Le Rondini di Ponzano Veneto

Storia di una rondine senza tetto

Gagno Secondo è nato a Ponzano Veneto nel 1930.
Emigrato in Australia nel 1956, ora è in pensione e passa l’estate a Paderno per tornare nuovamente in Australia, nella stagione calda.

Intervistato il 21 giugno 2011, da Pietro Pizzolon, presenti la moglie O’Sullivan Jill, Luigino Righetto e Alessandro Bianchin.

L’infanzia e la scuola
Nella mia numerosa famiglia di dieci figli, io ero l’unico maschio.
Mio fratello Antonio mai conosciuto, del 1909, era morto nel 1918.
I miei genitori mi hanno chiamato Secondo perché ero il secondo maschio della famiglia.
Dopo tanti anni, siamo ancora vivi solo io e mia sorella Noemi.
Anche Lei é in Australia nel Queesland, ma è lontana da casa mia.
E’ vedova e invalida ed è assistita dai suoi due figli che parlano ancora il dialetto veneto.
La casa dove abito qui in Italia e che presto sarà abbattuta, è stata costruita da mio nonno nel 1820. Era senza fondamenta e naturalmente senza concessione. Prima ancora era una baracca di legno.
Quando ero bambino la mia famiglia si è trasferita nella casa di mio cugino Roberto Zamprogno, figlio di mia zia Emilia Massolin, (professore di lettere e direttore della Biblioteca di Treviso).
Lui aveva molta paura della guerra.
Occupavamo la casa in affitto ora della famiglia Pavan in Via Colombera a Merlengo. Ho frequentato l’asilo e le prime classi elementari presso Villa Nina davanti alla chiesa. A scuola si facevano i doppi turni e tutti andavamo a piedi anche attraverso i campi.
La mia maestra era la signora Trizzino Giuseppa, una meridionale, moglie del segretario Comunale Martellone Pasquale.
Era grande amica del postino Guido Duronio. Lei mi diceva sempre “Quando diventerai grande trovati una brava ragazza e fermati qui in paese”. Raccomandazione inutile.

Il ricordo dei genitori
Mio padre è stato nominato Cavaliere di Vittorio Veneto per aver partecipato alla prima guerra mondiale. Dopo il servizio militare ha fatto il barbiere a Paderno, aiutato da mia sorella Mafalda. Era l’unico barbiere del paese. Allo scoppio della guerra tutti furono richiamati alle armi.

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La famiglia Gagno al completo. Da sinistra:Anna Noemi 1924, Guglielmina 1916, Ida 1914, Flavia 1905, mamma Massolin Rachele e papà Luigi Gagno, Mafalda 1911, Emilia Giovanna 1921, Rina 1918, Secondo 1930, Elisa 1927

A lui non è mai arrivata la cartolina di precetto a causa di un disguido del Distretto Militare che lo aveva depennato confondendolo con Gagno Luigi di Girolamo, classe 1880 anche lui abitante in Via Pallade.
Poiché tutti dovevano comunque presentarsi alle armi, mio padre fu considerato un disertore, avviato alle armi e condannato alla fucilazione.
L’Onorevole Cicogna, saputo del fatto, si è interessato al caso e ha scoperto l’errore del Distretto. E’ intervenuto immediatamente per testimoniare la sua innocenza, mentre il plotone si stava preparando per l’esecuzione.  Salvatosi una prima volta, papà fu mandato al fronte dove nella disfatta di Caporetto è riuscito miracolosamente a portare a casa la pelle.
Durante la ritirata correva ed era esausto. Per non essere visto dai Tedeschi si è arrampicato su di un gelso dove vi è rimasto per quattro giorni. Nottetempo è poi riuscito ad attraversare a guado il Tagliamento e tornare a casa.
Dopo i fatti della ritirata, non avendo sue notizie da tempo, a casa lo credevano morto.
Ricordo ancora il suo pianto quando mi raccontava questi fatti.
Mia madre Rachele era una brava cuoca. Cucinava a Villa Ricci quando la marchesa organizzava le feste per i suoi nobili ospiti.
Mi commuovo ancora pensando al suo pianto quando ha saputo che volevo emigrare in Australia.
Ero l’unico maschio della famiglia. A Lei dispiaceva tanto che io partissi. Mi conosceva bene e sapeva che sarei andato a fare dei lavori pericolosi.
Prima di partire piangendo mi ha detto: “appena arrivi guarda nei giardini se c’è la gramigna, ma mi raccomando cerca di non lavorare la terra”. Voleva dirmi che dovevo trovarmi un lavoro meno faticoso.
Il distacco è stato doloroso anche per me. (si commuove e interrompiamo per un po’ la chiaccherata)
Giunto in Australia, per molto tempo la sera, al tramontar del sole, mi sembrava di sentirla piangere.
Essere lontani da casa e sentire il pianto di tua madre è molto doloroso. E’ allora che ho capito che cos’è la nostalgia.
Al mio primo rientro in Italia mi ha colpito vedere mia madre seduta sotto al portico in legno con la copertura di lamiere arrugginite.
Mi era sembrata tanto povera e sola.
D’istinto per farle un regalo e rendere l’ambiente più confortevole, l’ho demolito e ricostruito in mattoni
L’ultima volta che l’ho vista, poco prima che morisse, era in ospedale.
Nonostante il suo desiderio che io restassi in Italia, mi ha raccomandato di tornare in Australia perché là era la mia casa dove avevo moglie e figli e non dovevo abbandonarli.
E’ stata grande mia madre.

