Abbecedario Ponzanese

LA SCUOLA VENETA DAGLI INIZI ALL’EPOCA FASCISTA

Alfio Centin

Quando nacque la scuola per tutti, obbligatoria e gratuita?

Non nacque nella Repubblica Veneta dove le scuole elementari pubbliche erano pochissime e solo a Venezia. Le poche esistenti erano rette da “Regole per le pubbliche scuole istituite dalla pubblica sovrana munificenza come da Venerate Ducali dell’Eccellentissimo Senato”. Dove si vede che l’istruzione non è un diritto ma è un’elargizione del potere politico. Tali Regole prevedevano orari, durata dell’anno scolastico, vacanze, avvicendamento dei maestri, sorveglianza degli alunni per “evitare sconcerti e scandali”, l’obbligo della messa quotidiana e della comunione ogni mese.

Un passo avanti nella diffusione dell’istruzione pubblica lo aveva fatto, intanto, l’Austria di Maria Teresa attraverso la Commissione Aulica degli Studi (28.9.1770) con l’affermazione fondamentale: “L’istruzione pubblica è e rimane sempre una faccenda politica”.

Tre anni dopo fu sciolta la Compagnia di Gesù dal papa Clemente XV per cui tutta l’istruzione passò sotto la competenza del governo austriaco.

image Ponzano - anni ‘50 - Scolaresca assieme alla Maestra Lina Tomaselli in Osellame.

Come intendere i termini “faccenda politica?” Un’interpretazione letterale la intende come semplice competenza dello Stato; un’interpretazione più approfondita la intende come strumento d’asservimento al potere statale. E’ questa l’interpretazione risorgimentale che spiega anche il Concordato tra Stato Austriaco (Francesco I) e Chiesa (Pio IX) del 1855. Che l’educazione sia sempre stata legata più o meno strettamente alla politica, intesa questa nel senso nobile del termine, non era una novità. Già gli antichi filosofi greci quando parlavano di educazione la inserivano in scritti di politica: Platone parla di educazione nella Repubblica e nelle Leggi; Aristotele ne parla nella Politica. Il maggior trattato romano di educazione è di Quintiliano e tratta dell’educazione dell’oratore. Bisogna arrivare a Rousseau (XVIII secolo, Illuminismo) per avere il primo trattato di educazione che prescinda, polemicamente, dallo stato e si rivolga soltanto ad un utopico bambino, Emilio. Insomma, sempre l’educazione ha a che fare con la società dove il bambino cresce e matura. Si tratta di capire quali scopi ha la società nella quale il bambino è inserito.

Un altro passo fondamentale nella direzione della diffusione dell’istruzione lo fa la Rivoluzione Francese con la Dichiarazione di Condorcet dove si afferma il diritto- dovere del cittadino all’istruzione gratuita e obbligatoria. Così, quando la Repubblica Veneta si uccise (17.10 1797) subentrò la dominazione francese ed il Governo italico proclamò solennemente che “l’ignoranza è antidemocratica”. In ogni città si costituì un Comitato per la Pubblica Istruzione. In tutto il Veneto si aprirono centinaia di scuole primarie a carico dei comuni perché i comuni avevano l’obbligo di istituire almeno una scuola e soltanto dal 1808- 1809 in ogni capoluogo dipartimentale funzionò un liceo che consentiva l’accesso all’università. Di fatto, anche se i Prefetti ricordavano l’obbligo di legge di frequentare le scuole, nonostante l’impraticabilità delle strade o impedimenti di torrenti o di altre consimili cause, l’istruzione elementare era in mano ai comuni che si avvalevano del clero mentre l’istruzione superiore e universitaria era gestita direttamente dallo stato tramite l’università. I Prefetti dipendevano dal Ministero degli Interni, dove un direttore generale, con sede a Milano, aveva il compito di coordinarli. E’ la prima volta che si organizza un sistema scolastico per gradi e con regole precise. L’istruzione elementare era pubblica con maestri comunale o privata. La situazione economica era grave e i maestri, talvolta, erano pagati con anni di ritardo. Ciononostante, molti parroci chiesero di essere nominati come maestri perché le messe e la cassa anime erano insufficienti a mantenere loro e i cappellani.

La scuola iniziava il 1° novembre e terminava l’ultima settimana di agosto.

Un bambino di Paderno è ricevuto a scuola l’8 giugno. La scuola di Paderno accoglie, nelle due classi, 29 alunni di cui 21 sono figli di villici, 6 di muratori, 1 di gastaldo e 1 di falegname.

