Ponzano Paderno Merlengo - ieri e oggi
LE CASE
Facciamo precedere al discorso delle case quello dei «casóni».
«I "casóni" erano le vecchie abitazioni rurali (ne esistevano molti specialmente nelle zone paludose della nostra provincia) e lagunari, formati da una struttura in legno che sosteneva un tetto di paglia; i muri erano in genere di sassi, ma a volte anche di tavole o tronchi come le isbe russe; le finestre erano piccolissime per evitare dispersioni di calore e il camino era posto oltre il fondo, per evitare incendi, oppure nel mezzo per riscaldare al massimo l'ambiente. I "casóni" avevano pochi locali, di solito uno superiore dove si tenevano le provviste per uomini e animali, e uno inferiore dove si viveva. Il pavimento era quasi sempre-di terra battuta. Il tetto di paglia doveva essere rinnovato quasi annualmente per evitare che marcisse; vi provvedevano i "casonanti", artigiani ambulanti che sostituivano le parti di paglia compromesse con speciali legacci» G. GARATTI, Piccola enciclopedia del folclòre Trevigiano Usi costumi tradizioni, con la collaborazione di PIER-ALVISE BUSATO, Edizioni «Sport Trevigiano», T.E.T., Treviso, 1983..
Avevano il tetto, a due od a quattro spioventi, molto inclinati per favorire la discesa dell'acqua piovana.
Da decine d'anni sono scomparsi dalle nostre zonej di essi è rimasto solo il ricordo dei nostri vecchi.
Normalmente i «casóni» erano le abitazioni dei poveri contadini seppure sin dal '500 in poi con l'estendersi delle grandi proprietà terriere dei ricchi veneziani venivano costruite case rurali strutturate in maniera molto diversa e più rispondenti alle esigenze pratiche e pertanto più ampie ed ospitali. Queste conservarono però l'uso di erigere il focolare con il camino sporgente verso l'esterno, caratteristica tuttora visibile in diverse case.
Per innalzare i muri si usava malta piuttosto magra, cioè con poca calce, gli stessi si costruivano in preminenza con file di sassi alternati da una riga di pietre: solo gli angoli venivano eretti in mattoni per dare maggiore solidità all'edificio.
Il pavimento era in generale de ter a batùa o di tavelle o di mattoni. Questo dipendeva dalle risorse finanziarie del padrone.
Normalmente l'altezza delle case risultava di due piani e sopra a questi il granaio ed il fienile.
I locali del portico, cucina, camere, cantina e stalla, risultavano opportunamente disposti secondo le necessità.
La cucina era uno stanzone frequentato da tutti Ì componenti della famiglia nelle ore dei pasti. Il suo arredamento si adattava alle esigenze pratiche della vita domestica quotidiana: una grande tavola al centro con le relative sedie o panche, una credenza, una vandùja (madia), un secèr (secchiaio), uno scolapiatti, gli utensili indispensabili alla massaia per cuocere i cibi e per il disbrigo delle faccende domestiche. Alle travi del soffitto erano fissati dei ganci per appendervi i prodotti della macellazione del maiale: salami, museti (cotechini), ossocolli, sopresse, pancette e lugàneghe (salsicce). In fondo alla cucina c'erano l'ampio foghèr ed il camino. Sulla mensola della napa erano disponibili vari oggetti: lume a petrolio, candela, cógoma e qualche teglia
Appesi alle pareti ornavano la cucina recipienti di rame ben luccicanti, orgoglio delle brave massaie (secchi, pentole, scaldini, passadore).
In ogni camera per dormire, oltre al letto, al comò e all'eventuale cassone, non mancavano mai la piletta od acquasantiera ed il crocifisso od altra immagine sacra con a fianco la candela de la Sariòla o Cenala benedetta il due febbraio. Il crocifisso o l'immagine predetti venivano di solito appesi alla testa del letto assieme alla candela.
Da ricordare infine la rituale presenza del ramoscello d'ulivo benedetto il giorno delle Palme, il quale veniva bruciato come atto propiziatorio con la fiammella della candela della Sariòla nelle occasioni di gravissime calamità, disgrazie, cattivi temporali, ecc.
