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«EL PORÇEL DE SANT’ANTONI»
Nel passato vigeva una lodevole iniziativa conosciuta con il nome di «porçel de sant’Antoni», in onore di s. Antonio Abate, patrono degli animali. L’usanza, tramontata circa vent’anni fa, consisteva in questo: la fabbriceria procurava un maialino e lo consegnava ad una famiglia contadina che, dopo averlo alimentato alcuni giorni, s’incaricava di passarlo ad una seconda, questa a sua volta ad una terza e così di seguito a tutte le famiglie contadine della parrocchia, finché l’animale diventava maturo per la macellazione. A questo punto i fabbriceri ne disponevano la messa all’asta ovvero l’estrazione a sorte in una lotteria. Il ricavato veniva destinato ad opere di beneficenza.
Sembra però che predetta consuetudine servisse anche per ottenere il grasso con cui curare una forma di «herpes» meglio nota come «fuoco di s. Antonio», che nei tempi a cui ci riferiamo era piuttosto frequente. In seguito tale pratica terapeutica cadde in disuso; fu mantenuto però il costume di allevare ogni anno il maiale per compiere, come detto, opere di carità.
La tradizione del maiale di sant’Antonio risale agli egizi e ai greci che associavano il maiale alla fecondità e all’abbondanza. Il cristianesimo dei primi secoli, come in altri casi, ha ereditato infatti certe consuetudini pagane e, svestitele della superstizione, le ha fatte proprie a scopo di beneG. GARATTI, «Folclòre trevisano», T.E.T., Treviso 1983, p. 81..
Note:
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