Le classi era due ma ognuna era svolta in due anni. L’età dell’obbligo andava dai sei ai dodici anni e nella stessa classe vi erano alunni di età variabile. Gli scolari diligenti erano iscritti nel libro d’oro e premiati a fine anno mentre gli scolari negligenti era iscritti nel libro nero e rischiavano l’espulsione. Fu introdotto l’insegnamento del calcolo decimale per uniformare le diverse unità di misura delle lunghezze contro le usanze locali. Gli insegnanti dovevano tenere un registro mensile sui progressi degli scolari ed inviarlo al Prefetto ma, nonostante le buone intenzioni, il livello dell’istruzione era molto basso. In una lettera del 17 novembre 1814 alcuni genitori di Trevignano scrivono al Prefetto del Tagliamento (che aveva sede a Treviso) perché sia sostituito l’insegnante dei loro figli. Due anni prima avevano già interessato la loro Municipalità (quella di Montebelluna) senza risultato. Ora si rivolgono in alto loco:

si fanno perciò carico di ricorrere supplici alla Suprema Magistratura del Dipartimento, onde ottenere un sospirato e necessario intento, attesa la vera e reale insufficienza del Maestro attuale. Egli non ben discerne la lettera vocale dalla consonante. Nella camera destinata alla Scuola il Maestro esercita il mestiere di Calzolaio, con eziandio di Pizzicagnolo; professioni tutte lontanissime dalla quiete e ritiro per lo studio. Ma quel c’è più la pressoché totale insufficienza del precettore. Gli anzidetti adunque, ansiosi di vedere educata la prole implorano caldamente che venga dalla di Lei autorità sostituito il nominato sig. Don Giovanni Fabbro Cappellano di questa Parrocchia, come persona, come lo è diffatti, fornita di rari talenti.

 

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image La RAI a scuola - anni ‘50 - Iris Sbeghen al microfono

Non sappiamo se il Prefetto del Tagliamento abbia fatto in tempo a rispondere perché la dominazione francese cessò nel 1815 e vi subentrò quella Austriaca che costituì il Regno Lombardo – Veneto (7 aprile 1817) e il 12 settembre 1818 estese alle province venete la gratuità e obbligatorietà, dai sei ai dodici anni, dell’istruzione elementare che “ mira a vantaggiare il popolo nelle moralità, negli utili studi e nelle industrie”.

Nel passaggio dalla dominazione francese a quella austriaca ci fu una sostanziale continuità sia per il percorso degli studi sia per la durata dell’anno scolastico.

Non esistevano, come nel periodo francese, edifici scolastici veri e propri; le aule erano ricavate nell’abitazione del maestro o in canonica o nei conventi.

image La RAI a scuola - anni ‘50 - Luisa Dalla Toffola al microfono.

La scuola doveva dare al popolo un’educazione morale e religiosa secondo i principi cattolici; doveva preparare la gioventù, che ne sia idonea, agli studi superiori; doveva diffondere fra tutte le classi della società un’istruzione conveniente ai comuni bisogni.

Furono, in conseguenza, fondate otto scuole reali maggiori maschili e femminili nelle otto città capoluoghi provinciali ed erano perciò classificate come scuole reali urbane.

Le scuole elementari maggiori impartivano l’istruzione in tre classi, ma la prima si svolgeva in due anni, (prima inferiore e prima superiore). A Treviso le scuole elementari maggiori maschili furono istituite a S.Nicolò nel 1821. Le scuole elementari maggiori femminili furono istituite nel 1826 a Ca’ dei Ricchi.

Intanto, nel 1823, nascono in quasi tutte le parrocchie, le scuole reali minori nell’ordine: Venezia, Verona, Udine, Rovigo, Belluno, Vicenza, Treviso, Padova. Le scuole elementari minori avevano solo due classi ed erano parrocchiali e se ubicate in campagna erano dette rurali.

image Venezia - 1834 - Nomina del Maestro Antonio Badesso. per Merlengo e Paderno (per g.c. del prof. Savino Gola)

L’organizzazione burocratica era piramidale. Al vertice stava il ministro che risiedeva a Vienna. A Milano e a Venezia c’era, rispettivamente, un Ispettore Generale. A Venezia, negli ultimi anni fu Ispettore generale il prof. Giovanni Codemo, laico e trevigiano. L’Ispettore Generale controllava gli Ispettori Provinciali e a Treviso Ispettore provinciale era l’abate prof. Luigi Sartorio. Ogni provincia era divisa in due distretti, superiore e inferiore ad ognuno dei quali era preposto un Ispettore Distrettuale. Il Distretto di Treviso superiore faceva capo al canonico Giusepe Gobbato, il Distretto di Treviso inferiore faceva capo al parroco di Fiera Giuseppe Frizzo.