Il periodo bellico
Allo scoppio della seconda guerra mondiale ho sospeso gli studi e aiutavo mia padre nei campi.
Dopo l’8 settembre per me sono cominciati i guai.
Fascisti e Tedeschi si accanivano contro di noi. Ci fermavano all’incrocio fra Via Colombera e Via Morganella per sapere dove erano nascosti dei Partigiani che loro cercavano.
Io sapevo dov’erano ma sono sempre stato muto come un pesce.
Per questo forse me li sono inimicati o forse conoscevano le vicende di mio padre nella prima guerra e volevano vendicarsi.
Non ho mai capito il perché di tutto questo accanimento.
E’ stato allora che per scappare alle imboscate ho cominciato a correre.
I ricordi che più mi sono rimasti impressi nella memoria del periodo bellico sono il bombardamento di Treviso del 7 aprile 1944 e il crepitio delle bombe lanciate dall’aereo Pippo e cadute lungo Via Colombera.
Numerosi profughi sono venuti da Treviso a Ponzano Veneto e fra questi mio cognato Antonio Rizzoli, marito di mia sorella Santa Rina.
Abitava a Treviso in Piazza Pola. Era direttore dell’ospedale di Treviso. Ricordo anche il giudice della corte d’Appello di Venezia, dottor La Monaca, originario dell’isola d’Ischia, per le sue paure e la parlata meridionale. Era ospite di Durante Emilio, marito di mia zia Maria Assunta. In seguito il dottor La Monaca è stato anche presidente di seggio nel referendum popolare del 2 giugno 1947.
Mi è rimasto impresso anche il racconto del ritrovamento del cadavere di un partigiano davanti al cimitero di Merlengo.

Un giorno sono stato catturato dai Tedeschi in aperta campagna e portato nelle scuole di Castagnole dove era tenuto prigioniero un Russo impiegato presso la famiglia di Piovesan Vittorio in Via Mure.
Siccome ero reticente e non rispondevo alle loro domande, mi hanno torturato con delle punture e dopo avermi rapato, con il catrame mi hanno disegnata una svastica nera in testa.
Tanta era la paura di essere nuovamente catturato che dopo questi fatti dormivo nel fienile davanti a casa.
Conservo tanti brutti ricordi della guerra e avevo il terrore che ne scoppiasse un’altra. Questo è stato il principale motivo che mi ha spinto a
emigrare. L’unico bel ricordo di allora che mi porto dentro è un forte sentimento di riconoscenza nei confronti del parroco di Merlengo, don Pietro Filippetto.
Lui ci ha aiutato molto. Senza di lui la mia famiglia non ci sarebbe più.

Lo sport
Avevo diversi soprannomi:
“tete bau” perché apparivo e scomparivo;
“viscia” perché passavo correndo e sentivano fischiare il vento;
“magna e via” perché ero sempre in movimento.
Anche in Australia mi dicevano: “ma tu corri come il vento!”
Vendevo le pelli di coniglio per raggranellare qualche soldo e andare a ballare alla Serenella, con l’amico Ijeto Tasca.
Spesso tornavo a casa correndo a piedi per allenarmi.
Dopo la guerra sono stato uno dei primi tesserati a gareggiare con l’ Unione Sportiva Cicogna affiliata al CSI di Treviso.
L’amico Alfeo Povegliano, poi emigrato in Canada, mi portava a gareggiare dappertutto, da Conegliano a Vittorio e Castelfranco Veneto. Andavamo con l’ape di sua nonna che raccoglieva stracci.
Nel 1953 ho corso una maratona con il Cecoslovacco Emil Zátopek a Trento e una in Tirolo con Malerba, del Coin Mestre.
Grandi atleti dell’epoca.
Nel 1956 si svolsero a Melbourne i Giochi della XVI Olimpiade.
Ero già in Australia. Un gruppo di Italiani fra i quali Menenio Bortolozzi, appassionato di atletica, mi ha presentato un preparatore atletico romano. Questi mi ha iscritto alle olimpiadi, dove ho corso la maratona, vinta dal francese Mimoum. Zátopek che era stato da poco operato di ernia e arrivò 6°. Io mi sono classificato 22°.

Il primo lavoro e la partenza
Subito dopo la guerra ho frequentato la IV e la V elementare presso la casa di Massolin Virginio in Via Ruga a Paderno dove il maestro Antonio Zanatta del 1911, dava gratuitamente lezioni private.
Il mio primo lavoro è stato presso l’impresa edile di Virginio Sbeghen, che abitava alle Corti di Treviso. Da lui ho imparato molto.
Sono diventato un bravo carpentiere.
Lavoravo tanto e guadagnavo anche bene.
Il mio sogno però era di partire per quella che consideravo una piccola isola al di là del globo, chiamata Australia.
Pensavo che là non sarebbe mai arrivata la guerra.
Un giorno per prendere informazioni, vado dai Sindacati a Treviso.
Uno di loro che conosceva il mio spirito di avventura, mi propose di arruolarmi nella Legione Straniera e andare in Corea.
Potevo guadagnare fino a 25 sterline la settimana.
La paura della guerra e i pianti dei miei genitori, mi hanno convinto a desistere e sono tornato al vecchio sogno dell’Australia.
Finalmente il 2 giugno 1956, festa della Repubblica, parto da Genova con la nave Surriento.
Don Filippetto che ho salutato prima di partire, ha approvato la mia decisione, considerato anche quanto mi era successo durante la guerra.
Mi ha raccomandato di stare vicino ai parenti e ai paesani per superare le difficoltà della lingua e di farmi una bella famigliola.
Mentre parlava mi offriva un bicchierino di marsala.
Lui mi ha sempre voluto bene anche se non frequentavo tanto la chiesa. Mi diceva: “hai cervello ma non vuoi adoperarlo. Ho fiducia in te. Non buttarti nella brutta strada.” Sono partito con una lettera di richiamo di Bruno Zanatta nato nel 1922. Era fratello di Igino e Pierina figli di Pietro e Zago Maria, della famiglia dei “Pierassi” di Merlengo. Negli anni trenta erano stati fra i primi cittadini di Ponzano Veneto ad emigrare in Australia.
Là c’era anche mio cognato Piovesan Marino, marito di Anna Noemi,  (detto pastrocio), anche lui richiamato dai Zanatta.

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La nave Surriento fu la prima nave passeggeri della Flotta Lauro. Già nave da guerra, fu acquistata nel 1949 e ristrutturata per il trasporto di migranti in Australia. Poteva trasportare 187 persone in prima classe e 868 passeggeri in classe turistica.

Da Genova ho fatto scalo a Napoli, Messina e Port Said all’imbocco del Canale di Suez. Attraversato il canale, l’oceano si è fatto grosso.
La nave sembrava una foglia sbattuta dal vento. Sulle stive i passeggeri erano accalcati come i bachi da seta. Abbiamo fatto scalo a Colombo e finalmente dopo un mese e mezzo, il 19 luglio sono arrivato a Fremantle, una città alla foce del fiume Swantini.
All’arrivo mi hanno controllato i documenti e mi sono fermato a Sidney.
Ero ospite di Antonio Giovanni Biasetto classe 1932, partito negli anni 50, che abitava in via Bellato a Merlengo.
Faceva il calzolaio dai Durante, a Merlengo.
Sono stato da lui una settimana e là ho ripreso a correre a piedi per la città dopo essere rimasto fermo per tanto tempo nella nave.
Da Sidney ho raggiunto in treno, a Stantorphe, mio cognato che mi ha ospitato con Bruno Zanatta.
Due settimane dopo, ho trovato lavoro ed ero molto contento.

