Le Rondini di Ponzano Veneto

Se non fosse emigrato avrebbe avuto migliore fortuna?

Sergio Pivato è nato a Ponzano Veneto nel 1946.
E' emigrato bambino in Belgio, vi è rimasto per 24 anni.
Ha raccontato la storia del padre e la sua esperienza in Belgio.
Ora vive a Ponzano.
Dal 2010 è presidente dell'Associazione dei Trevisani nel mondo.

Intervistato il 23 marzo 2011 da Pietro Pizzolon e Luigino Righetto.


Mio padre era Ernesto Pivato, nato a Ponzano Veneto nel 1914.
Era fratello di Umberto e Abele.
Prima di emigrare in Belgio, e dopo aver assolto al servizio militare di leva, aveva partecipato alla campagna d’Africa e al suo ritorno aveva avviato l’attività artigianale di cementista.
Ha fatto l'operaio in Belgio per oltre 25 anni.
E' deceduto improvvisamente a Treviso il 17 luglio 1972 al suo rientro temporaneo in Italia per una breve vacanza.

Molti Trevigiani, appena conclusa la seconda guerra mondiale, migrarono in Belgio. All’epoca il direttore dello stabilimento Belga “Les Forges de Clabecq” frequentava il Veneto e l’Emilia Romagna alla ricerca di manodopera giovane da impiegare nella sua fabbrica siderurgica per la produzione di lamiere e profilati.
Il reclutamento avveniva in Italia.
La maggioranza degli emigrati di Ponzano Veneto hanno lavorato in questo stabilimento. Solo pochi sono stati impiegati nelle vicine cave di porfido di Quenast o nelle miniere di carbone.

Nel 1946 emigrò per primo mio zio Abele.
Il fratello Umberto lo doveva raggiungere poco dopo, ma una improvvisa appendicite lo aveva bloccato a casa. Mio padre allora lo sostituì e all’inizio del 1947 raggiunse a Clabecq il fratello.
Io ero piccolo e non ricordo la data esatta della partenza.
Appena trovato un alloggio adeguato, ricongiunse l'intera famiglia.
Fu così che a fine 1948, sono emigrato anch'io con le sorelle Elda e Anna accompagnati dalla mamma Baseggio Maria, sorella di Ida e Gaetano.
Con un carretto abbiamo raggiunto Treviso per salire sul treno che ci avrebbe portati in Belgio.

Rientrati la prima volta in Italia nel 1957, siamo tornati nuovamente in Belgio nel '58.
Con la mamma e la sorella Anna sono rimpatriato definitivamente nel 1975, l'altra sorella Elda sposata a Ennio Cadeddu è rimasta a Clabecq e vi abita tuttora con i suoi tre figli.

Nel 1963 mio padre fu vittima di un grave incidente sul lavoro.
La rottura del fondo di una lingottiera e la fuoriuscita dell’ acciaio fuso, a contatto con la sabbia, provocò una forte esplosione che lo investì mentre lavorava nelle vicinanze.
Le gravi ustioni riportate sulla parte destra del corpo, gli provocarono la perdita totale della pelle. Per evitare pericolose infezioni fu tenuto per quattro mesi in una incubatrice e successivamente sottoposto a numerosi trapianti di pelle.
Per l'invalidità subita, gli fu riconosciuta una piccola pensione.
Nonostante avesse delle grosse difficoltà fisiche, non ha mai voluto abbandonare il lavoro.
In Italia gli stipendi erano ancora bassi e il suo sogno era di fare ancora un po’ di fortuna e rimpatriare definitivamente con la pensione.
Purtroppo nel 1972, mentre tornava in macchina dal Belgio per una breve vacanza, durante il viaggio ha cominciato a sentire dei fastidi allo stomaco. Al suo arrivo a Ponzano è stato subito ricoverato all’ospedale di Treviso dove gli fu riscontrata un’ulcera sanguinante che in pochi giorni lo portò alla morte per una emorragia interna.