Fra gli ispettori la presenza degli ecclesiastici era massiccia perché così voleva il concordato del 1855. Soltanto i parroci potevano essere direttori delle scuole elementari minori funzionanti nei piccoli centri e nelle parrocchie e solo sacerdoti, anche se non parroci, dovevano essere i direttori delle scuole femminili. Inoltre, dal 1860 i Vescovi sostituirono gli Ispettori Provinciali. Se la finalità educativa è essenzialmente morale e religiosa secondo i principi cattolici, garante per eccellenza non può essere che la gerarchia ecclesiastica la quale applica il precetto “insegnare agli ignoranti” gratuitamente. Il che non è poco per il bilancio dello stato.

Risulta che, nel 1856,Le Scuole reali inferiori ed elementari delle provincie venete nel 1856, Venezia, Antonelli, 1856, p.52. a Ponzano insegnavano in classi maschili il maestro Sartori Luigi e, a Paderno, Badesso Antonio. In provincia di Treviso esistevano scuole elementari minori femminili a Roncade, a Oderzo, a Ceneda (ma non c’è la maestra), ad Asolo (“non mai attuata”), a Castelfranco (come ad Asolo).

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La terza guerra d’Indipendenza porta il Veneto all’Italia. E’ il 1866 e da cinque anni è nato il Regno d’Italia con capitale Torino e poi Firenze. Il Regno Sardo, che poi diventerà Regno d’Italia, si era dato nel 1859 una legge che riguardava tutta l’istruzione, dalla elementare alla universitaria. Questa legge sarà estesa progressivamente ai diversi stati italiani a seguito delle annessioni. Porta il nome del ministro Gabrio Casati e si avvale della consulenza di Angelo Fava, medico di Chioggia che è nominato Ispettore Generale per l’Istruzione elementare.

L’istruzione elementare è articolata in due gradi:
grado inferiore (classe prima inferiore, classe prima superiore, classe seconda)
grado superiore (classi terza e quarta). L’obbligo di gestire le scuole elementari spetta ai Comuni e il Sindaco deve controllare l’adempimento dell’obbligo scolastico. La competenza didattica è dell’Ispettore Scolastico Provinciale coadiuvato in ogni circondario da un Ispettore circondariale e da un Consiglio scolastico provinciale. Esistevano anche dei Sovrintendenti e delle Commissioni d’ispezione che, a titolo onorifico, vigilavano sulla frequenza, sulla disciplina e sull’igiene.

Il passaggio dall’Austria all’Italia non si fece sentire gran che. Il sentimento antiaustriaco a Treviso non era molto vivo. Possidenti, commercianti, sacerdoti, piccoli proprietari e mezzadri vedevano nel mutamento dell’ordine costituito il pericolo di sconvolgimenti istituzionali, sociali e perfino religiosi.

Forse per questo il personale dirigente e insegnante rimase quello che era in servizio con l’amministrazione austriaca. L’Austria lasciò all’Italia una realtà scolastica consolidata ben superiore a quella che i rimanenti stati italiani avevano lasciato al Regno Sardo. E del resto, ad un impero così vasto e composito come quello absburgico era funzionale una scuola efficiente che trasmettesse i valori tradizionali dell’ordine, della disciplina, della religione come garanzia per la sua sopravvivenza.

La scuola dello Stato italiano nasce, dunque, nel 1859 ed è una legge del re promulgata a parlamento chiuso a seguito delle dimissioni di Cavour dopo la seconda guerra d’Indipendenza. E’ una legge non discussa democraticamente che, però, per successive integrazioni e correzioni resterà come pilastro fino al 1923 quando la riforma Gentile la modificherà nel senso voluto dal regime fascista. E la Riforma Gentile rimarrà in vigore, con correzioni ed integrazioni democratiche, fino ai nostri giorni. Accade, dunque, che due leggi fondamentali per la scuola siano nate in periodi storici di sospensione democratica. Il che fa riflettere e può essere d’insegnamento anche per i tempi presenti.

L’alternarsi dei governi della Destra storica, della Sinistra storica, del trasformismo, del liberalismo, del fascismo e della democrazia, vede, in concomitanza con essi, l’attuazione di Programmi di studio che vanno dallo spiritualismo al positivismo al nazionalismo al cattolicesimo democratico e sono:

1860 Programmi Casati- Fava
1867 Programmi Coppino
1888 Programmi Gabelli
1894 Programmi Baccelli
1905 Programmi Orestano
1923 Programmi Lombardo Radice
1934 Programmi Ercole
1939 Programmi rivisti dalla Carta della scuola di Bottai
1945 Programmi Washburne
1955 Programmi compilati da una commissione ministeriale di ispirazione cattolica.

image Paderno - 1949 - Scolaresca assieme alla Maestra Gina Tomaselli.

