Le Rondini di Ponzano Veneto

Nel mio primo inverno in Canada ho sofferto la fame

Giacomel Pietro (Ciccio) è nato a Ponzano Veneto nel 1929. E’ stato in Canada dal 1954 al 1966. Vive a Paderno con la moglie Aurelia.

E’ stato intervistato il 20 dicembre 2011 da Luigino Righetto

Nella vecchia casa di Via Roma, ero il maggiore dei quattro fratelli maschi e oltre ai genitori c’erano anche due sorelle.
Nel 1951, quando mi sono sposato, qui non c’era alcun lavoro. Andavo a cercare erba per mantenere l’unica vacca che avevamo in stalla e in alcune occasioni lavoravo per i contadini vicini di casa che mi davano in cambio del formaggio o un po’ di salame, perché non c’erano soldi.
Dopo una breve esperienza in miniera a La Louvière in Belgio nel 1953, l’anno successivo sono partito per il Canada con il fratello minore Renato, di soli 19 anni.

image

1954 Paderno - Foto ricordo della famiglia Giacomel davanti alla vecchia casa

Campagnoli ingenui, alla stazione ci hanno subito fregato 500 lire e dopo aver acquistato un pacchetto di sigarette e un fiaschetto di vino, prima di finire i soldi siamo riusciti a spedire una cartolina da Milano, per la quale a casa hanno pagato la multa perché non era affrancata.
Giunti all’aeroporto di Toronto siamo stati accolti dal Console Italiano e sua moglie, avvertiti del nostro arrivo dal Governo Italiano.
Noi eravamo timorosi, riverenti e riconoscenti verso l’autorità che ci aveva offerto 20 dollari. L’illusione è durata poco perché siamo stati subito informati che usciti dall’aeroporto, dovevamo arrangiarci a cercare un lavoro. Ho subito imparato a mie spese, che il contratto con il quale ero partito dall’Italia era carta straccia e non valeva niente. A differenza di chi emigrava in Belgio con un contratto di lavoro, quello per il Canada era solo un pretesto per invogliarci a emigrare.

Abbiamo subito cercato lavoro senza trovarlo. Per dormire la prima notte avevamo già speso metà dei dollari che ci avevano dato.
Il giorno successivo dopo aver cercato ancora inutilmente lavoro, prima di sera, con gli ultimi soldi che ci erano rimasti, abbiamo deciso di trasferirci in taxi a Niagara Falls per cercare aiuto presso lo zio Giacomel Mansueto emigrato in Canada negli anni venti. Lui prima di emigrare abitava ancora nella nostra vecchia casa con mio padre e gli altri fratelli.
Qui abbiamo trovato lavoro come raccoglitori di pesche e uno scantinato dove dormire e mangiare. Eravamo ospiti della signora Zanatta Letizia, moglie di Bianchin Pietro di Merlengo emigrati subito dopo la guerra.
Fortunatamente non pagavamo affitto perché il governo Canadese dava cinque dollari la settimana a chi ci ospitava in quanto mio fratello Renato era minorenne. Potevamo permetterci anche un pasto caldo al giorno.
Zio Mansueto ci invitava spesso. Quando ha saputo che i familiari in Italia eravano poveri, mi ha prestato 80 dollari che ho spedito subito a casa. I genitori hanno pianto dalla gioia, ma hanno avuto paura che li avessi rubati, tanto era importante la somma in quei tempi.

Un giorno lo zio un po’ brillo ha cominciato a domandarmi come erano stati spesi i soldi che aveva mandato a casa appena arrivato in Canada. Mi diceva di averli spediti per l’acquisto di una vacca e per pagare altri debiti. Io non sapevo niente perché non ero ancora nato e lui, pensando che non volessi parlare per nascondergli qualche cosa e a causa dei fumi dell’alcool, mi ha sferrato un pugno che d’istinto gli lo ho restituito.
Da quel giorno mi ha mandato fuori di casa.

