Crisi nelle campagne trevigiane

COME SONO DISTRIBUITI I LAVORATORI

 

I servi di campagna esistono laddove esiste una conduzione poderale di ampiezza intorno ai 10-15 ettari. Solitamente questi poderi sono dati a mezzadria o in affitto. Il distretto di Treviso è largamente interessato da questo tipo di conduzione. Le famiglie che conducevano un podere erano comunque restie a servirsi dei servi di campagna, in quanto preferivano di gran lunga una conduzione di tipo autarchico. Per prima cosa si sfruttava a fondo il lavoro proprio e della famiglia. Solo se questo era assolutamente insufficiente allora si ricorreva ad aiuti esterni. Il costo di questi aiuti avrebbe comunque gravato troppo sui bilanci familiari. Non mancano i grandi proprietari, ma essi, anche quando conducono direttamente una parte dei loro fondi, lasciano che ad occuparsene siano i coloni obbligati e i fittavoli a cui cedono in concessione una parte della frazionata della loro proprietà. Il ricorso ai braccianti e ai salariati è dunque anche in questo caso molto scarso.

Dunque anche se i lavoratori fissi e salariati non mancano, essi sono funzionali alla piccola azienda poderale. E’ proprio questa che costituisce il cardine del sistema. Se le braccia eccedono le necessità del sistema, i lavoratori vanno a cercare lavoro altrove. Ed intorno al 1880 questi stanno aumentando rapidamente a causa delle crisi in cui si dibatte la famiglia rurale. Da un lato il forte aumento demografico, dall’altro le crisi della produzione dovute ai problemi di viti e bachi da seta. Infine i contraccolpi dovuti all’integrazione crescente dei mercati.

Il forte squilibrio tra redditi e consumiA.Lazzarini,Campagne venete ed emigrazione di massa, pagine 157-191, Fra tradizione ed innovazione…, cit. pagine 184-185. determinerà lo sgretolamento di molti nuclei familiari. Questo squilibrio va al di là della capacità delle famiglie di contenere i consumi, che sono già ridotti all’osso. Le uniche possibilità di sopravvivenza sono quindi da ricercare altrove: è l’inizio della grande emigrazione.

Non è più sufficiente l’emigrazione stagionale, che durerà comunque per tutto il periodo, andando anch’essa a crescere progressivamente.

Non sono più sufficienti le richieste di manodopera relative alle nascenti industrie manifatturiere che nascono intorno ai grandi centri, oltre ad un grande esodo interno dalle zone più popolose a quelle meno popolose. Le zone di Vicenza e Verona oltre al litorale veneziano nelle zone di bonifica, attraggono molta gente del Trevigiano: le donne per l’essiccatura del fieno, il lavoro nelle risaie, l’allevamento dei bachi e la trattatura della seta. Gli uomini per la mietitura, per falciare i prati, per zappare il granoturco, per i lavori invernali nei campi.

I dati delle statistiche

Analizzando i dati del censimento del 1881 si può verificare che nella provincia di Treviso si avevano:

Agricoltori che coltivano terreni propri: 8,15%
Agricoltori mezzadri: 19,99%
Agricoltori enfiteuti e affittaiuoli: 17,88%
Fattori e agenti di campagna: 0,38%
Contadini, bifolchi, ecc… a lavoro fisso: 27,35%
Braccianti di campagna a lavoro non fisso: 22,60%

I dati del censimento del 1871 sotto questo punto di vista sono del tutto inservibili. Infatti i raggruppamenti che sono riportati sono ambigui e non permettono di distinguere in maniera significativa le varie condizioni professionali.

Per quanto riguarda il censimento del 1901 invece, la classificazione è si più rigorosa, ma in sede di spoglio i dati sono stati interpretati in maniera unilaterale. Si è voluto calcare sul concetto di proprietario terriero, inserendo in questa categoria tutti coloro che affermavano di avere un pezzetto di terra di proprietà. In questa categoria sono quindi finiti tutti i proprietari di terreni, anche coloro che non riuscivano a trarne neanche un valido complemento alla loro attività principale. Certamente il tipo di interpretazione che fu data permette oggi di rintracciare un solido attaccamento alla terra da parte dei contadini, ma l’occupazione principale non è in questo modo più rintracciabile.

Nel censimento del 1881 invece era espressamente richiesto di indicare la professione dalla quale si traeva “la maggior parte dei mezzi di sussistenza”, e questi dati sono quindi più significativi per la definizione delle reali occupazioni dei contadini.

Inoltre si distingue tra le due categorie più significative a livello socioeconomico: tra lavoratori fissi e non fissi.

Questo non significa che non ci siano problemi: certamente le donne sono sottostimate, perché anche se lavorano nei campi sono considerate tra le “attendenti alle cure domestiche” o tra le addette all’industria per via del lavoro a domicilio.

Comunque dai dati del 1881 si può notare come sia ancora rispettabile la percentuale di occupati a lavoro fisso. Va comunque sempre tenuto presente l’alta incidenza di figure miste, come ad esempio il microproprietario che lascia temporaneamente il podere per integrare il reddito familiare con altre attività. Considerati congiuntamente coloro che dichiarano di trarre la maggior parte del loro reddito dal lavoro dipendente sono il 50% degli impiegati in agricoltura nella provincia di Treviso. E’ il valore più basso fra quello delle altre province venete. A prevalere è ancora la struttura poderale a coltura mista e la conduzione di tipo familiare. Mentre nella sinistra Piave dominava la mezzadria, sulla riva destra prevaleva l’affitto con canone in generi.

Lazzarini trova utile considerare anche i seguenti dati sulle categorie professionali in agricoltura, tratti dal censimento asburgico del 1857:

Distretto di Treviso:

Popolazione di diritto: 81489

Possessori di fondi: 1,14% (929)

Lavoratori sussidiari agricoli: 33,68% (27446)

Giornalieri: 6,46% (5264)

Il concetto di popolazione di diritto (nel censimento popolazione indigena di diritto) si avvicina molto a quello di popolazione residente. E’ interessante notare come in tutta la provincia di Treviso vi sia una elevata percentuale di lavoratori sussidiari.

Come sostiene lo stesso autore (Lazzarini) è meglio non scendere ulteriormente nell’analisi, in quanto la mancanza di informazioni quantitative a livello distrettuale non permette che informazioni di larga massima. Inoltre la distribuzione della popolazione secondo professioni è si molto importante nell’analisi di una geografia della struttura sociale, ma non del tutto decisivo. A. Lazzarini, Fra tradizione e innovazione, cit. pagina 203.

 


Note: