciale si rendeva tale attività.
Non erano rare le donne che aiutavano i contadini nel lavoro dei campi, certamente dietro un po' di compenso in natura. Altre cercavano legna lungo le siepi o coglievano erbe mangerecce. Parecchie famiglie allevavano animali da cortile.
La popolazione però, per la maggior parte, traeva sostentamento dal lavoro della terra seppure le risorse agricole fossero scarse, sia per deficienza di mezzi, sia a causa del terreno sassoso ed alluvionale, sia per la ancora persistente forma di conduzione antiquata dei padroni.
Prima della divulgazione dei mezzi motorizzati nell'attività agricola e prima dell'uso dei concimi chimici, si ottenevano soltanto quattro quintali circa di frumento da un campo trevigianoIl campo trevigiano corrisponde a 5204 metri quadrati. contro gli attuali diciotto quintali. Su questa scarsa produzione incidevano altresì le inevitabili grandinate e siccità; pertanto s'imponeva, per tutte le famiglie, la necessità di risparmiare in previsione di anni avari di messi. Solo verso il 1920 giunsero dall'Austria aratri di ferro; nello stesso anno, negli Stati Uniti, Henry Ford costruì l'aratro a motore di grande potenza che si diffuse però nelle nostre zone solo dopo il secondo conflitto mondiale. Pertanto, in precedenza, il lavoro nei campi veniva svolto con sistemi ed attrezzi arcaici: buoi, mucche, cavalli ed asini, come nell'antichità, compivano le grandi fatiche del lavoro agreste.
Con l'avvento dei mezzi meccanici e motorizzati, migliorarono notevolmente le condizioni degli agricoltori ed aumentarono la quantità e la bontà dei prodotti.
Per quanto riguarda la concimazione, bisogna rammentare che lo stallatico risultava sempre insufficiente. Con grande ritardo rispetto a taluni paesi stranieri più progrediti, i nostri agricoltori si decisero ad impiegare i fertilizzanti chimici indispensabili per integrare efficacemente il concime naturale offerto dagli animali della stalla. Così pure la lotta contro i parassiti e le malattie delle piante iniziò qui con notevole indugio.
E' da tener presente che il bestiame impegnato nei lavori dei campi veniva nutrito insufficientemente e, per rimediare a questa scarsità, una parte di dette bestie veniva condotta a pascolare, nelle ore serali, lungo i sentieri ed i fossati. Altra iniziativa escogitata per sopperire alla carenza di foraggio era quella di recarsi a raccogliere erba nelle plaghe umide del basso trevigiano.
Assai lentamente vennero a formarsi piccole proprietà realizzate con i sudati risparmi di coraggiosi emigranti in terra d'Austria, di Germania, di Francia e d'America. Essi tornavano dopo anni di oscuri sacrifici ed acquistavano il poderetto, diventando contadini in proprio.
Parliamo dell'epoca in cui la maggior parte della terra risultava di proprietà di pochi signori, quali i Conti Persico, i Giacomelli, i Liberali, i Gobbato, i Cicogna, ed enti, quali le prebende parrocchiali, l'Istituto degli Esposti di Venezia e l'Ospedale Civile di Treviso.
Conducevano i terreni di predetti padroni famiglie patriarcali di trenta o quaranta persone che convivevano sul fondo padronale. Si possono qui annoverare le famiglie Zanatta, Benetton, Gagno e Michelin, che faticavano sulle terre dei Liberali; le famiglie Faccin e Mestriner che lavoravano sulle proprietà dell'Istituto degli Esposti; le famiglie Bortoletto e Mattiazzo, su quelle dell'Ospedale Civile; gli Allegro ed i Gola, su quelle dei Persico; i Paronetto, i Piovesan ed i Buffolo, su quelle dei Cicogna; i Piovesan, i Baseggio, i Durante ed i Bianchin (Mancio), su quelle dei Giacomelli.
Le terre delle prebende parrocchiali erano frazionatissime e date a piccoli fittavoli, le cui condizioni di vita, unitamente a quelle dei mezzadri, erano tali che mai riuscivano a sollevarsi dalle angustie.
Il fittavolo, se l'annata si concludeva negativamente a causa della tempesta, della siccità e d'altre calamità atmosferiche, era costretto a vendere un animale della stalla per far fronte a tutte le necessità ed obblighi. Il mezzadro doveva superare forse difficoltà ancora maggiori, in quanto sempre vigilato dal padrone ed ancor più dal «castaido» con visite inaspettate. Ogni eventuale iniziativa inoltre doveva essere approvata dal proprietario del fondo. Vigeva per lui l'obbligo delle «onoranze» al padrone, servitù di origine medioevale, oltre a quello della consegna della metà dei raccolti. Le «onoranze» avevano luogo a Pasqua con il dono delle uova, a San Pietro con i capponi ed a Natale con il tacchino. Inoltre vigeva l'obbligo del quarteseQuartese: onere reale che ogni agricoltore deve al parroco, corrispondente alla quarantesima parte dei frutti raccolti. .
I principali prodotti della terra erano il frumento, il granoturco, l'erba medica, il trifoglio, il ravizzone, la segala, l'avena, l'orzo ed il gelso. La vite era piuttosto trascurata, mentre, con grande cura, ogni famiglia badava all'orto, a volte ricavato anche da ritagli di terra demaniale.
Il terreno, si ripete, rendeva poco ed oltre alla accennata lavorazione effettuata con carenza di mezzi e di concimi bisognava fare i conti con le inclemenze del tempoE' da notare che quando, con il trascorrere del tempo, si perfezionarono gli attrezzi agricoli, quasi tutti i contadini, ancorati ai vecchi sistemi di lavoro, diffidavano delle nuove tecniche, che tra l'altro prevedevano un notevole impegno finanziario iniziale. Inoltre il rischio di incappare in annate rovinose dava loro il reale motivo per non impegnarsi in debiti consistenti..
Le stalle erano proverbialmente insufficienti; raramente arrivavano a fornire i quattro quintali di peso vivo per ettaro e quasi mai producevano la necessaria quantità di stallatico per una più redditizia coltivazione.
Per superare in qualche modo questo stato di disagio del mondo agricolo fu costruito, dopo la prima guerra mondiale, il Canale della Vittoria, grande opera di irrigazione che rianimò la nostra gente contadina.
Un buon prodotto di bozzoli sanava spesso la disastrata situazione rurale. Quando negli anni favorevoli (1924-1928) venivano pagati a trenta lire al chilo, ricavo più che remunerati vo, il contadino si dimostrava palesemente confortato e sereno, ma quando il prezzo cominciò a scendere sino ad arrivare a lire due nel 1932, l'allevamento del baco da seta declinò. I fattori negativi principali furono: la concorrenza massiccia cino-giapponese, le varie malattie del baco, come il giallume, la flaccidezza, il calcino, dovute alle razze non opportunamente incrociate, l'avvento del rayon e delle altre fibre sintetiche.
Venne così a mancare agli agricoltori una delle principali fonti di guadagno.
Risale a questo periodo inoltre il cambiamento dei patti di affitto. Si passò dal fitto a danaro al fitto misto. A seconda della feracità del terreno i fittavoli dovevano al padrone da 3,50 a 4 quintali di frumento per ettaro e da 1,50 a 2 quintali di granoturco. Il raccolto dell'uva e dei bozzoli veniva diviso a metà con il padrone, come a metà era stabilito il pagamento del canone dell'irrigazione. Le condizioni pertanto si rivelavano sempre più gravose tanto che spesso costringevano all'emigrazione, decisione questa sempre dolorosa, peraltro ostacolata dalla politica del governo di quei tempi; il fatto tuttavia non era nuovo, giacché assai diffuso anche in tempi precedenti (v. il capitolo «L'Emigrazione»).
A peggiorare le difficoltà della vita, sulla testa del contadino pendeva sempre il gravame delle tasse: tassa di famiglia, tassa sul bestiame, la citata quota parte del canone d'irrigazione, ecc. Pur tuttavia il contadino conservò sempre la sua dignitosa calma e, nonostante le ristrettezze, non negò mai un pugno di farina ai mendicanti che numerosi bussavano alla sua porta.