Di programma in programma lo Stato italiano si trovò a combattere contro l’evasione all’obbligo scolastico ma, mentre era sollecito nel controllare le iscrizioni, non lo era altrettanto nel rimuovere gli impedimenti quasi sempre dovuti a necessità economiche familiari. Si pagavano i libri e la pagella e, durante il fascismo, era obbligatoria l’iscrizione alla G.I.L. L’inchiesta Jacini (1877) sulle condizioni della campagna, promossa durante il governo della sinistra storica, segnalò come dati costanti la denutrizione, la pellagra, il lavoro infantile, l’analfabetismo. Il 60% della popolazione attiva era occupato in agricoltura dove la caratteristica è il sopralavoro e due braccia in più rendono più di quanto consumi una sola bocca. Ed infine le assenze da scuola erano quasi sempre in concomitanza con i grandi lavori agricoli stagionali. Ma c’è anche una fascia di nullatenenti che ritiravano i figli da scuola per “andar limosinando”. Le cause dell’abbandono scolastico non erano solo sociali; anche la scuola aveva la sua parte di colpa perché settanta, ottanta alunni per classe non potevano essere seguiti adeguatamente e la didattica era quella autoritaria della bacchetta e delle punizioni corporali.

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Lo sfondo storico dei programmi scolastici non può, per motivi di spazio, essere messo in evidenza. Però, il periodo della Prima guerra Mondiale, che vide la nostra regione come prima linea del fronte, non può essere tralasciato.

Augusto Serena, montebellunese, fu provveditore agli Studi di Treviso dal 1914 al 1919 dopo essere stato insegnante di latino e greco al Liceo classico Canova. Fu poeta dialettale di limpida e semplice ispirazione. Vi propongo due sonetti di argomento scolastico pubblicati nel 1914.  La Grande Guerra non è ancora cominciata ed Augusto Serena, come suggerisce il suo cognome, ha una visione ancora pacata della scuola che verrà travolta fra poco nelle atrocità della guerra

image Compagna - a.s. 1947-48 - Scolaresca assieme al Maestro Vittorio Tidei.

RITRATI DE SCOLARI
Go messo el to ritrato in Libraria
Co i me scolari d’ogni parte, Oreste.-
Ecoli, drio le lastre, che i me spìa:
oh, quanta zoventù! Che bele teste!

A scuola, se li umilia, se ghe cria,
se dixe de conzarli per le feste;
ma, dopo, co i finisse, co i va via,
despiase de dividerse a le preste.

Co sarò vecio mi, de tanto in tanto,
passarò ‘sti ritrati alineài;
me vignarà i so nomi par incanto;

parlarò de ‘sti zorni tramontài;
e, per no confessar che gavèa pianto,
col fazoleto forbirò i ociài.

image Paderno - 5.3.1928 - Seconda elementare con la M.a G. Tomaselli.

ESAMI
Sempre, co fazzo esami, in pompa magna,
co tanti professori in giro tondo,
fra scolari che trema e che se lagna,
mi sèro i oci, e vedo un altro mondo.

Vedo, ancora, una scuola de campagna;
i maestri e ‘l diretor, sentadi in fondo;
mezi i putei, de fianco a la lavagna;
sti altri mezi, de fianco al mapamondo.

El diretor dixèa “Ciamè sto qua”:
la mestra domandava “Chi xe Dio ?”;
e ‘l mestro “Tre più quatro, cossa fa?”;

e, co i dixeva “ Bravo, xe finìo”,
scampava a casa che parea pagà,
e tuto ‘l mondo me pareva mio!

image Ponzano - a.s. 1959-60? - Scolaresca assieme alla Maestra Anna Marchetto Dalla Toffola.

La rotta di Caporetto del 1917 costrinse i veneti ad essere profughi in varie parti d’Italia. L’amministrazione comunale di Treviso andò a Pistoia e i cittadini, lasciando la città per altre destinazioni, consegnarono le chiavi di casa al vescovo Longhin che, invece, ordinò ai suoi parroci di rimanere nelle loro sedi, come lui stesso rimase.

Le scuole furono occupate come ospedali o depositi per l’esercito e gli insegnanti furono profughi anch’essi.

La Grande Guerra arresterà lo sviluppo scolastico e quello civile e preparerà quell’involuzione totalitaria che curerà più l’aspetto formale che sostanziale dell’istruzione.

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image Paderno - a.s. 1954-55 - Bruno Fornari in1ª elemenatrare .

Le vicende politiche videro il sorgere del movimento fascista, nazionalista repubblicano, futurista, genericamente socialista che diventerà partito organizzato e si impadronirà del potere creando un regime.

Durante il ventennio (1922 – 1943) si sono succeduti otto Ministri della Pubblica Istruzione con una durata media di due anni ciascuno. Il primo fu Giovanni Gentile, filosofo neo idealista, ministro dal 31.10.1922 al 1.7.1924

Con lui inizia il ventennio scolastico fascista caratterizzato da una riforma sensibile alla severità della cultura tradizionale ed insensibile alle richieste dell’istruzione popolare.

