A Spasso per le Antiche Osterie di Ponzano
Antica Osteria “Da Miceon”
Via Talponera, 32
La presenza della famiglia Michielon, più nota come Miceon, è documentata a Merlengo già dal 1866.
Fittavoli dei conti Vecchia, i Miceon disponevano in via Talponera di due costruzioni con relative adiacenze; una di queste era adibita ad abitazione e piccolo negozio provvisto di banco mescita e l’altro a magazzino.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 diversi documenti conservati dalla famiglia testimoniano, per quantità e qualità delle merci descritte, che i Miceon erano dediti ad un considerevole commercio ambulante che utilizzava, per le località vicine, un carrettino a due ruote, usato anche come bancarella, per i paesi del circondario, un carro trainato dal cavallo e questo anche nelle ricorrenze più importanti e nelle feste patronali, all’epoca molto sentite.
Dopo la 1a Guerra Mondiale, nel 1923, Pietro Angelo MichielonPietro Michielon compare nella Guida di Treviso e Provincia. Biennio 1926-1927 negli elenchi dei liquoristi e in quello dei vini. , nonno degli attuali proprietari, acquistò il terreno su cui si trovavano le vecchie costruzioni originarie e procedette poi nel 1929-30 alla demolizione e alla ricostruzione dell’edificio maggiore lasciando in piedi l’edificio più piccolo.
L’attività commerciale venne avviata dunque nel fabbricato maggiore, mentre l’altro edificio rimase magazzino e soprattutto cantina con locali che, grazie ai grossi muri, mantenevano la temperatura costante. Sulla facciata della nuova osteria comparve allora la scritta:
ALL’ANTICA OSTERIA MICHIELON - VINO BIRRA LIQUORI E COLONIALI.
Per completare, Pietro provvide all’acquisto di un terreno vicino all’osteria adatto a ciò che allora era indispensabile per un ambiente pubblico: il gioco delle bocce e della borella. Questo terreno verrà ceduto negli anni ’50 da Giovanni Battista NinoMichielon Giobatta compare nella Guida Economica della Provincia di Treviso 1957 negli elenchi del Commercio ambulante e in quello delle Trattorie- osterie. , padre degli attuali proprietari, per la costruzione delle case popolari – INA CASA.
Molto conosciuto e stimato nell’ambiente dei fornitori e dei grossisti, Nino, assieme al padre, poneva particolare attenzione e cura nella scelta dei vini: i bianchi di Valdobbiadene, S. Giovanni, S. Stefano, Col S. Martino, Colli del Soligo e di S. Pietro di Feletto fino a Conegliano. I rossi delle Carboncine di S. Biagio di Callalta.
Dopo la 2a Guerra Mondiale e dopo la morte di Pietro, cessò l’attività ambulante, venne riaperto il negozio di alimentari e riprese con maggior attenzione e cura il lavoro in osteria, dove si aggiunsero Clara Piovesan Ciareta, moglie di Nino e madre degli attuali proprietari, zia Giorgia e zia Germana come cuoca.
Sul banco dell’osteria non mancavano mai: uova sode, metà uova con cipolline, finocchi, sarde sott’olio e salame. A cadenza stagionale comparivano poi, con il freddo i folpi caldi, i bogoi con aglio, i caraboi e, in bella vista, una mela con infilzati gli spilli per estrarli dal guscio.
Questi erano gli stuzzichini per coloro che, tornando dal lavoro con la bicicletta o con i primi motorini “mosquito”, sostavano da Miceon per un bicchiere di vino, un boccone e due chiacchiere.
Con il bel tempo iniziavano le scampagnate di famiglie e gruppi di amici, così la famiglia Miceon provvedeva a preparare i primi piatti: museto (cotechino), salsicce e costicine fornite, assieme alla birra Pedavena e alle bibite, dalla ditta Angelo Da Pian.
Ma si potevano gustare anche i funghi chiodini trifolati e i prataioli personalmente scelti da Nino, poi le braciole e il carrè di maiale e il formaggio Vezzena accompagnato da pan de casada. La polenta, sempre molto apprezzata, veniva cotta il sabato e abbrustolita, all’occorrenza domenica, per accompagnare la bisata del Botteniga e del Sile; altra delizia erano i polli allevati in casa che fornivano la materia prima per il risotto alla sbirraglia. Altra specialità era il baccalà alla vicentina, allora il pesce secco veniva battuto sulla vera da pozzo dell’osteria con grossi martelli di legno che servivano per riassettare i cerchi delle botti che si allentavano quando erano vuote.
La ricetta del baccalà proveniva dal Santolo Nino ovvero Toni del Spin, con trattoria in via Inferiore a Treviso, che, data l’esperienza e la stima reciproca, formava coppia fissa con Nino per l’acquisto dei vini.
In autunno, nel prato di fronte all’osteria, Nino abbrustoliva le castagne con grande maestria e d’estate veniva preparato un tavolo in zinco per la vendita dell’anguria e il Caroeon, un fusto in ferro molto grande di 2 hl. appoggiato su un carro a 2 ruote.
Le augurie venivano tenute in acqua e rinfrescate, al bisogno, con pezzi di ghiaccio, “le stanghe”, che provenivano dalla “fabbrica del ghiaccio” a Porta Carlo Alberto a Treviso, queste servivano anche per raffreddare le bibite nella ghiacciaia, prototipo dei ben più comodi frigoriferi moderni.
