Le Rondini di Ponzano Veneto

Il boscaiolo del Canada

Tonon Luigi è nato a Povegliano nel 1935, ha fatto il boscaiolo in Canada. Ora, circondato dalla vivacità dei sui cinque nipotini, vive a Paderno con la moglie Candida Biasetto che è stata all'estero con lui.

Intervistati il 23 marzo 2011 da Pietro Pizzolon e Luigino Righetto.


La mia famiglia proviene da Santandrà di Povegliano dove abitano tante famiglie Tonon che non hanno tra loro alcun rapporto di parentela.
Abitavo nella casa della parrocchia di Paderno, vicino alla chiesa e la famiglia era composta da diciotto persone.
Lavoravamo la terra del beneficio parrocchiale.
La mia era una bella e grande famiglia patriarcale dove mia nonna Bonan Colomba nata nel 1870 era la più anziana. Dopo di Lei c'era mio padre e mia madre Conte Maria detta Bia, due zie nubili oltre allo zio Alessandro sposato con una figlia.
I mie fratelli erano: Elio 1925, Rosa 1927, emigrata in Australia, Gino 1929, Lidolino 1932, Rito 1933, Luigi 1935, Vittorina detta Augusta 1938, Giulia 1942, Gabriella 1945.
Prima di partire per il Canada, per quattro anni ho fatto il panettiere da Lino Pavan a Paderno.
Lavoravo tante ore anche di notte e guadagnavo poco.
Appena compiuti i 18 anni, come tanti altri della mia età, anche per evitare il servizio militare, su indicazione del Sindacato di Treviso ho fatto le valigie e sono partito da solo.
In Canada cercavano manodopera di ogni genere.
Mia mamma non era d'accordo, ma mio papà mi ha incoraggiato ricordandomi che anche lui era partito prima della grande guerra, ancora più giovane di me per fare una stagione in Francia.

Prima di partire ho dovuto fare diverse visite mediche di idoneità.
Finalmente sono partito in treno da Treviso per giungere a Napoli dove l' 8 marzo 1955 mi sono imbarcato sulla nave Νέος Ελλάς Nuova Grecia.
La nave andava direttamente ad Halifax in Canada.
Da qui in treno, dopo cinque giorni e cinque notti di viaggio, sono arrivato a destinazione a Calgary nell'Alberta, situata nella parte a nord ovest del Canada.
Assieme ad altri cinque compagni conosciuti durante il viaggio in nave, ho preso una stanza in affitto ma eravamo senza alcun contatto.
Sapevo che dovevo arrivare a Calgary e che qui c'erano molti italiani ma non sapevo dove fossero.
Ripensando ora, alle mie disavventure, mi rivedo nelle stesse condizioni in cui si trovano qui tanti extra comunitari.
Mi avevano detto che sarebbe arrivata la moglie del Vice Console Italiano per accoglierci.
Di fatto dopo qualche giorno è arrivata e ci ha portato a fare il permesso di soggiorno. Una volta che ci ha messi in regola, facendo un ampio gesto con la mano ci ha detto: “Questo è il Canada, andate dove volete, siete liberi. Trovatevi un lavoro perché se lavorate mangiate altrimenti fate la fame.”
Prima di andarsene ci ha indicato un bar frequentato da italiani, dove avremmo potuto avere delle notizie più precise.