Finita la raccolta delle pesche, ho trovato un piccolo lavoro nella demolizione di alcune case. L’inverno avanzava e non avevo niente da vestire. Qualcuno mi ha regalato un vecchio paletot che mi riparava dal freddo, ma era lungo e straccio. Camminavo per la strada e tutti ridevano perché sembravo un fantoccio. Non mi vergognavo perché avevo solo quello. Con il passare dei giorni, pur con i guanti addosso non riuscivo a muovere le mani screpolate e nemmeno a tenere il badile in mano.
Finita la demolizione, a causa del freddo intenso tutte le attività esterne erano sospese. Senza lavoro, in breve siamo rimasti anche senza soldi.
Dopo quanto accaduto non potevamo più contare sull’aiuto dello zio.
In quel periodo abbiamo patito la fame.

Davanti allo scantinato dove eravamo ospiti, abitava il vecchio Massolin Geremia con i figli e la moglie Mattea. Per guadagnare qualche dollaro, in un grande salone aveva organizzato una mensa per gli operai.
Non mangiavo da cinque giorni. Avevo solo 25 anni ma ero istupidito dalla fame. Mi sono allora recato da lui per vedere se riuscivo a trovare qualche cosa da mangiare ma la vergogna mi ha chiuso la gola e mi è mancato il coraggio di chiedere.
Gli operai avevano finito di pranzare e Geremia era passato con la sua pentola con ancora tanto baccalà dentro, a chiedere se qualcuno ne voleva ancora. Tutti gli operai già sazi hanno rifiutato l’offerta e per la timidezza e la vergogna ho detto di no anch’io.
Quando però ho visto che stava per buttare il baccalà nel bidone dei rifiuti ho fatto uno scatto felino per fermarlo e gli ho confessato che ero a digiuno da cinque giorni. Sono stato rimproverato per non averglielo detto prima e dopo avermi sfamato mi ha incartato il resto per mio fratello che non era venuto perché si vergognava più di me.

Da quel giorno si è sparsa la voce che eravamo in stato di bisogno e ho provato con mano la generosità dei Canadesi. Durante l’inverno le famiglie uccidevano il maiale e mi regalavano gli ossi, il grugno, i piedi e gli orecchi. Li salavo, li essiccavo e li cucinavo un po’ alla volta.

Un altro giorno alcuni vicini ci hanno regalato 50 kg di sardine.
Mi sembrava una manna. Ho cominciato subito a cucinarli ma essendo senza olio, usavo solo acqua. La proprietaria incredula, che ci considerava anche un po’ pazzi ha raccontato al vicino supermercato cosa stavamo facendo.
Alcuni clienti incuriositi, sono venuti a spiarci dalla feritoia dello scantinato e anche se con un po’ di disprezzo, ci chiamavano “bordanti” immigrati, mossi a compassione, ci hanno regalato una tanica di cinque litri di olio. Così ho potuto friggere tutto il pesce, salarlo e conservarlo per consumarlo un po’ alla volta.

In primavera con mio fratello siamo tornati a Toronto che allora contava già cinque milioni di abitanti.
Sapevamo che c’erano anche tanti italiani e tanti paesani. Fra questi ricordo ancora Luigi Rotino e suo fratello Emiliano, Marcello Giacomel, Zanatta, Gianni e Ruggero Pretotto, Luigi Conte, i fratelli Gino, Rino e Aldo Zanatta, Durante Valerio e altri. Molti sono ancora in Canada.
Qui, il sabato pomeriggio, mentre le donne facevano la spesa, noi andavamo nella birreria degli anziani dove si pagava meno per incontrarci con i paesani. I Canadesi ci chiamavano DP “Deportati Politici”. Un mio amico friulano, ribellatosi a questi epiteti, si è preso a botte con uno di loro ma ha dovuto scappare per non essere carcerato.
Ci si trovava anche la Domenica mattina nella Chiesa degli Angeli, dove c’era la messa in italiano e io andavo anche a raccogliere le offerte.
Arrivavano italiani dalle zone vicine e sia prima che dopo la messa ci scambiavamo informazioni per trovare lavoro.