Noi, appena arrivati in Belgio, abbiamo preso residenza a Braine le Château e successivamente ci siamo trasferiti a Clabecq in una casetta di tre stanze vicino al posto di lavoro di papà.
Braine le Château è un paese della regione dei Valloni, al confine con la frontiera linguistica dei Fiamminghi.
E’ situato vicino a Clabecq, Tubize, Quenast e Rebecq, tutti centri che per il lavoro gravitavano nella fabbrica siderurgica industriale denominata “Les Forges de Clabecq”. Qui i molti Italiani convivevano con operai spagnoli, marocchini e turchi.
Mio padre ha sempre lavorato alle forge, anche a turni.
La sua precedente esperienza di cementista gli consentiva, nel tempo libero, di aiutare gli italiani a costruirsi la casa.
Fra i tanti compaesani che mio padre ha aiutato, ricordo Virginio Marcuzzo, padre di Ilario, che abitava a Quenast e al quale mio padre era legato da una particolare amicizia.
Mia mamma, con tre figli a carico, ha sempre fatto la casalinga.

Non ho molti ricordi dell’infanzia se non a cominciare dalla frequenza delle scuole iniziata nel 1952 a sei anni, a Clabecq.
Allora ho cominciato ad imparare il Francese.
Stando a contatto con la gente ho imparato anche il Vallone.
A casa si parlava solo il dialetto Veneto anche perché mia mamma non ha mai voluto parlare altre lingue.
La prima classe che ho frequentato era formata da 50 alunni, con prima e seconda seguite da un solo insegnante.
Le lezioni cominciavano alle 8 del mattino e alle 12 si interrompevano per un'ora per il pranzo. Terminavano definitivamente alle 16.
Non c’era la mensa e ognuno mangiava quello che portava da casa.
Nel 1957 sono tornato in Italia e grazie alle ripetizioni di italiano dell’ex Sindaco Dino Bonesso, sono stato ammesso alla quinta elementare.
Non ricordo se ci fossero delle differenze nell’insegnamento scolastico ma ho presente che anche in Italia si era avviata la ripresa economica.
Il mio maestro veniva da Treviso. Era alto e magro e si chiamava Stanglini. Ha voluto tenersi uno dei miei quaderni che avevo scritto in Belgio per mostrare ai compagni come era ordinato e scritto in bella grafia grazie alla disciplina che ci veniva impartita.

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Permesso di lavoro a tempo indeterminato di Sergio Pivato

Appena terminati gli studi, sono stato subito assunto alle Forges de Clabecq come operaio.
Andavo al lavoro a piedi perché abitavo vicino alla fabbrica.
Nel tempo ho conseguito la specializzazione e a venticinque anni, ancor prima di conseguire il diploma di disegnatore tecnico, alle scuole serali, sono stato promosso disegnatore.
Lavorando, studiando e applicandomi molto sono diventato disegnatore tecnico, lavoro che mi piaceva molto e per il quale ero naturalmente dotato.
Come in Italia, anche in Belgio c’erano i sindacati.
Uno di destra e uno di sinistra, ma non ho ricordi di grandi scioperi.
Mia sorella Elda, nata nel 1943, ha lavorato in un cotonificio a Braine le Château dove producevano filati con il cotone importato dall’Africa.
L’altra sorella Anna ha lavorato come impiegata a Bruxelles in una azienda di abbigliamento. Ora in pensione, abita con me a Ponzano.
La casa dove abitavamo a Clabecq era modesta ma dotata di servizi, corrente elettrica e acqua potabile.
Dopo molti anni ci siamo definitivamente sistemati in una vecchia casa assegnataci dalla società Les Forges de Clabecq.
Papà l’ha ristrutturata e ammodernata.
La società possedeva oltre 1.000 alloggi che dava in locazione ai propri dipendenti. Erano case vecchie, non più abitate dai Belgi che si costruivano case più ampie e moderne

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1948 - Foto ricordo davanti alla chiesa degli Italiani in occasione della visita di De Gasperi ritratto al centro con gli occhiali