A sostegno del contadino e dell'operaio funzionava la Cassa Rurale, fondata per l'iniziativa energica di don Giuseppe Geròn, parroco di Paderno, nel 1982, che nello stesso anno ebbe il riconoscimento ufficiale dell'organo di tutela, la Banca d'Italia, e la denominazione: «Società cooperativa in nome collettivo Cassa Rurale di prestiti di Paderno Merlengo Ponzano Veneto». Non mancò perciò l'adesione dei parroci delle altre due frazioni.
Questa Cassa fu tra le prime a sorgere in provincia ed anche nei momenti difficili fu all'altezza della sua funzione assolvendo i compiti per cui era stata fondata. Aderirono alla sua istituzione piccoli coltivatori, sottoscrivendo azioni di modesto importo ragguagliate alle loro disponibilità. I depositi a risparmio venivano per lo più forniti da esercenti locali e da contadini abbienti. La sede rimase attiva sino al 1958, anno di rifondazione, presso la canonica di Paderno, ove si conserva ancor oggi tutta la documentazione delle operazioni compiute, relative a depositi e prestiti, e con esse la bandiera della societàIl promotore, Don Giuseppe Geròn, nativo di Villa del Conte (Padova), fu parroco di Paderno dall'll aprile 1885 al 7 marzo 1935, data della sua morte (V. Capitolo: «Persone da ricordare»). La Cassa Rurale ebbe come economo per mdlti anni don Angelo Callegarin, parroco di Ponzano..
Era gestita da un Consiglio di Amministrazione, da un Presidente eletto fra i soci, da un Segretario e da alcuni Revisori dei Conti. Il Consiglio si riuniva per approvare o negarela concessione di prestiti o per l'approvazione del bilancio. Ricorrevano alla Cassa per ottenere prestiti principalmente i contadini per le loro svariate necessità (reintegro di bestiame per la stalla, necessità familiari, risoluzioni di debiti, pagamento di imposte erariali piuttosto pesanti, ed altro). Venivano concessi prestiti anche a non soci purché muniti dei requisiti richiesti dal regolamento.
Gli interessi tanto positivi che negativi erano modesti.
Tuttavia la vera utilità risiedeva nel sistema di credito concesso. Esso permetteva ai contraenti una notevole diluizione dei pagamenti in base a clausole di reciproco favore.
E' risultato che tutti i debitori hanno sempre assolto i loro impegni.
La Cassa perse un po' alla volta la sua credibilità ed utilità dopo la scomparsa del suo fondatore avvenuta nel 1935. Tuttavia resse alle mutate condizioni economiche del secondo dopo guerra fino al 1958, anno in cui sopravvenne uno stato di crisi dei depositi e degli impieghi.
Quando fu previsto un intervento dell'Organo di Controllo, la Banca d'Italia, per l'eventuale soppressione dell'Istituto a causa della sua ridotta attività, più persone ritennero doveroso conservarlo, a patto che si adeguasse alle esigenze dei tempi, poiché l'economia del Comune si stava trasformando da rurale in industriale.
Allorché l'Amministrazione Comunale riuscì a far includere il Comune di Ponzano fra i comuni dichiarati zone depresse, si insediarono con facilità nel territorio numerose piccole industrie, quali le Officine Perissinotto, la Vetreria La Valle, le Industrie di Dolciumi De Nardo, le Officine Meccaniche STAM e Mestriner, il Maglificio Benetton, le Officine Meccaniche OM, le Confezioni San Remo, ed altre attività.
A seguito dell'incremento industriale ed artigianale si evidenziò una considerevole lacuna: Ponzano non disponeva di alcuno sportello bancario e tutti perciò dovevano ricorrere alle agenzie del capoluogo, piuttosto lontane. Si rendeva pertanto indispensabile in loco un servizio bancario efficiente ed in grado di svolgere tutte le operazioni creditizie.
A tale scopo, più persone, alla guida del cav. Luigi Martini, sindaco del Comune, si riunirono e decisero di portare avanti la Cassa Rurale con nuovi intenti, ritenendo validi i principi su cui si fondavano le Casse Rurali Italiane, collegate alla Artigiancassa di Roma.