Quando non eravamo fra Italiani, tutti parlavano inglese e non capivo niente. Ho trovato subito lavoro e il contadino che mi aveva assunto mi ha portato in un supermercato per fare rifornimento di attrezzi e viveri.
Volevo comperare uova e aceto. Non avevo mai visto i raccoglitori di cartone dove erano custodite le uova e non vedendole, per farmi capire ho fatto anche il verso della gallina.
Per l’aceto mi hanno proposto il “vinaigre”. Io volevo aceto e non vino agro e allora tutti ridevano.

Con il tempo ho capito che la gente si divertiva con questi equivoci e io ne approfittavo per fare il mona.
Avevo imparato come si ordinano in inglese due etti di carne. Un giorno dal macellaio li ordino, ma mi sembravano pochi e ne ho ordinati altri due e poi altri due ancora. Il macellaio, un po’ stizzito, ha capito che non riuscivo a spiegarmi e mi ha insegnato come chiedere mezzo chilo o un chilo di prodotto.
Pagavo i conti senza conoscere il valore dei dollari, dovevo fidarmi.
Ero partito da casa con la qualifica di manovale e a Toronto ho fatto prima il muratore e in breve tempo anche il carpentiere presso una ditta con oltre 60 dipendenti.
Gli stipendi in Canda erano proporzionali al lavoro effettivamente svolto ed era meglio remunerato il lavoro più pesante.
Ho cominciato a guadagnare bene e dopo alcuni anni sono diventato un piccolo imprenditore.
Avevo anche venti operai alle dipendenze. Costruivo case in legno.
Ero già sposato in Italia e quando ho trovato un’abitazione dignitosa, ho chiamato mia moglie Aurelia e sono nati due figli.

image

1961 Toronto Canada - Al centro la casetta di Pietro Giacomel

Mi sono sistemato definitivamente nella nostra casa e ho acquistato un bel furgone per il trasporto delle attrezzature da lavoro.
Per i primi otto anni ho sempre mandato soldi alla famiglia per aiutare i vecchi genitori e i fratelli più piccoli.
Sono stato in Canada dodici anni e mia moglie undici.
Dopo la breve parentesi di Niagara Falls, ho sempre abitato a Toronto e sono tornato a casa a 37 anni, perché stanco di lavorare tanto.
In Italia mi sono costruito la casa, ho gestito per un periodo l’osteria da Biscaro e nel frattempo coltivavo un vigneto che produceva oltre cinquanta ettolitri di vino l’anno.
Ho chiesto allora l’autorizzazione al Comune per gestire una frasca.
I primi clienti che ho avuto se ne sono andati senza saldare il conto.
Il lavoro della frasca, diventata poi osteria, si è avviato solo dopo la prima grande festa della birra, durata tre giorni. C’era un mastro birraio giunto apposta dalla Germania, accompagnato da suonatori e ballerine.
Alla festa hanno partecipato oltre tremila persone.
Ho gestito l’osteria fino a quando sono andato in pensione e dopo averla concessa in affitto per un breve periodo, non essendo i figli interessati a quel lavoro, l’ho venduta.

Oltre a una cugina in Canada ho altri cugini a Villa Angela, provincia del Chaco nel nord dell’Argentina, che sono ancora cittadini italiani.
Sono nati tutti all’estero e sono discendenti di Giacomel Luigi nato nel 1895, fratello di mio nonno Catterino. Era emigrato negli Stati Uniti nel 1933 e si era trasferito successivamente in Argentina.
Mio cugino Renato è presidente dei Commercianti di Villa Angela e di recente si è candidato alla carica di sindaco del paese. Oltre a loro ci sono circa 30 persone di cognome Zago originari di Villorba ma chiamati da mia zia Giacomel Angela emigrata da più di ottant’anni e morta cinquant’anni fa in Argentina.

Gli italiani si sono fatti onore in tutto il mondo.