Il lavoro in Australia
Il mio primo lavoro è stato alle dipendenze di una impresa stradale.
Ho lavorato in una galleria con altre trentasette persone.
Eravamo di ventisette nazionalità diverse. Nessuno capiva niente. Essendo lontani dalla città, mi sono sistemato in una tenda anche se era molto freddo. Per magiare andavo a caccia di conigli. Sono stato sempre solo. Avevo come vicino un vecchio che mi offriva del the scaldato in un bidone. Non c’erano servizi e non c’erano né candele né petrolio. Quando scendeva la notte, si dormiva. Naturalmente mi arrangiavo a fare tutti i lavori di casa.
Dopo due mesi sono stato assunto in un macello.
Arrivavano centinaia di camion carichi di bestiame che veniva macellato. Io facevo il lavoro peggiore. Scaricavo budella, teste e sangue in un forno dal quale ricavavano concime per la campagna.

Per partecipare alle Olimpiadi di Melbourne del 1956 come ho raccontato prima, mi sono allontanato dal lavoro senza avvisare nessuno.
Naturalmente al mio ritorno ero già licenziato.
Ho trovato subito una nuova occupazione presso un forno per l’essicazione del tabacco. Successivamente ho tagliato tanta canna da zucchero e tante teste di serpenti. Mi sono adattato a fare tanti lavori e tutti lavori pericolosi perché volevo guadagnare molti soldi.
Mi pagavano bene ma ero sempre nei guai.
I miei stipendi venivano depositati in banca a Stantorphe.
La mia esperienza di ferraiolo e carpentiere in Italia, mi ha portato nel 1957/58 nel nord Queesland presso la famiglia italiana dei Sari che erano originari di Annone Veneto. Qui ho cominciato a lavorare nei cantieri edili con imprese che costruivano grattacieli.
Contemporaneamente acquistavo vecchie baracche di legno divorate dalle formiche e le ristrutturavo.
Guadagnavo più soldi in questa attività che alle dipendenze.
Ho percorso anche 120 miglia per andare al lavoro. Partivo il lunedì mattina alle quattro e tornavo il venerdì sera con altri quattro amici.
In Australia le distanze non si contano.
Non è una piccola isola come pensavo, ma un grande continente.
Per un periodo ho costruito silos per le granaglie.
Per lavoro sono andato anche in altri stati come a Singapore.
Fortunatamente non ho mai avuto né malattie né subìto infortuni.
Riuscivo a mantenermi e anche a mandare a casa qualcosa.
Sono tornato in Italia per due anni e mezzo e ho lavorato come operaio nella falegnameria di Angelo Pizzolon.
Ho cambiato tanti lavori, ma ero giovane, mi piaceva lavorare e non sentivo la fatica.

La famiglia, gli amici e la religione
A un ballo a Brisbane ho conosciuto mia moglie, nata in Australia ma di origine Irlandese. Ero molto impacciato anche perché non conoscevo la lingua, ma alla fine ci siamo capiti lo stesso.
Mi sono sposato nel 1960. Sono stato uno dei primi italiani a sposare una Irlandese. Tutti pensavano a un divorzio. Invece assieme abbiamo avuto quattro figli (Caterina, Paolo, Giovanna e Lorenzo) e siamo ancora uniti. I figli che sono nati in una terra felice hanno capito i miei tanti sacrifici.
Ho voluto farli studiare tutti, visto che io non ho potuto farlo.
Li ho mandati anche alle scuole private, per imparare l’italiano.
Sono convinto che sapere due lingue è come saper fare due mestieri.
Ho sempre mantenuto i contatti con la famiglia in Italia e ora sono ancora seduto sulla terra dei miei vecchi. Visto che sono in pensione, torno spesso in Italia per brevi periodi di vacanza.
Nel tempo libero partecipavo alle feste degli italiani all’estero.
Oltre ai paesani ho conosciuto tanti Italiani provenienti dall’Alto Adige e da Pantelleria e stranieri di tutte le nazionalità.
Eravamo uniti come fratelli.
Ho sempre mantenuto ottimi rapporti con i compagni e i datori di lavoro.
Gli Italiani erano mal visti, perché avendo perso la guerra, avrebbero dovuto stare sottomessi. Ci chiamavano “verme”.
Tutta la mia famiglia ha la doppia cittadinanza: Italiana e Australiana.
Ho visitato tutta l’Australia. Ho visto i coccodrilli di cui ho anche mangiato la carne. Solo gli aborigeni sanno quali coccodrilli cacciare per la carne commestibile.
Ho mangiato anche carne di canguro e di coniglio selvatico. Ho visto i canguri appena nati.
Dove sono stato la religione cattolica era quella prevalente. C’erano altre confessioni ma ognuno professava la sua nel rispetto degli altri.