Per fortuna che a Calgary ho incontrato il compaesano Lino Massolin di Antonio del 1930, fratello di Virginio, Giovanni e Bruno, che era partito prima di me.
Mi ricordo di avergli consegnato un maglione e un paio di scarponi datimi dai suoi genitori in Italia.
Avevo in tasca solo 80 mila lire convertite in dollari.
Non conoscevo né i soldi né la lingua.
Parlavano tutti in inglese e io non capivo niente.
Vivevo da solo e quando andavo a fare la spesa per pagare gli acquisti prendevo i soldi dal portafogli e allungavo la mano.
Le commesse si prendevano il corrispettivo e dovevo fidarmi.
Ho risolto subito il problema economico perché dopo qualche giorno ho cominciato a lavorare presso una ditta privata addetta alla manutenzione della ferrovia.
Ero in squadra con due Ucraini che fra loro parlavano russo e con loro capivo ancora meno.
Stava arrivando l'inverno e il lavoro si sarebbe fermato per il gelo.
Alcuni amici mi hanno informato che nel British Columbia cercavano personale da impiegare come taglialegna e che pagavano anche bene.
Sono partito subito per Vancouver con in mano il biglietto con l'indirizzo di una persona che doveva aiutarmi.
Arrivato dopo un giorno e una notte di viaggio, ho incontrato il meridionale che mi era stato indicato.
Dopo avergli elargito una mancia sostanziosa, mi ha indicato dove potevo trovare lavoro.
Nel '55 sono stato assunto dalla grande compagnia privata Alaska Pine.
Mi trovavo bene anche se il lavoro era pesante.
Nel 1958 mi ha raggiunto anche mio fratello Rito che si è fermato per poco tempo. Anche altri amici italiani arrivati assieme a me hanno resistito un solo anno.
La ditta dove lavoravo era dotata di grandi macchinari per il taglio e il trasporto del legname, in prevalenza conifere: pini, abeti,larici.
I tronchi venivano utilizzati per ricavarne assi idonee alla costruzione di case e gli scarti erano trasformati in carta. Lavoravo con altri cento operai.
A volte, a seconda delle esigenze del cantiere eravamo anche più numerosi.
Io ero addetto al taglio delle piante e seguivo anche il trasporto del legname che veniva caricato su grossi camion e trasportato al fiume.
Da qui arrivava al mare, dove veniva trascinato con dei rimorchiatori fino alle falegnamerie per la trasformazione definitiva.
Ricordo che abbiamo abbattuto un pino di 379 anni che misurava 202 piedi di altezza, pari ad oltre 61 metri.
Con quell'albero hanno costruito cinque case in legno.
Il lavoro ci impegnava per cinque giorni la settimana.
C'erano operai provenienti da tutte le parti del mondo, compreso qualche africano.
Il cantiere era dotato di tutti i servizi. C'era la mensa con un cuoco e un cameriere addetto anche alle pulizie, una infermeria e una sauna.
Per lavarci la biancheria c’erano le lavatrici.
In una stanza si potevano asciugare i vestiti, gli stivali e gli scarponi con le broche, spesso pieni di umidità.
Un pullman ci portava al lavoro a 10, 15 o 20 chilometri di distanza.
Il bosco era di proprietà dello Stato che ordinava alla nostra ditta privata quanto e dove disboscare.
Gli alberi erano abbattuti per creare una linea taglia fuoco ed evitare il propagarsi degli incendi che a volte si innescavano in modo naturale.
Dove la linea taglia fuoco non serviva, la Forestale piantava nuovi alberi.
Nel tempo libero e la sera l'unico svago era di giocare a carte tutti assieme anche con i Canadesi.
Il sabato e la domenica non avevamo impegni di lavoro e potevamo muoverci in libertà. Di solito si andava a fare spese in un piccolo paese vicino. Nel paese c'era anche una base militare alla quale avevamo libero accesso e dentro c'erano tutti i servizi e molti negozi dove si trovava di tutto.


Il matrimonio
Interviene la moglie Candida.
Ho conosciuto Luigi perché lavorava nel panificio di Lino Pavan a Paderno e passava da casa mia per consegnare il pane.
Come tutte le ragazze, sognavo il principe azzurro, alto, biondo e con gli occhi azzurri e invece mi sono innamorata di questo ragazzino timido che non capiva niente tanto da non accorgersi delle mie attenzioni.
Il nostro incontro è stato favorito dall'amicizia che legava i nostri genitori che vedevano di buon occhio la nostra relazione.
Ci siamo fidanzati mentre lui era in Canada.
Al suo primo ritorno in Italia nel 1960, don Angelo Trevisan ci ha sposati nella chiesa di Ponzano.
Luigi è tornato subito in Canada all'inizio del 1961 e io poco dopo.
Ho fatto il viaggio in nave e ho proseguito in treno per 5 giorni e 5 notti. Era inverno e ho sempre visto solo bianco, tanta neve dappertutto.
Ci si fermava in stazioni deserte, solo per fare rifornimento di acqua e carbone.
Il primo viaggio di ritorno l'ho fatto invece in primavera e ovunque c'erano immense distese di prati e terreno coltivato a frumento.
Tanto era estesa la campagna che i contadini per lavoro stavano fuori l' intera settimana senza tornare a casa.
Prima del mio arrivo, Luigi era stato promosso capo.
Oltre a suo fratello Rito, avevano cominciato ad arrivare tanti tosati ragazzi italiani. Io ero l'unica donna italiana del campo.
Abbiamo sempre abitato in mezzo al bosco, nello stesso villaggio, in una bella casetta di legno.
Con un po' di impegno ho imparato l'inglese e allevato i miei figli.
Sono anche diventata il barbiere e la sarta di tutta la comunità che era composta di circa venti famiglie.
La nostra casa era diventata un punto di riferimento per tanti.
I profumi di arrosto, del pasticcio e di tante altre ricette italiane che si espandevano fra le case del vicinato erano un forte richiamo.
Parte della comunità era composta da uomini soli che vivevano in comunità e riposavano in grandi dormitori.
Dopo il lavoro ognuno si arrangiava a lavarsi la biancheria e a tenere in ordine le proprie cose.
Le provviste arrivavano una volta la settimana in aereo o con la barca.
In città a Vancouver si andava solo in ferie ed era l'occasione per trovarci con i tanti emigrati di Ponzano fra i quali ricordo i fratelli Piovesan Aldo, Olivo, Gino, Adriano, Milena e Luigia, i fratelli Gagno Romano e Carlo e il loro cugino Sergio, i fratelli De Marchi Rino e Pietro, Zanatta Antonio, Aldo e Vittorio di Ferdinando.