A livello elementare, la riforma porta la firma di Giuseppe Lombardo – Radice, pedagogista aperto alle influenze delle Scuole Nuove, come si chiamava allora la pedagogia della Scuola Attiva d’origine svizzera (Ferrière), belga (Decroly), francese (Freinet) e americana (Dewey). Il movimento delle scuole nuove poneva al centro dell’attività scolastica l’interesse del bambino. Tutto ciò che gli era estraneo fu bollato come adultismo: la retorica, il moralismo, l’artificiosità furono banditi ed erano tutti temi presenti nell’armamentario didattico della scuola precedente. Lombardo – Radice divenne il divulgatore di questo nuovo modo di leggere l’infanzia. Diede largo spazio alla lingua materna, cioè ai dialetti, ed alle conoscenze regionali promovendo la pubblicazione di testi ad hoc, fra cui a Treviso, quelli dei direttori didattici Alcide Barbieri e Maria Bettòlo.  Lombardo – Radice abbandonerà la Direzione Generale della Scuola elementare dopo il delitto Matteotti (1924) perché aveva capito che la riforma andava in senso opposto ai principi pedagogici nei quali egli credeva e che aveva divulgato.

Il secondo ministro della Pubblica Istruzione è, dal 1.7.1924 al 5.2.1925 ALESSANDRO CASATI, letterato.

image Paderno - anni ‘50 - Scolaresca assieme al Maestro Costantino Dalla Toffla.

Il terzo ministro della Pubblica Istruzione dal 5.2.1925 al 9.7.1928è PIETRO FEDELE, docente universitario di storia medioevale e moderna, convinto sostenitore della Conciliazione con la Chiesa. Nel 1926 nasce l’Opera Nazionale Balilla per l’assistenza e l’educazione fisica e morale della gioventù. Nell’ottobre dello stesso anno nasce la GIL, Gioventù Italiana del Littorio, organizzazione unitaria delle forze giovanili del regime fascista in seno al Partito Nazionale Fascista, alla diretta dipendenza del Segretario del Partito, Ministro Segretario di Stato che ne è il comandante generale. Il suo motto è « Credere, obbedire, combattere ».

image Paderno - Casa Sbeghen?  -1 927 o 1928 -  Scolaresca assieme alla Maestra Olga Candiotto (V. bandiera e divise).

Il quarto ministro della Pubblica Istruzione, dal 9.7.1928 al 12.9.1929 è GIUSEPPE BELLUZZO, docente universitario di Costruzione di motori, non proprio fascista ma solo fiancheggiatore. Il ministero della P.I. cambiò nome (R. D. 12.09.1928, n.1661) e si chiamò Ministero dell’Educazione Nazionale, perché se lo Stato etico ha il diritto di istruire ha anche quello di educare.  Sono soppresse la GEI (Giovani Esploratori Italiani, associazione laica nata nel 1912) e l’ASCI (Associazione Scautistica Cattolica Italiana, nata nel 1916).

Il quinto ministro dell’Educazione Nazionale è, dal 12.9.1929 al 20.7.1932, GIULIANO BALBINO. Nel gennaio 1929 nasce il libro unico di Stato per la scuola elementare con la legge 7.01.1929, n.5 che entrerà in vigore nell’anno scolastico 1930-31.

Non era gratuito, come non era gratuita la pagella. C’erano due tipi di libri: quelli per le scuole urbane e quelli per le scuole rurali. Ma poiché l’Italia è lunga, c’erano libri per il nord, per il centro e per il sud e le isole. Perché nacque? Per chiudere l’esperienza ‘individualista’ degli inizi, quella avviata dal Lombardo- Radice, sostituendola con una pedagogia per una massa da fascistizzare attraverso l’uniformità del messaggio. Il 26 aprile 1930 il ministro presenta il libro di stato a Mussolini. Nella C.M. n.2, del 31.12.1929, il Ministro dice:

ormai la nostra scuola non vive più appartata e quasi all’ombra, ma tra il fervore della rinnovata vita nazionale.

Nel 1931, tutti gli insegnanti devono giurare obbligatoriamente d’essere fedeli al re, ai suoi successori e al regime fascista.

Il sesto ministro dell’Educazione nazionale è, dal 20.7.1932 al 24 1. 1935, FRANCESCO ERCOLE, docente universitario di storia moderna. Nel 1934 la cultura militare è resa obbligatoria in tutte le scuole. Anche il personale civile dell’Amministrazione dello stato è militarizzato. Ogni grado e qualifica ha il suo distintivo « per rafforzare il doveroso senso di disciplina nei rapporti gerarchici ». La presenza del distintivo comporta automaticamente l’obbligo del saluto, che dovrà essere esclusivamente il saluto romano fascista.

Anche se il fascismo dichiara di non voler trasformare le scuole in caserme ma di voler dare l’idea di un regime che funziona con l’efficienza di una struttura militare, il risultato fu militaresco.