Ospite abituale dell’osteria era il dottor Gastaldo: arrivava in bicicletta con il basco in testa e avvisava del suo arrivo suonando il campanello. Dopo aver mangiato l’anguria e fatto due chiacchiere, gustava un bicchierino di anice Fanoli, dell’omonima farmacia di Treviso, diretta dal dottor Bagioli, altro cliente abituale che arrivava con il “mosquito” grigio.
Altri clienti dell’osteria erano il signor Lao Mantelli, il signor Raffaele, il dottor Giovanni Pilla e Clorindo Dalla Nese, soci fondatori del Club delle Cento Barbe, assieme al dottor Gastaldo.
Frequentavano l’osteria, sempre in un clima di gioviale cordialità, anche il cavalier Dalla Toffola, il baritono Commendator Piero Biasini, Marcello Moro, don Giovanni Sernagiotto parroco di Ponzano, don Remigio Tessarolo parroco di Paderno e il suo aiutante don Osvaldo, che apprezzava particolarmente il vino Brachetto. Questo vino eccellente, perchè aromatico e dal profumo di rosa, era considerato una specie di simbolo e veniva fornito dalla ditta Contratto Giuseppe di Canelli assieme ad altri vini tipici della stessa zona di Asti-Acqui.
Tra gli avventori non mancavano “i musicisti”, infatti capitava spesso che, di ritorno dalle prove, nonostante l’ora tarda, si fermassero da Miceon per un bicchiere: Bepi Menuzzo, Bruno Trentin, Fulvio Rizzo e Nino Biscaro, un gruppo di amici suonatori di un piccolo complesso, più tardi noto come “Le Gondole”, che allietavano le feste. Da chi era presente in osteria arrivava la solita richiesta: “faseme na sonada” e allora partiva la musica, all’interno nella stagione fredda, d’estate sotto la pergola o davanti all’osteria. I vicini, per nulla infastiditi dal rumore, non di rado applaudivano gridando “Bravi!!!”. Spesso i fratelli Miceon si univano al gruppo dei musicisti, cantavano piuttosto bene, avendo ereditato questa dote da mamma Ciareta che aveva una voce soave e assai intonata.
Un gruppo musicale speciale era poi quello costituito da Bepi Menuzzo alla chitarra, Lamberto Boin, alla mandola e Lao Mantelli al violino: moltissime le ore passate in serena armonia, al suono di belle melodie e di canti speciali eseguiti dal signor Villardi, allievo del maestro Serafin!
Il vero collante di quelle serate musicali era Berto Forner, chiamato “zio Berto” da tutti, in realtà zio soltanto dei signori Fantin di Treviso e D’Alessi di Castagnole, trasportava il pane con la sua fascinosa giardinetta a doghe di legno, era un uomo gioviale, dalla forte personalità, certamente indimenticabile.
L’osteria “da Miceon” era anche un punto di riferimento in occasione delle tradizionali feste religiose che scandivano il calendario di un tempo: con i lumini sui davanzali del locale per il Venerdì Santo, i drappi rossi sui balconi in occasione del Corpus Domini, i festeggiamenti per la Madonna del Carmine e per la festa del Santo Patrono S. Bortolo. L’osteria in queste ricorrenze era affollatissima, in particolare per la Sagra del riso venivano preparati tanti tini pieni di bibite, birre e vino rinfrescati dal ghiaccio. Nei pressi del locale, con il permesso di Nino, sostava per l’occasione il carrettino dei giocattol della Signora Jone Bittesnik Gambin, una profuga istriana di Fiume. Montava, aiutata dal figlio, il suo baldacchino pieno di delizie per i bambini, vicino all’osteria, in modo da potersi collegare all’elettricità per la luce serale. Ogni giorno, per la gioia di tutti i bambini, faceva pescare dalla valigia delle sorprese, che non erano altro che dei cartocci di giornali arrotolati con giocattolini o caramelle.
L’osteria fungeva anche da luogo fermoposta per i giostrai che si fermavano con le loro giostre nel prato di fronte alle scuole elementari per il periodo della sagra paesana, infatti ai Miceon venivano affidati la corrispondenza e i bollettini in entrata e in uscita.
Inoltre l’osteria era importante perché posto telefonico pubblico, sempre a disposizione di giorno e di notte per chiamate importanti, il telefono si trovava in una massiccia cabina desonorizzata nella stanza dietro al bancone e prima del negozietto con scaffali e cassettoni in legno, alla porta un sonoro campanello.
Nel locale affollato, fumoso e chiassoso arrivò nel 1955 anche la televisione, una delle prime del paese, appoggiata ad una mensola in alto alla sinistra dell’entrata in modo da poter essere vista da tutti, fu un richiamo irresistibile per molti.
Dopo alterne vicende, nel 1967 la famiglia Miceon continuò il lavoro solo con il negozio di alimentari di fronte all’osteria, che fu affittata alla signora Rita Schiavon e al marito Carlo Durante.
Rinnovati i locali, oggi la trattoria-pizzeria è gestita dai fratelli Cuomo che portano avanti con soddisfazione il nome della vecchia Osteria “da Miceon”.
Note:
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