Un prete maltese di tanto in tanto passava da noi a prendersi i fiori.
A volta si fermava a magiare a casa nostra.
La chiesa cattolica e protestante erano sistemate in un unico fabbricato con due distinti accessi. Tutti parlavano inglese anche in chiesa.
Io sapevo a memoria le preghiere in latino e le recitavo sotto voce mentre gli altri pregavano in inglese.
C’era molta fratellanza e amicizia anche al di là del lavoro.
Tutte le settimane qualcuno organizzava a turno una festa in casa sua.
La domenica mattina, dalle dieci c'era un'ora di trasmissioni in italiano.
Ci si ritrovava spesso fra italiani e a fine giornata cantavamo a squarciagola le nostre canzoni.
Cantando ci prendeva l'emozione e la nostalgia del paese lontano.
A molti spuntavano grosse lacrime dagli occhi e nessuno si vergognava.
A Vancouver nel 1963 è nato Walter e nel 1964 quando siamo tornati per la morte di mio padre, a Treviso è nata Katia (Maria Angela).
L'altro figlio Henry Jeffrey è nato in Canada e a Treviso, dopo il nostro rientro definitivo in Italia nel 1968, è nato Gilberto.
Luigi ha lavorato in Canada tredici anni e io vi sono rimasta per sette.
Quando ero all'estero avevo nostalgia dell'Italia.
Oggi in Italia ho nostalgia del Canada. E' come se avessi due patrie.

Il ricordo di nonno Sem
Fra le tante persone del campo che abbiamo conosciuto, conserviamo con i figli un bel ricordo particolare della figura di nonno Sem.
Era un vecchio e saggio Danese, morto a 93 anni.
Fu il primo colonizzatore del campo. Schivo e solitario, amava solo la compagnia dei bambini che lo ricambiavano con mille attenzioni.
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1965 British Columbia (Canada) - Nonno Sem fra Candida Biasetto e Luigi Tonon

Era arrivato anni prima e dopo la morte dell'amico che lo aveva seguito, è sempre vissuto da solo.
Con l'uva che arrivava dalla California, ero abile a farmi il vino.
Lo conservavo in alcune botti che avevo acquistato a Vancouver.
Nonno Sem veniva quasi ogni giorno a trovarci e così ci gustavamo un buon bicchiere in compagnia.
A volte gli piaceva anche assaggiare la nostra grappa fatta in casa.
L'inverno prima di tornare in Italia mi sono accorto che il camino della casa di nonno Sem non fumava più.
Mia moglie preoccupata perché non lo vedeva più da qualche giorno, gli ha fatto visita e lo ha trovato in cattive condizioni di salute.
E' stato curato fino a che si è ristabilito.
E' vissuto ancora per un po' da solo.
L'anno dopo quando noi siamo tornati a Vancouver, non era più autosufficiente ed è stato trasferito in una casa di riposo.
In gioventù nonno Sem era stato aggredito e ferito da un puma.

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1Anni '60 – Foresta del Canada. Un orso bruno si avvicina per il pasto

Con il tempo gli animali selvatici si erano abituati alla presenza dell'uomo.
Vedevamo passare in lontananza il puma in libertà.
Gli orsi se non venivano attaccati erano tranquilli e ci accettavano.
Un orso bruno che in realtà era di color nero, molto docile, a mezzogiorno sentiva l'odore del cibo e arrivava a prendersi la sua razione di cibo.
Quando era sazio se ne andava scoreggiando.
Noi ridendo lo consideravamo un segno di riconoscenza.
A quarant'anni di distanza, nel 2001, siamo tornati per visitare la nostra seconda patria.
Abbiamo avuto delle forti emozioni nel rivedere cresciuto un albero che avevo piantato davanti alla casa, ormai abbandonata e semi distrutta.
Abbiamo avuto la sensazione di non aver mai lasciato quel posto.
Nel villaggio era stato realizzato un grande tabellone con incisi i nomi di tutti gli operai che avevano lavorato nel cantiere.
A Vancouver abbiamo ritrovato ben conservata la tomba del nostro primo figlio nato morto.
Al nostro ritorno l'Italia era cambiata in meglio. Il paese si era sviluppato e noi abbiamo completato la costruzione della casa.

All'estero abbiano avuto e portato rispetto a tutti. Siamo stati seri ed eravamo benvoluti.
E' stata una bella esperienza e tutti, anche i figli, hanno ancora nostalgia del Canada, tanto da rimproverarci spesso di essere rimpatriati.
Ci sentiamo con tanti amici e in particolare con una famiglia di Caerano di San Marco che ancora frequentiamo.
Loro abitano tuttora a Vancouver.