I Programmi di studio, norme e prescrizioni didattiche per le scuole elementari del 28 settembre 1934 riportano in Premessa una frase di Mussolini:

La scuola italiana in tutti i suoi gradi e i suoi insegnamenti si ispiri alle idealità del Fascismo, educhi la gioventù italiana a comprendere il Fascismo, a nobilitarsi nel Fascismo e a vivere nel clima storico creato dalla Rivoluzione Fascista.

Il libro di stato doveva essere revisionato ogni tre anni per timore che vi fossero infiltrazioni nell’ortodossia fascista. Anche i libri delle biblioteche scolastiche dovevano essere in armonia con la dottrina fascista per evitare di offrire ai giovani « idee confuse o suggestioni malsane per quanto riguarda la loro educazione fascista ». I Capi d’istituto erano invitati a revisionare i libri della biblioteca alunni escludendo i testi in cui la Rivoluzione fascista e i suoi principi fossero rappresentati con riserve più o meno aperte o sotto la luce di vedute politiche che il Fascismo aveva condannato o superato.

Il settimo ministro dell’Educazione nazionale dal 24.1 1935 al 15.11.1936, è CESARE MARIA DE VECCHI DI VAL CISMON, avvocato, che inizia la cosiddetta “bonifica fascista”. Il ministro De Vecchi, da militare, definirà la scuola come « ardente fucina dello spirito » (26.3.1935). Con R. D. L. 9.03.1935, n.400 i Provveditorati agli studi regionali sono soppressi e ripristinati i Provveditorati provinciali. Sono soppressi i Consigli scolastici provinciali ed i loro poteri sono deferiti al Ministero

L’ottavo ministro dell’Educazione nazionale è, dal 15.11. 1936 al 25 .7.1943, GIUSEPPE BOTTAI, docente universitario di Politica corporativa. Ex futurista, conserva delle origini il giovanilismo, lo sprone continuo verso una rivoluzione perennemente rinnovantesi. Bottai avverte la necessità di approfondire la funzione della scuola fascista collegandola con il mondo del lavoro e con le masse che vi sono entrate, masse che è urgente disciplinare fascisticamente e preparare alla produzione che l’Italia imperiale esige. Il nuovo umanesimo fascista deve conciliare le lettere con la scienza e con la tecnica. E’ il rovesciamento della riforma Gentile. Nel 1937, l’ONB è assorbita dalla GIL « organizzazione unitaria e totalitaria delle forze giovanili del Regime fascista ». Alla GIL appartengono d’ufficio tutti i giovani d’ambo i sessi dai 6 ai 21 anni: figli della lupa e piccole italiane; balilla, avanguardisti e giovani italiane. Sono vincolati da un giuramento:

Nel nome di Dio e dell’Italia giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se necessario, col mio sangue la causa della Rivoluzione fascista.

Nel 1938 è emanato il T.U. sulla difesa della razza nella scuola.

Nel settembre del 1938, il personale maschile dei ruoli civili dello stato deve avere obbligatoriamente una divisa invernale ed una estiva.

Nel 1939, il ministro pubblica la Carta della Scuola. Sarà trasformata in legge solo per la scuola media unica il 1° luglio 1940.

La Carta della scuola è l’atto finale della politica scolastica del Regime ed è il suo suicidio. Essa ha portato alle estreme conseguenze la fascistizzazione del regime rendendolo insopportabile. E ciò in nome di un modernismo (la scienza, la tecnica) non congeniale ad un regime totalitario. Una società tecnologica non può che essere tendenzialmente democratica mentre Bottai aveva in mente una società divisa, non partecipativa.

Nel 1943 termina ufficialmente il ventennio fascista che si protrarrà ancora tragicamente per due anni in un’Italia lacerata.

Il ventennio fascista può essere raccontato utilizzando come fonte storica i libri di testo della scuola elementare che sono stati commissionati a scrittori che, dovendo vivere, dovettero fare i conti con il potere.  In essi il fascismo si racconta entusiasticamente girando con insistenza propagandistica attorno ad alcuni temi che avrebbero dovuto creare l’uomo nuovo.

La propaganda evidenzia aspetti emotivi, parziali o stereotipici allo scopo di manipolare il consenso del maggior numero di persone attorno ad obbiettivi gestiti da un gruppo ristretto. Nel caso del fascismo, lo Stato, ed in esso il partito che lo occupava, utilizzò la propaganda per consolidare il regime, espanderlo, proteggerlo dall’opposizione interna ed esterna, divulgare l’ideologia ufficiale secondo schemi di facile effetto e secondo slogan. La scuola fu uno dei canali a disposizione della propaganda che ha una sua metodologia:

image Paderno - anni ‘20 - Scolaresca davanti alla nuova scuol.