Non tutte le stanze disponevano dei comodini ed in tale caso i vasi da notte venivano posti sotto il letto.
Qualche famiglia disponeva del lavandìn in ferro o in legno a treppiede con il caìn (catino), la bròca, un pezzo di sapone da bucato ed un rùvido canovaccio come asciugamano.
Passiamo ora alla cantina ove erano sistemate con cura le botti, mentre il tino, il torchio e i bigonci venivano accantonati nel barco od in altra baracca poco discosta.
La soffitta della casa serviva per la conservazione delle granaglie (granèr) e del fieno (tèza). Una parete separava i due ambienti.
Ai medesimi si accedeva mediante una scala a pioli. Quasi sempre la tèza comunicava con la sottostante stalla tramite una bòtola per far scendere il fieno.
All'esterno della casa, alquanto lontani e quasi sempre adiacenti al letamaio, si trovavano il cesso di canne di sorgo ovvero di rozza muratura, el stàgolo del porsèl t el punèr delle galline.
L'acqua per tutti gli usi veniva attinta dal pozzo per mezzo del bilanciere o del mulinello. Da notare che tale acqua non era sempre potabile o adatta ad usi igienici.
Accanto al pozzo non mancava mai el lebo de e bestie o pila (abbeveratoio) per eli animali della stalla.
Altro esempio di costruzione del tempo a cui ci riferiamo erano le povere case del ceto operaio. Esse venivano costruite con sassi e mattoni, quasi sempre a due piani e con il tetto di tegole.
Tanto nelle case degli agricoltori come in quelle degli operai, nelle varie stanze mancavano i soffitti e le rudimentali travature facevano bella vista.
Il pavimento delle stanze del piano superiore era costruito con tavole di legno, con o senza incastro, inchiodate su travi portanti. Accadeva però che con l'invecchiamento delle tavole si formavano delle fessure che a lungo andare ospitavano polvere, tarli e pulci.
In queste povere abitazioni trascorrevano la loro laboriosa esistenza i nostri vecchi confortati dalla figliolanza e sorretti dal dono della fede.
«I "casóni" erano le vecchie abitazioni rurali (ne esistevano molti specialmente nelle zone paludose della nostra provincia) e lagunari, formati da una struttura in legno che sosteneva un tetto di paglia; i muri erano in genere di sassi, ma a volte anche di tavole o tronchi come le isbe russe; le finestre erano piccolissime per evitare dispersioni di calore e il camino era posto oltre il fondo, per evitare incendi, oppure nel mezzo per riscaldare al massimo l'ambiente. I "casóni" avevano pochi locali, di solito uno superiore dove si tenevano le provviste per uomini e animali, e uno inferiore dove si viveva. Il pavimento era quasi sempre-di terra battuta. Il tetto di paglia doveva essere rinnovato quasi annualmente per evitare che marcisse; vi provvedevano i "casonanti", artigiani ambulanti che sostituivano le parti di paglia compromesse con speciali legacci» G. GARATTI, Piccola enciclopedia del folclòre Trevigiano Usi costumi tradizioni, con la collaborazione di PIER-ALVISE BUSATO, Edizioni «Sport Trevigiano», T.E.T., Treviso, 1983..
Avevano il tetto, a due od a quattro spioventi, molto inclinati per favorire la discesa dell'acqua piovana.
Da decine d'anni sono scomparsi dalle nostre zonej di essi è rimasto solo il ricordo dei nostri vecchi.
Normalmente i «casóni» erano le abitazioni dei poveri contadini seppure sin dal '500 in poi con l'estendersi delle grandi proprietà terriere dei ricchi veneziani venivano costruite case rurali strutturate in maniera molto diversa e più rispondenti alle esigenze pratiche e pertanto più ampie ed ospitali. Queste conservarono però l'uso di erigere il focolare con il camino sporgente verso l'esterno, caratteristica tuttora visibile in diverse case.
Per innalzare i muri si usava malta piuttosto magra, cioè con poca calce, gli stessi si costruivano in preminenza con file di sassi alternati da una riga di pietre: solo gli angoli venivano eretti in mattoni per dare maggiore solidità all'edificio.
Il pavimento era in generale de ter a batùa o di tavelle o di mattoni. Questo dipendeva dalle risorse finanziarie del padrone.
Normalmente l'altezza delle case risultava di due piani e sopra a questi il granaio ed il fienile.
I locali del portico, cucina, camere, cantina e stalla, risultavano opportunamente disposti secondo le necessità.
La cucina era uno stanzone frequentato da tutti Ì componenti della famiglia nelle ore dei pasti. Il suo arredamento si adattava alle esigenze pratiche della vita domestica quotidiana: una grande tavola al centro con le relative sedie o panche, una credenza, una vandùja (madia), un secèr (secchiaio), uno scolapiatti, gli utensili indispensabili alla massaia per cuocere i cibi e per il disbrigo delle faccende domestiche. Alle travi del soffitto erano fissati dei ganci per appendervi i prodotti della macellazione del maiale: salami, museti (cotechini), ossocolli, sopresse, pancette e lugàneghe (salsicce). In fondo alla cucina c'erano l'ampio foghèr ed il camino. Sulla mensola della napa erano disponibili vari oggetti: lume a petrolio, candela, cógoma e qualche teglia
Appesi alle pareti ornavano la cucina recipienti di rame ben luccicanti, orgoglio delle brave massaie (secchi, pentole, scaldini, passadore).
In ogni camera per dormire, oltre al letto, al comò e all'eventuale cassone, non mancavano mai la piletta od acquasantiera ed il crocifisso od altra immagine sacra con a fianco la candela de la Sariòla o Cenala benedetta il due febbraio. Il crocifisso o l'immagine predetti venivano di solito appesi alla testa del letto assieme alla candela.
Da ricordare infine la rituale presenza del ramoscello d'ulivo benedetto il giorno delle Palme, il quale veniva bruciato come atto propiziatorio con la fiammella della candela della Sariòla nelle occasioni di gravissime calamità, disgrazie, cattivi temporali, ecc.
Non tutte le stanze disponevano dei comodini ed in tale caso i vasi da notte venivano posti sotto il letto.
Qualche famiglia disponeva del lavandìn in ferro o in legno a treppiede con il caìn (catino), la bròca, un pezzo di sapone da bucato ed un rùvido canovaccio come asciugamano.
Passiamo ora alla cantina ove erano sistemate con cura le botti, mentre il tino, il torchio e i bigonci venivano accantonati nel barco od in altra baracca poco discosta.
La soffitta della casa serviva per la conservazione delle granaglie (granèr) e del fieno (tèza). Una parete separava i due ambienti.
Ai medesimi si accedeva mediante una scala a pioli. Quasi sempre la tèza comunicava con la sottostante stalla tramite una bòtola per far scendere il fieno.
All'esterno della casa, alquanto lontani e quasi sempre adiacenti al letamaio, si trovavano il cesso di canne di sorgo ovvero di rozza muratura, el stàgolo del porsèl t el punèr delle galline.
L'acqua per tutti gli usi veniva attinta dal pozzo per mezzo del bilanciere o del mulinello. Da notare che tale acqua non era sempre potabile o adatta ad usi igienici.
Accanto al pozzo non mancava mai el lebo de e bestie o pila (abbeveratoio) per eli animali della stalla.
Altro esempio di costruzione del tempo a cui ci riferiamo erano le povere case del ceto operaio. Esse venivano costruite con sassi e mattoni, quasi sempre a due piani e con il tetto di tegole.
Tanto nelle case degli agricoltori come in quelle degli operai, nelle varie stanze mancavano i soffitti e le rudimentali travature facevano bella vista.
Il pavimento delle stanze del piano superiore era costruito con tavole di legno, con o senza incastro, inchiodate su travi portanti. Accadeva però che con l'invecchiamento delle tavole si formavano delle fessure che a lungo andare ospitavano polvere, tarli e pulci.
In queste povere abitazioni trascorrevano la loro laboriosa esistenza i nostri vecchi confortati dalla figliolanza e sorretti dal dono della fede.
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