Da bambino ho frequentato la chiesa cattolica di Clabecq dove la maggioranza dei fedeli era italiana. Purtroppo non capivamo la lingua ma grazie ad un frate cappuccino Emiliano, nel castello degli Italiani abbiamo adibito una stanzetta a chiesa.
Qui le messe e le preghiere erano recitate in italiano. Ho un bel ricordo della chiesetta dove andavo accompagnato dai genitori che erano molto praticanti.
Oltre alla messa non c’era né catechismo né oratorio.
La Comunione e la Cresima le ho ricevute a Paderno nel 1957 durante l’anno di mia permanenza in Italia.
La popolazione di Clabecq era in prevalenza di religione cristiana, una parte cattolica e una parte protestante.
Veniva praticata per tradizione di famiglia.
Il paese era molto industrializzato e pochi frequentavano le chiese.
Nelle località agricole invece c’era una maggiore partecipazione.
Nelle vicine Fiandre c’erano più cattolici che protestanti.
Ho una foto che ci ritrae davanti alla cappella frequentata anche da tanti migranti italiani dei paesi vicini.
Sono stato in Belgio per 24 anni e lì ho ancora molti amici e parenti che non sono più tornati.
L’esperienza vissuta è stata molto positiva per me e anche per mia sorella Anna, sia per il lavoro che per gli studi.
Sotto l’aspetto culturale ci siamo molto arricchiti e l’esperienza ci ha aperto la mente, non ci siamo altrettanto arricchiti sotto l’aspetto economico, anche se abbiamo raggiunto un buon grado di benessere.
Ricordo che il Belgio ha sempre avuto una buona sanità.
Era un paese piccolo e aveva delle leggi sociali molto buone.
Grazie all’impero coloniale che ha arricchito i suoi cittadini, c’era molto benessere e disponibilità economica.
La cassa integrazione era ben organizzata.
Nei rapporti con gli altri, preferivo la compagnia degli italiani con i quali avevo più occasioni di ritrovarmi, ma frequentavo anche tanti spagnoli e belgi. Con loro conservo ancora tante amicizie.
Le differenze culturali fra Italia e Belgio non sono grandi.
Tuttavia i Belgi all’inizio erano diffidenti nei nostri confronti e non avevano una buona considerazione degli Italiani. Con il tempo ci siamo integrati bene.
Non ricordo fatti di razzismo. Nei primi anni del dopo guerra il Belgio aveva delle leggi molto severe e quindi era difficile che arrivassero persone capaci di delinquere ed era così assicurata la pace sociale.
Mio padre mi raccontava che un giorno un suo compagno di lavoro, in un bar, preso dai fumi dell’alcool, aveva cominciato a dare in escandescenze. I gendarmi lo avevano ammanettato e lo stavano per portare alla frontiera, con obbligo di rimpatrio.
Solo grazie all’intercessione di un bergamasco, responsabile del gruppo degli Italiani che conosceva quella persona come un bravo lavoratore, l’ordine fu sospeso.
Questi imparò la lezione e non eccedette più nel vizio di bere.

Oggi ritengo che la presenza degli stranieri in Italia sia indispensabile per la crescita del paese.
E’ necessario però che i nuovi arrivati sappiano convivere con gli Italiani, rispettandone usi e costumi.
Dove sono vissuto, il clima era molto piovoso, quasi sempre come da noi in autunno.
Fra le diverse esperienze che ho avuto, sono riuscito anche a militare in una squadra di calcio nel club del paese.
Avevamo cercato di formare una squadra di soli italiani ma non siamo riusciti a raggiungere un numero sufficiente di atleti.
Al mio rientro in Italia ho trovato lavoro come impiegato tecnico presso la Montedison di Marghera.
Data la distanza da casa, era come se fossi andato all’estero.
Partivo alle 6.50 del mattino in macchina o in autobus e quindi in treno.
Tornavo con gli stessi mezzi la sera tardi.
Nel lavoro ero addetto all’ufficio studi e ricerche.
Controllavo la produzione con il compito di migliorare il rendimento del lavoro e seguivo anche la sperimentazione di nuovi materiali e nuove applicazioni.

Mia sorella Anna sostiene che i nostri genitori sono emigrati e hanno avuto delle difficoltà di adattamento, mentre chi è rimasto in Italia, dopo pochi anni ha comunque raggiunto lo stesso benessere.
Quasi tutti coloro che sono andati all’estero nel dopo guerra, hanno fatto fortuna ma solo un po' prima che in Italia.
Mio padre aveva già un buon lavoro ma allora era mal retribuito.
Considerato come sono andate poi le cose, ritengo che se fosse rimasto in Italia, forse avrebbe avuto migliore fortuna.