1 . La propaganda del ventennio è stata molto attenta a non disturbare convinzioni morali e religiose condivise dalla grandissima maggioranza dei cittadini.

Le certezze fondamentali intorno alla religione, alla famiglia ed alla nazione furono così accettate dal fascismo e fatte proprie al punto da sembrare esso solo il garante di una loro valorizzazione. I temi ricorrenti di continuità col passato sono molti nei libri di testo.

Il nazionalismo, prima di tutti. Fallito il tentativo liberale di utilizzare il movimento fascista contro i rossi, il fascismo nascente raccolse le delusioni dei nazionalisti, degli interventisti, degli irredentisti e le richieste rivoluzionarie di molti socialisti massimalisti.

Il reducismo è un altro dei temi: « Bisogna andare incontro al lavoro che torna dalle trincee ». E i libri di scuola lo riprenderanno.

–  2. Il basso livello del messaggio è direttamente proporzionale all’ampiezza ed all’età del pubblico cui è destinato.

Tutti i libri riportano l’immagine del duce. La fotografia è usata come specchio della realtà nella quale gli italiani capiscono di esservi come cittadini di uno stato- regime. Non a caso le foto sono quasi tutte dell’Istituto Luce (fondato nel 1925, riorganizzato nel 1933, dipendente dal Minculpop come “L’unione cinematografica educatrice”) che non ha propositi artistici ma solo documentari. Ciò che colpisce è lo schema ripetuto della sua iconografia: militaresca, marziale, seria, imbronciata, comunque pensierosa e preoccupata, assorta, impenetrabile. Una sola volta è sorridente quando, in arcione, saluta romanamente. Neanche quando bacia i bambini lo si vede sorridere.

–  3 L’eccesso di propaganda creò sazietà che favorì il disgusto. La didattica ufficiale fascista riesce a parlare del regime anche facendo grammatica e aritmetica, un po’ come nei refettori conventuali si ascoltava, durante il pranzo, la lettura di testi religiosi. Le poesie per il duce e le prose sul duce mostrano l’infatuazione dei letterati adulatori, premi Nobel come la Deledda o grafomani come il Petrucci. Il culto del capo, ufficialmente rifiutato con sdegno da Mussolini ma mantenuto nonostante ciò, e non a sua insaputa, tocca, con le poesie fasciste, il punto archimedico in cui la leva del sarcasmo solleva questo mondo di carta per precipitarlo nell’oblio. Con l’andar del tempo il fascismo parla solo di se stesso diventando narcisismo politico.

–  4 . La parzialità dell’informazione data da una minoranza è fatta passare come volontà della maggioranza: il singolo individuo, forse inizialmente non consenziente, aderisce alle tesi proposte, per conformismo sociale.

–  5. Le posizioni ufficiali sono date come assolutamente incontrovertibili, senza possibilità di dubbi e senza perplessità. Si vedano, a questo proposito, gli slogan mussoliniani.
»
–  6 . Le informazioni provenienti dall’estero sono censurate.

image manifesto .

Ciononostante il fascismo nega di fare, attraverso i libri, un’opera di propaganda politica. Esso, al contrario, è certo di essere interprete fedele della volontà della nazione. Chi vi si oppone non è solo un antifascista ma è piuttosto un sovversivo, un nemico della patria e della civiltà e pertanto va combattuto ed eliminato.  L’inizio ascendente della curva dimostra che, per il fascismo del 1925, la scuola non è ancora un fatto essenziale. I libri di testo sono, infatti, poco fascistizzati. Lo divennero gradualmente a mano a mano che maturò la concezione etica dello stato e la necessità di creare e mantenere consenso, da parte delle varie componenti sociali, in nome di un ideale antropologico nuovo.

Ma chi furono i propagandisti, coloro che prestarono la loro opera o il loro nome nella stesura dei libri di testo per le scuole elementari?

Il nome più noto è quello di Grazia Deledda che nel 1931 scrive Il Libro della terza classe. Premio Nobel per la letteratura nel 1926, nel 1931 pubblica il suo ultimo romanzo Il paese del vento. Aveva sessantasei anni.

Molto noto era anche Angiolo Silvio Novaro, autodidatta formatosi sul Carducci, sul D’Annunzio, sul Goethe e sul romanticismo tedesco. Accademico d’Italia, nominato da Mussolini nel 1929, ha una poesia antiretorica e antintellettuale, segnata dalla malinconia contemplativa, dal raccoglimento e dalla passività. Nel 1933, all’età di   sessantacinque anni (morirà tre anni dopo) scrive Il libro della IV classe elementare.