La nostalgia
La nostalgia è una grande malattia.
All’estero ho sempre avuto tanta nostalgia del mio paese ma quello che mi mancava di più, erano mia madre e mio padre.
Ancora adesso sono sempre in bilico fra due patrie.
Sono andato in Australia per lavorare.
Ho avuto tanti problemi con la lingua ma ora me la cavo bene.
Rispetto il luogo dove mi sono creato una vita e una famiglia.
Non posso parlare male delle mie patrie. Sono andato all’estero con la mia cultura e l’Australia è la mia seconda patria.

In Australia ci sono tantissimi italiani che hanno fatto crescere la nazione, e noi abbiamo imparato molto da loro.
Nel Parlamento Australiano siedono molti onorevoli di origine italiana, che hanno riscattato il rispetto della nostra Nazione.
Il ricordo più bello che ho dell’Australia è la famiglia ed i figli.
Dell’Italia ricordo che dopo la guerra si è creato un clima di grande fratellanza.
Mi piace stare al caldo ed è per questo che ogni anno torno in Italia durante l’estate.
Quando sono in Australia penso sempre all’Italia.
A costo di tanti sacrifici ho realizzato i sogni di avere un lavoro e una famiglia.  Ogni anno vedevo dei risultati. Sicurezza in banca e benessere.
Ho nostalgia dei giochi paesani come la cuccagna, delle corse sui prati e degli amici d’infanzia.

I cambiamenti
Paderno rispetto a quando sono partito è molto progredita.
Ci sono tante nuove e belle costruzioni.
Il centro di Ponzano dove c’era l’osteria Miotto è stato completamente stravolto.
Ora anche il lavoro edile è molto ben organizzato.
Purtroppo chi lavora spesso non usa la dovuta prudenza anche se ha tutti gli strumenti per ripararsi. Il progresso è mondiale.
A differenza di qua, in Australia i ragazzi a diciotto anni vogliono andare via da casa. A 23, 24 anni si sposano. Prima si creano il nido e poi vi
portano la sposa. I ragazzi se ne vanno perché hanno tante opportunità di lavoro.
I nostri italiani invece vivono ancora nella “crivoea” dei vecchi.

I nuovi migranti
Degli stranieri in Italia penso male.
Molti di loro sono partiti con uno spirito diverso dal nostro.
Noi siamo andati in terra straniera per migliorare la nostra situazione e crearci un futuro e non per andare in vacanza o a delinquere.
Qualche giorno fa a Padova mi si è avvicinato un ragazzo di colore sui vent’anni per chiedermi l’elemosina, anche se mi ha visto camminare con il bastone.
Al pensiero che io i centesimi li ho risparmiati con il sangue, lo volevo bastonare con la “bagoina”. A me che cammino anche male viene a chiedere l’elemosina! So di aver sbagliato a fare quel gesto.
Purtroppo i poliziotti non controllano, anzi uno mi ha detto che se vede uno straniero che molesta le persone, si gira dall’altra parte. Dopo di me, una donna, per farlo andare via gli ha dato due euro. Non è educativo.
Qui c’era la guerra e anch’io ho avuto difficoltà e sono dovuto emigrare.
Ho lavorato anche sul Piave a caricare ghiaia con il badile. Dovevo lanciarla in alto sui camion, ma non sono mai andato a chiedere la carità.
Anche in Australia ho fatto cento mestieri e mi sono sempre mantenuto.

Conclusione
A chi ha avuto la pazienza di leggere la mia storia voglio lasciare un bel ricordo, perché la mia vita anche se ho lavorato tanto mi ha dato altrettante soddisfazioni.
Anche se sono all’estero da tanto tempo, non ho mai dimenticato la mia Patria che ho insegnato ad amare anche ai miei figli nati in Australia.
Porto nel cuore due Italie.
Mi sento come una rondine.

Qui a Paderno ho il mio nido dove sto bene. Quando emigro al sud e torno in Australia, ritrovo l’altro mio nido dove sto altrettanto bene.