Furono versate nuove quote sociali di cinquecento lire cadauna, si ricominciò con i depositi a risparmio e con la concessione di prestiti. Presidente fu eletto il cav. Luigi Martini e segretario il signor Costantino Dalla Toffola. La sede era in un locale della ex Casa del Popolo in Paderno.
Nell'anno 1960 i depositi ammontavano ad oltre otto milioni, nel 1961 a circa trenta milioni, nel 1962 a ben settanta milioni e più; nel 1964 la cifra raggiunse i 350 milioni. Gli impieghi erano tuttavia limitati in quanto la Cassa non poteva, a norma dello Statuto, operare oltre il terzo dei depositi. A questo periodo risale l'apertura dei conti correnti ed il primo correntista fu il sig. Ettore Frigo, esercente del luogo.
Per un servizio più agile e completo la sede si trasferì poi in un locale di via Pioppe ove fu dotata di un conveniente mobilio e di cassaforte.
Le prestazioni della Cassa trovarono nella popolazione il totale gradimento e la massima fiducia.
Fu nel 1963 che il Consiglio assunse due dipendenti a tempo pieno, sempre sotto la guida del Segretario sig. Costantino Dalla Toffola, il quale prestava la sua opera gratuitamente.
Ben presto l'entità dei risparmi aumentò oltre ogni previsione e si ottenne dall'organo superiore di controllo l'autorizzazione a concedere prestiti in misura superiore ad un terzo dei depositi, determinando in tal modo un incremento preoccupante della responsabilità.
Si rese così indispensabile un serio esame sul come affrontare e risolvere la situazione. Venne allora deciso di declinare la responsabilità maturatasi e proporre il subentro, al posto della lodevole e benefica Cassa Rurale, di un istituto che ereditasse le finalità della Cassa medesima ed in grado di soddisfare le molteplici esigenze di un Comune avviato ormai ad un incalzante sviluppo industriale.
Il 1° aprile 1967 in una assemblea straordinaria di tutti i soci venne optato per la incorporazione della Cassa Rurale nella Banca Popolare di Asolo e Montebelluna. L'attività della Cassa Rurale terminò il 30 novembre 1967 ed il 1° dicembre successivo iniziò il regolare servizio della Banca Popolare suddetta.
La sede fu collocata in via Cicogna in un confortevole locale del condominio Torresan (piazzetta dell'ex Municipio), in Paderno. Ne beneficiò soprattutto il mondo rurale che malgrado il profondo cambiamento potè ricorrere alle prestazioni della Banca Popolare quasi alle condizioni di prima.
Le azioni da lire 500 dei vecchi soci furono elevate dalla subentrante Banca a lire 5.000.
Con la fusione dei due istituti la Banca Popolare dispose un contributo generoso per le Scuole Materne Parrocchiali e diede la possibilità ai ragazzi della scuola dell'obbligo di concorrere a borse di studio annuali. Furono assegnati inoltre premi ad Enti vari, quali le unioni sportive locali, mentre le richieste di vario genere venivano e vengono tuttora esaminate sempre positivamente.
Un'altro sodalizio merita d'essere qui menzionato, anche se svolse un'attività più modesta e più limitata nel tempo e nelle possibilità. Si tratta della Società Operaia Cattolica di Mutuo Soccorso fra i parrocchiani di Merlengo, ch'ebbe inizio nel 1910 per merito dell'allora parroco don Edoardo Lanzarini e che aveva lo scopo di aiutare finanziariamente i soci in caso di malattia o di invalidità per infortuni sul lavoro. Tale sodalizio si estinse però verso il 1920.
Come si può ben comprendere, le predette iniziative avevano l'ammirevole intendimento di mitigare, se non addirittura di risolvere, situazioni economiche pesanti in tempi palesemente difficili. E' doveroso quindi un atto di riconoscenza verso i fondatori e gli amministratori di predette istituzioni i quali con coraggio ed abnegazione si prodigarono generosamente nell'affrontare problemi che preoccupavano una parte numerosa della popolazioneBuona parte delle notizie contenute in questo capitolo sono state fornite dal maestro Costantino Dalla Toffola al quale l'autore rivolge il proprio vivo ringraziamento..
Note:
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