Giornalista di successo, corrispondente da Roma del «Corriere della Sera »e commentatore radiofonico serale con Cronache del regime era Roberto Forges Davanzati, ex corrispondente dell’«Avanti!», appartenente alla corrente sindacalista del Partito Socialista. Fonda nel 1911 con E. Corradini, L.Federzoni, F. Coppola «L’idea nazionale» che si unirà nel 1926, dopo l’avvento del fascismo, con «La Tribuna». Fu membro del Direttorio nazionale e, per poco tempo, anche segretario del partito fascista. Suo è il più noto dei libri unici Il balilla Vittorio del 1933, letture per la classe V elementare, scritto all’età di cinquantatre anni (morirà tre anni dopo).

Anche se non scrissero libri di testo, furono convinti sostenitori del regime, influenti ispiratori della politica culturale fascista:

Francesco Ercole, docente di storia moderna in varie università, rettore a Palermo dal 1923, deputato e ministro dell’Educazione nazionale;

Arturo Marpicati, legionario fiumano, poi console generale della MVSN, membro del Gran Consiglio dal 1931 al 1934, libero docente di letteratura italiana, accademico d’Italia, poeta e romanziere;

Luigi De Marchi, geografo e cartografo, dal 1930 direttore dell’Istituto di geografia fisica dell’Università di Padova, senatore dal 24.2.1934 e accademico dei Lincei;

Paolo Vinassa De Regny, geologo e paleontologo, professore in varie università e rettore a Pavia, volontario nella grande guerra, capitano degli alpini, partecipa alla marcia su Roma; è senatore dal 1934 ed accademico dei Lincei;

Roberto Paribeni, archeologo e storico dell’antichità, nazionalista, è dal 1929 accademico d’Italia.

image Ponzano - anni ‘50 - Scolaresca assieme al Maestro Stanglini(?).

Altri autori, pur essendosi impegnati nella compilazione dei libri di testo unico, sono più defilati dall’attività politica. Ciò vale per Ottorino Bertolini, medioevalista; per Luigi Filippo De Magistris, geografo; per Luigi Volpicelli, pedagogista; per Gaetano Scorza, matematico (fu membro dal 1923 al 1933 del Consiglio Superiore dell’Educazione Nazionale); per il prete Cesare Angelini, finissimo letterato ed elzevirista nel «Corriere della Sera», profondo conoscitore del Manzoni e rettore del Borromeo di Pavia; per Piero Bargellini, scrittore e cattolico militante, polemista e storico di santi e di poeti. Tutti coinvolti dal regime che in qualche modo aiutarono. Altri, meno noti, hanno collaborato: Ispettori scolastici. Direttori didattici, Insegnanti.  Anche dei disegnatori bisognerebbe parlare che prestarono le loro capacità grafiche per imprimere immagini più o meno retoriche nella memoria degli sprovveduti lettori. Fra questi, ricordo il trevigiano Bepi Fabiano che illustra Il libro della quinta classe – Letture 1940.

Coloro che si prestarono a diffondere queste idee propagandistiche erano per la maggior parte giornalisti e letteratucoli improvvisati, a cui la mancanza di ogni controllo critico di una libera stampa dava il coraggio di ostentare uno spudorato consenso. Ma Grazia Deledda o il Bargellini non erano letteratucoli e si prestarono per convinzione.  Il fascismo, se volle essere rivoluzionario, si appiattì su concettini piccolo borghesi enfatizzando gli aspetti ottocenteschi dell’ordine, della disciplina, dell’ossequio all’autorità. Non gli riuscì e non perché cadde travolto da una guerra infelice, ma perché la propaganda si fondava su fatti che la contraddicevano e su una realtà sociale tradita. Rispetto ai problemi concreti, psicologici o quotidiani, la scuola del ventennio sembra un mondo a parte, l’universo della retorica e delle illusioni, una falsificazione della realtà, una mastodontica operazione di propaganda che ottenne l’effetto contrario a ciò che si proponeva. Così si può dire che la propaganda attraverso i libri di scuola produsse una saturazione che, a mano a mano che il regime mostrava i suoi limiti tragici, divenne fantasticheria, illusione, irrealtà. E ciò fu fatale per un movimento come quello fascista che volle essere adeguamento pragmatico ai fatti.

E i maestri da che parte stavano? Erano obbligati ad iscriversi al P.N.F. il cui distintivo era interpretato come Per Non morir di Fame. Alcuni erano convintissimi, come quel maestro di Ponzano che andò volontario in Africa Orientale, altri erano tiepidi ma comunque allineati anche perché direttori e ispettori vigilavano sulla loro fede fascista. E sugli ispettori vigilavano i Provveditori che erano di nomina ministeriale e perciò di sicura fede fascista. Uno di loro, in particolare, si diceva appartenesse all’OVRA, l’organizzazione di spionaggio interno. Anche i maestri più contrari al regime dovettero fingere di adeguarsi ai comportamenti richiesti.

Di fronte alla immaginata e presunta grandezza del regime fascista stanno le ricorrenti richieste delle maestre del comune per avere la legna per il riscaldamento delle aule.


Note:

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